Pagelle Sanremo 2026, da Fedez e Marco Masini ai vecchi ritorno. Le case discografiche non si sono fidate di Conti
Pagelle Sanremo 2026: da Fedez-Masini a Tommaso Paradiso
Dopo l’annuncio dei 30 cantanti in gara al Festival di Sanremo 2026, è ufficialmente cominciata l’attesa che ci porterà al 24 febbraio, quando il teatro Ariston ospiterà Carlo Conti e l’edizione numero 76 del festival. E come spesso, oltre all’attesa sono scoppiate le polemiche, o meglio sono state confermate.
Perché già da qualche giorno, a partire da un’indiscrezione del Messaggero, correva voce che questo che sta per cominciare sarebbe stato un festival difficile per Conti (come direttore artistico) perché molti big avrebbero rifiutato di partecipare al festival e le case discografiche si sarebbero rifiutate di mandare brani di alcuni tra i loro migliori artisti. Leggere i nomi selezionati avrebbe confermato queste voci. Quali sono questi nomi?
Ci sono dieci debutti su 30 artisti: il gruppo pop-punk delle Bambole di pezza, prima presenza rock dai tempi dei Maneskin; i rapper Chiello, Luché (presente nel ’24 assieme a Geolier nella serata cover), Nayt (considerato tra i migliori della sua generazione), Samurai Jay (che calcò il palco nel ’21, come ospite con Gigi D’Alessio), Sayf e Tredici Pietro; i cantautori Eddie Brock, Maria Antonietta & Colombre (sulla carta, la possibile rivelazione del festival) e Tommaso Paradiso, alfiere del pop contemporaneo.
Questa suddivisione tra pop, rap e cantautorato (cappello sotto cui giacciono molte sfumature sonore) viene mantenuta anche nei restanti venti nomi, nel segno di un baudismo ancora più accentuato da parte di Carlo Conti che alterna nomi da scoprire per il grande pubblico televisivo, ma spesso amatissimi dai più giovani, e garanzie d’ascolto adulte, in certi casi legate al passato: nel primo regno troviamo Arisa, Ditonellapiaga (per chi scrive, una delle migliori proposte in gara), Elettra Lamborghini (al contrario, potenzialmente il punto più basso della gara), Ermal Meta (pronto a conquistarsi un posto sul podio), Francesco Renga, Leo Gassmann, Malika Ayane (che potrebbe portare un po’ di velluto in gara), Mara Sattei (uno dei grandi misteri della musica contemporanea), Michele Bravi (un ritorno che ci fa parecchio piacere), Raf, Sal Da Vinci (il più assente dall’Ariston, da quando si classificò terzo nel 2009; ma la sua apparizione lo scorso febbraio con i The Kolors e il singolo Rossetto e caffè ne hanno rilanciato le ambizioni).
Tra i secondi ci sono Dargen D’Amico (uno di quelli che punta al tormentone), J-Ax, mentre nel variopinto reame dei terzi ci sono nomi che spaziano da Enrico Nigiotti a Fulminacci (tra i migliori cantautori di nuova stirpe), da Levante (nome prezioso che il festival ha spesso sottovalutato) a Patty Pravo (signora della canzone, ok, ma che pare più un residuo di una gloria passata: speriamo che la canzone ci faccia ricredere) fino a Serena Brancale (che potrebbe, ci auguriamo, riportarsi in quota classe anziché gioiosa tamarra). E per chiudere ci sono quel mostro bicefalo che esordì l’anno scorso nella serata delle cover, e che promette già l’assalto al podio e al televoto, ovvero Fedez e Marco Masini, l’accoppiata contiana per definizione, il rapper pop e il cantautore pop, controversi entrambi, abili a usare temi, armonie e melodie insinuanti, il passato e il presente (il futuro, come ci insegna Ruggeri, è un’ipotesi): ovvero, la perfetta creatura di Carlo Conti.
E le polemiche? Ovvero, perché mancano, se mancano, i colossi della musica italiana? Posto che la definizione in sé lascia il tempo che trova e oggi più che mai trovare un termine per dirimere un colosso è complicato, essendo cambiati i tempi e l’industria musicale, il modo in cui si producono e ascoltano le canzoni, non ci sentiamo di concordare con questa polemica. Perché dei nomi importanti della musica popolare ci sono, ma forse non sono tali rispetto alla platea televisiva e quello che viene banalmente definito il “grande pubblico”, e quelli che anche il tradizionale pubblico sanremese conosce (Pravo, Renga, Levante, Paradiso) sono nomi che non hanno molto da perdere, che magari anzi cercano un nuovo trampolino di lancio.
Le case discografiche, fin dall’anno scorso, paiono non essersi fidate di Conti come si fidavano di Amadeus, e – a corto loro stesse di un numero sufficiente di brani forti da spalmare lungo l’anno – hanno inviato proposte non sempre giudicate all’altezza; inoltre sarebbero state in forte disaccordo con alcuni lati del regolamento che punirebbero le case qualora gli artisti si comportassero in modo non adeguato al festival, cosa che soprattutto per i rapper potrebbe essere un problema, ma poi, basta vedere come è stato addomesticato Tony Effe lo scorso anno, per capire che non lo è.
Allora forse il punto è nella natura del festival stesso: è un momento mediatico come non ce ne sono uguali, che attira un’attenzione clamorosa, che fa conoscere e ascoltare canzoni a chiunque eppure non è garanzia di successo, anche in caso di vittoria o di buon piazzamento. Non lo è mai stato, non lo era prima e non lo può essere oggi che le vie per cui gli artisti vengono scoperti sono molto più impervie del passato, che il mercato musicale è più parcellizzato delle particelle di un atomo, per cui non basta più a un “big” come Tiziano Ferro (il nome più citato negli ultimi giorni tra coloro che non andranno al festival e che pure ne avrebbe parecchio bisogno) essere in gara per spiccare il volo.
Per cui, è vero, come dicono alcuni, che a Sanremo va solo chi non ha (più) nulla da perdere, ma è anche vero che la pagnotta devi guadagnartela, devi lottare per uno spazio importante in mezzo a trenta cantanti che sgomitano, che lo status di “grande” non interessa poi molto se non è accompagnato da una canzone che sappia accontentare chi ascolta. E questo vale per chi oggi ascolta musica, anche prima che per il festival di Sanremo.