Troppa ideologia e tanta cattiva informazione hanno minato il realismo degli italiani. Serve più Tricolore e difesa del diritto internazionale
Caro direttore,
gli italiani amano sventolare le bandiere: tutte, tranne il tricolore. C’è il pro-Pal che espone la bandiera palestinese, ma si dimentica di condannare i crimini di Hamas. I diritti umani di un popolo che ha sofferto la Nakba e ora rischia la catastrofe vanno rispettati necessariamente, certo. Bisogna, però, affermare, contemporaneamente, anche il diritto all’esistenza di Israele.
C’è poi il direttore del giornale importante, sempre in tv. Ha la bandiera di Israele in testa. Sembra un cittadino israeliano di destra. Appoggia Netanyahu in toto, anche quando viene contestato da 600 alti gradi dell’esercito e dello Stato israeliano. Mai una parola per i bambini palestinesi uccisi e per gli affamati: la pietà non fa storia. Ricorda ai telespettatori il bombardamento di Dresda, quello di Nagasaki e altre distruzioni. La “democrazia” – si sa – ha dei costi.
Il mondo, comunque, è vario, perciò, nelle discussioni agostane, può capitare di sentire il vicino di ombrellone giustificare con dotta competenza l’invasione dell’Ucraina. Il mondo è una specie di Risiko in cui gli uomini sono solo pedine. Una bibita fresca e il dramma è subito superato dalla leggerezza nichilista.
Leggi, poi, sul quotidiano a grande tiratura, i pensieri del politico a stelle e strisce, a prescindere. Per lui la democrazia si esporta, perciò il fosforo bianco a Falluja è un ricordo sfuggente come pure il napalm in Vietnam. Nella sua ottica, la politica dei nostri alleati rientra nel campo della dogmatica, non in quello della realtà e della pace. Trump fa bene, dunque, a vendere armi: la sua difesa è un’assicurazione sulla vita che va pagata.
Cosa dire a chi rifiuta l’analisi dei dati effettivi e i moventi delle scelte politiche?
Inutile dire che c’è l’anti-italiano, il post-italiano, e anche il voltabandiera. Raro, ma si trova pure l’evoluto cosmopolita ad alta istruzione che fa citazioni in inglese, anziché in latino: woke e progressista. Sorvola tutte le bandiere nazionali con grande perizia. Non sbaglia un colpo, mai. Fa tenerezza, invece, il giovane idealista che parteggia per la bandiera olimpica dei rifugiati: gli apolidi vanno tutelati, vero.
Nel campionario troviamo anche chi non ha un vessillo (a parte quella del proprio interesse) e chi è contro ogni insegna, tranne quella con la A di anarchia. Fuori dal cilindro anche il coniglio che insulta il simbolo della nazione: la sua tana è più importante. Abbiamo anche qualche cittadino italiano che ha sventolato un’altra bandiera nera, quella mortale dei tagliagole dell’Isis. Giustamente è stato espulso: pericoloso avere una minaccia attiva in casa.
Siamo arrivati a questo profluvio di pseudo-appartenenze, e di confusione intellettuale, per il prevalere delle ideologie. I comportamenti eccentrici degli italiani infatti hanno una storia. In passato, nel secondo dopoguerra, molti erano affezionati alla bandiera dell’URSS. Negavano o minimizzavano l’esistenza dei Gulag e consideravano “democrazia popolare” un sistema totalitario. Gli intellettuali e le case editrici del periodo ostacolavano le pubblicazioni degli autori dissidenti dell’Est. Arrivava, inoltre, l’oro da Mosca e come si sa, pecunia non olet.
Molti giovani degli anni 70 e 80, poi, seguivano le bandiere dell’estremismo o addirittura del terrorismo: una generazione bruciata dalle ideologie. Loden o eskimo, comunque contro l’altro con una rabbia mortale dentro.
Sempre nel dopoguerra c’è stato anche chi ha seguito i colori dell’oscurità e del buio. Circoli segreti sovrastavano la nostra bandiera. La loggia P2, longa manus dell’oltranzismo atlantico, ha esercitato un ruolo negativo nella storia italiana. Carriere, servilismo e bocche cucite nel nome del Potere. Il giudice Pietro Calogero ha raccontato nei particolari quelle storie in AA.VV, L’Italia delle stragi, a cura di Angelo Ventrone (Donzelli, 2019).
Tra tutti i vessilli passati e presenti, allora, forse bisogna tornare al nostro tricolore e ricordarne il valore. È la bandiera di Salvo D’Acquisto, dei 44 eroi di Unterluss, di Falcone e Borsellino, delle vittime del dovere. È la bandiera di chi crede che la democrazia debba essere anche giusta. Non si tratta di esportare la democrazia o di imporre una visione imperiale. È necessario un mondo civile: di pace e di legalità.
In tempi così terribili, in cui vale solo la logica della potenza del fuoco distruttore, bisogna, perciò, avere a cuore la nostra bandiera.
Accanto al Tricolore, bisogna mettere le bandiere dell’Onu e della Croce Rossa, oggi attaccate in modo strumentale e vergognoso. L’Italia, nella famiglia delle nazioni, ha l’obbligo di sostenere il diritto internazionale, il diritto umanitario e i diritti umani.
Anche l’UE deve farlo. Se cadono gli argini alla barbarie, infatti, cadrà tutta l’architettura della sicurezza internazionale con il proliferare dei rischi, a tutti i livelli. Di fronte alle sfide future non possiamo essere, perciò, come gli ignavi del III canto dell’Inferno di Dante: si corre invano e le vespe pungono.
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