I funerali di papa Francesco e il conclave hanno monopolizzato l’attenzione mondiale. Anche quella dei non credenti. C’è una ragione profonda
Perché i funerali di papa Francesco e l’attesa del nuovo papa hanno riempito le pagine dei giornali e monopolizzato l’attenzione delle persone, nonostante buona parte di esse non aderisca alla fede cattolica? Provo a dare una risposta semplice che è stata talora accennata da più osservatori.
Perché in una situazione evidente di divisione del mondo, di polarizzazione e di lacerazione dell’unità fra gli uomini e spesso degli uomini in sé stessi, si percepisce segretamente e magari in maniera inconfessata una nostalgia di unità e di pace intorno ad un senso ultimo della realtà e della vita. E pure s’intuisce che solo una dimensione trascendente, che nel caso della Chiesa cattolica è anche immanente e visibile nella figura storica di Cristo e del suo vicario in terra, sia in grado di unificare gli uomini.
Come scriveva Tommaso d’Aquino: “l’amore di Dio è aggregativo, in quanto l’affetto dell’uomo è portato da una molteplicità di cose all’unità e quindi le virtù, che sono causate dall’amore di Dio, sono interconnesse. Invece, l’amore di sé disgrega l’affetto dell’uomo verso cose distinte, in quanto cioè, l’uomo si ama desiderando per sé i beni temporali, che sono vari e molteplici e, quindi, i vizi e i peccati, che sono causati dall’amore di sé, non sono interconnessi” (Somma teologica I-II, 73, 1, 3).
Difficile trovare oggi qualcosa o qualcuno in grado di unificare veramente, e dunque in profondità, gli uomini. Vi sono certo battaglie su temi anche importanti ma – da sole – non sembrano sufficienti ad aggregare tutti, soprattutto quando i singoli temi sono assolutizzati dai loro sostenitori. Pensiamo alle battaglie in nome dell’ecologia e dei vari diritti emergenti.
Una seconda risposta alla domanda sta nel fatto che nei riti della Chiesa cattolica, l’istituzione più antica ancora in vita e, pur nelle molteplici difficoltà, capace di aggregare persone assai diverse per età, censo e cultura, s’intuisce il peso di una lunga tradizione che unisce non solo gli uomini, ma anche i secoli. E questo nell’epoca del precario, dell’usa e getta, della tecnologia che diventa subito obsoleta, costituisce certo un motivo di fascino e, in qualche misura, una garanzia di validità.
S’intuisce cioè che la Chiesa è anche tradizione. E qui una riflessione s’impone. Avere una lunga tradizione può da un lato costituire un limite perché può favorire il conformismo, la mancanza di attenzione ai drammi delle persone di oggi, proprio quella chiusura in sé stessi, quel “clericalismo”, che Papa Francesco ha strenuamente combattuto. Ma può anche vaccinare contro il rischio di seguire acriticamente il nuovo. Pensiamo, per esempio, al fatto di aver sposato negli ultimi decenni il consumismo, la globalizzazione, la tecnologia multimediale con i loro effetti almeno ambigui anche da parte di molto progressismo.
Chi non ha una speranza trascendente è a rigore più facilmente portato ad assolutizzare gli spunti di speranza che lo sviluppo tecnologico e sociale porta con sé. L’essere radicati in una tradizione con il connesso senso della storia permette di sperare ragionevolmente nello sviluppo senza puntare ingenuamente su di esso.
La speranza trascendente, se rettamente intesa come espressione di un’esperienza in atto, costituisce una garanzia di progresso, ma permette anche di non assolutizzare i particolari che a mano a mano si presentano lungo il corso della storia. Essa, tuttavia, non deve esonerare dal valorizzare tutte le battaglie giuste, anche se parziali, che gli uomini di qualunque fede portano avanti.
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