L'Africa è un continente importante e per l'Italia è cruciale sviluppare un rapporto costruttivo con i Paesi sull'altra sponda del Mediterraneo
A metà febbraio oltre mille giornalisti erano impegnati a seguire e raccontare le vicende pubbliche e private del Festival di Sanremo. Forse per questo non c’era nessun giornalista italiano a seguire e raccontare il vertice dell’Unione Africana che si apriva negli stessi giorni ad Addis Abeba. Eppure l’Africa è tra le realtà più importanti che potranno condizionare nel bene o nel male il nostro futuro.
È vero che l’Unione africana è ancora un mosaico confuso e disordinato che riunisce i 55 Paesi del continente con ancora limitati poteri di intervento e di coordinamento effettivo delle politiche economiche e dei rapporti con l’estero. Ma è altrettanto vero che molti passi avanti sono stati compiuti nella direzione di una maggiore incisività a livello politico ed economico.
L’assemblea dei capi di Stato o di governo, eleggendo come Presidente della Commissione, Mahamoud Ali Youssouf, 59enne attuale ministro degli Esteri del Gibuti, ha ribadito l’impegno per la pace e la sicurezza, condannando i colpi di Stato e promuovendo la tolleranza zero contro i cambiamenti incostituzionali di governo. È stata sottolineata l’importanza di risolvere le crisi attraverso il dialogo e la diplomazia, evitando soluzioni violente. Parole impegnative mentre continuano le devastanti guerre civili nel Nord Est del Congo e nel Sud Sudan.
Molto importante, tuttavia, è la progressiva attuazione dell’Area Continentale Africana di Libero Scambio (AfCFTA), che sul modello europeo punta a creare un mercato unico per beni e servizi, facilitare gli investimenti e rafforzare gli scambi commerciali tra i Paesi africani, al momento carente. L’obiettivo ambizioso è di realizzare l’area di libero scambio più grande al mondo.
In questo scenario le presenze occidentali sono altrettanto importanti, quanto controverse, soprattutto perché sono ancora presenti gli effetti del colonialismo e del più recente tentativo delle grandi potenze di creare e mantenere sfere di controllo e influenza.
Per l’Italia è indispensabile un rapporto corretto e costruttivo con molti Paesi africani, soprattutto quelli del Mediterraneo e della fascia subsahariana. Un rapporto di cooperazione anche nella prospettiva di una politica migratoria utile ad entrambe le parti.
Il Piano Mattei in questa prospettiva non è solo un insieme di iniziative economiche, ma vuole essere soprattutto una filosofia del tutto nuova che permetta di passare da un rapporto “estrattivo”, cioè sfruttare le risorse materiali e umane dell’Africa, a un rapporto “collaborativo” con vantaggi su entrambi i fronti.
Il libro Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa a cura di Mario Giro (Guerini e associati, 2024) costituisce così un’analisi approfondita, attraverso una serie di interventi di esperti e ricercatori, del nuovo approccio a una realtà estremamente dinamica, giovane, desiderosa di superare le politiche di vecchie classi dirigenti in gran parte corrotte e legati ai vecchi metodi coloniali.
Giro, già sottosegretario e poi viceministro agli Esteri nei Governi Letta, Renzi e Gentiloni, spiega come sia indispensabile un progetto sociale ed economico a lungo termine negoziando con pazienza e tenacia con gli africani. E quindi progetti imprenditoriali, infrastrutture, sanità, istruzione e formazione.
Non sarà una strada facile anche perché si tratta di sviluppare politiche attive sul fronte dell’immigrazione con “un fruttuoso scambio – scrive Giro – basato sull’esperienza dei corridoi umanitari ideati dalla Comunità di Sant’Egidio e dei successivi corridoi lavorativi che rispondono a quell’esigenza di manodopera che abbiamo nel nostro Paese e che esiste in tutta Europa”.
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