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Home » Chiesa » PIER GIORGIO FRASSATI/ La gioia di un “tipo losco” che viveva Cristo in ogni cosa

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PIER GIORGIO FRASSATI/ La gioia di un “tipo losco” che viveva Cristo in ogni cosa

Carlo Dignola
Pubblicato 7 Settembre 2025 - Aggiornato alle ore 10:04
Pier Giorgio Frassati (1901-1925)

Pier Giorgio Frassati (1901-1925)

Oggi Pier Giorgio Frassati verrà canonizzato da Leone XIV. L’ultimo libro di Vincenzo Sansonetti aiuta a focalizzarne la vita e l’esperienza di fede

“Era veramente un uomo” scrisse di lui sul quotidiano La Giustizia, pochi giorni dopo il suo funerale, Filippo Turati, tra i fondatori del Partito socialista italiano, amico di Giacomo Matteotti e di Sandro Pertini, positivista, marxista: “Ciò che si legge di Pier Giorgio Frassati è così nuovo e insolito che riempie di riverente stupore anche chi non condivide la sua fede”.


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Giovane ricco, aveva scelto per sé il lavoro e la bontà. Credente in Dio, confessava la sua fede con aperta manifestazione di culto, concependola come una milizia, come una divisa che si indossa in faccia al mondo. (…) Questo cristiano che crede, e opera come crede, e parla come sente, e fa come parla, questo ‘intransigente’ della sua religione, è pure un modello che può insegnare qualcosa a tutti”.


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La Stampa del 5 luglio 1925, quotidiano torinese diretto proprio dal padre di Pier Giorgio, lo descriveva come un “giovane di 24 anni, valido e sano come un alpino delle nostre valli e buono d’una bontà commovente di piccolo santo. (…) Era in lui una vena di misticità così pura e profonda, che lo aveva reso estraneo a ogni benessere e a ogni fortuna. Nato fra le ricchezze, aveva l’anima francescana della povertà”.

Ha un taglio laico, sorretto dalla passione per un’attenta ricostruzione del contesto storico che fa da sfondo a una puntuale narrazione biografica, il libro Pier Giorgio Frassati. La gioia non avrà misura (Ares, 2025) che il giornalista Vincenzo Sansonetti ha voluto dedicare al giovane torinese che oggi, 7 settembre, Papa Leone XIV proclamerà santo in Piazza San Pietro insieme a Carlo Acutis.


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I tempi in cui visse Frassati non erano facili, con qualche sinistra analogia con i nostri – come hanno notato diversi storici: “Dalla metà degli anni 70 dell’800 al primo conflitto mondiale sono 14 milioni gli italiani che lasciano il paese in cerca di un lavoro e migliori condizioni di vita: la metà della popolazione censita nel 1880!” scrive Sansonetti.

Una guerra, la seconda mondiale, si avvicina, mentre sul ponte di comando della lussuosa e veloce nave da crociera europea la buona borghesia danza distratta. L’Italia laica, minoritaria ma al potere, a sessant’anni dall’Unità era sempre più assediata da forze illiberali; il mondo cattolico, fuori dai giochi politici, iniziava a pensare a un rinnovato impegno, con la fondazione del Partito popolare di don Luigi Sturzo.

Il Paese era in mano a un mondo “liberal-massonico, con nessuna considerazione per la varietà delle culture e delle tradizioni popolari, costruito in antitesi a quella che in Italia, a quel tempo, era ancora la più forte presenza sociale e culturale: la Chiesa”.

Sansonetti inizia il suo racconto da un episodio poco conosciuto: è domenica 4 settembre 1921, le Guardie regie a cavallo a Roma arrestano, e pestano a sangue, i giovani cattolici che manifestano in piazza. Tra loro c’era anche il futuro santo, con il Tricolore in mano.

Trascinati i facinorosi nel cortile di Palazzo Altieri, il solerte funzionario di polizia chiede al ragazzo di declinare nome e generalità: “Pier Giorgio Frassati. Figlio di Alfredo”.

“Cosa fa tuo padre?” “Ambasciatore d’Italia a Berlino”.

“L’agente – scrive Sansonetti – subito si scusa, impacciato, e gli offre il rilascio immediato. Ma lui rifiuta: “Uscirò quando usciranno anche i miei compagni”.

Una bella fotografia della situazione, e delle sue contraddizioni.

Il padre di Pier Giorgio non era un personaggio qualsiasi nell’Italia liberale: biellese, laureato in legge, era diventato un giornalista importante; nel 1895 aveva rilevato la redazione del quotidiano Gazzetta Piemontese che dall’anno successivo avrà come testata La Stampa: nel 1920 ne diverrà direttore, circondato da firme come quelle di Luigi Einaudi, futuro presidente della Repubblica, e del poeta Guido Gozzano.

Agnostico, se non ateo, ostile al fascismo, Alfredo Frassati fu amico personale di Giovanni Giolitti, cinque volte presidente del Consiglio dei ministri, dunque faceva parte di quella illuminata borghesia che cercava di guidare il paese verso ideali di progresso. Nel 1898 aveva sposato la cugina Adelaide Ametis, pittrice apprezzata (una delle sue opere esposta alla Biennale di Venezia venne acquistata da Re Vittorio Emanuele III), ma quello dei coniugi Frassati fu un normalissimo matrimonio infelice.

Bel ragazzo, sportivo, Pier Giorgio ricevette un’educazione severa. Eppure tutti lo descrivono come un tipo “molto vivace e solare, innamorato della montagna”. Il pittore Alberto Falchetti, amico della madre, lo ritrae come un ragazzo che ha “in volto la gioia per la vita semplice, sana, aspra; la gioia della fatica, quasi un ritorno agli antichi costumi dei buoni avi”.

Carlo Acutis
Beato Carlo Acutis (ANSA)

A Torino Pier Giorgio frequenta il famoso liceo “Massimo d’Azeglio”, fucina della meglio gioventù laica e spesso laicista (nei decenni successivi avrebbe licenziato Primo Levi, Cesare Pavese, Norberto Bobbio, Augusto Del Noce, Fernanda Pivano, Giulio Einaudi, “fino a Gianni e Umberto Agnelli” e a Piero Angela).

Frassati non era affatto uno studente modello: rimandato in latino, bocciato, per “recuperare l’anno” venne spostato dai genitori all’Istituto Sociale di Torino, scuola privata retta dai Gesuiti, dove si avvicinò alla spiritualità cristiana.

Nel ’18 si iscrisse alla facoltà di ingegneria meccanica presso il Regio Politecnico di Torino, con l’intenzione di lavorare al fianco dei minatori, la classe operaia nelle condizioni peggiori. Come ebbe a scrivere sua sorella Luciana, “l’università che Pier Giorgio frequentava era impregnata di positivismo; nelle fabbriche proliferare il comunismo; in politica si stavano affermando le camicie nere. Tutti guardavano con disprezzo la religione”.

Pier Giorgio è cattolico ma con gli amici della Fuci fonda una goliardica  “Compagnia dei Tipi Loschi” in cui si fa chiamare Robespierre. Laico del Terz’ordine di San Domenico, iscritto alle Conferenze di San Vincenzo, ad Azione Cattolica, alla Fuci, frequenta soprattutto il Cai, scia molto bene ed è anche un discreto scalatore. Oggi in Patagonia c’è una montagna che porta il suo nome; e anche un rifugio in Valle d’Aosta.

“Estroverso, cordiale, sportivo – scrive Sansonetti – ama la natura e stare all’aria aperta con gli amici. Le ragazze se lo mangiano con gli occhi”. Proprio in quota conosce Laura Hidalgo, una ragazza di origine spagnola orfana di entrambi i genitori: neppure le manifesta i suoi sentimenti sapendo per certo che i Frassati non avrebbero accettato in famiglia una donna di provenienza sociale inferiore; né voleva creare ulteriori motivi di discussione in anni in cui tra i suoi genitori la tensione era alta.

“Nella sua breve ma intensa esistenza – scrive Sansonetti – Pier Giorgio si impegna su più fronti, quello associativo e quello della militanza cattolica, quello politico, e soprattutto quello della vicinanza e dell’aiuto concreto ai più miseri, poveri ed emarginati. Ma questi molteplici impegni hanno per lui un senso, sono resi possibili e trovano solide radici soltanto in una spiritualità autentica, fondata su Cristo ‘messo al centro’, alimentata e vissuta ogni giorno, quasi una ‘regola’ che lui si impone” da solo.

“La carità è sempre stata la dominante della sua vita, ma essa non consiste nel dare ‘qualcosa’ agli altri, i soli, i bisognosi, gli abbandonati, ma nel dare tutto se stesso, a  imitazione di Cristo”.

Frassati passava le sue giornate con derelitti, emarginati, malati, disgraziati, però è stato anche quello che oggi chiameremmo un “giovane militante” politico, sebbene fatto a modo suo: “Crede in una ‘rivoluzione’ non violenta, in grado di garantire una maggior protezione ai più poveri, evitando allo stesso tempo sia che vengano illusi dall’ideologia socialista rivoluzionaria, il comunismo, in forte ascesa e che sta facendosi largo nella classe operaia, sia che restino affascinati dall’ideologia ‘nera’ degli squadristi fascisti. Per queste ragioni aderisce al Partito popolare italiano fondato da don Sturzo”.

Sull’Italia mussoliniana in ascesa, basta l’appellativo in una lettera che scrive all’amico Tonino dopo aver subìto, con la madre, l’aggressione notturna di una squadraccia nella loro abitazione: “Porci fascisti”. Anche il padre Alfredo era “fieramente antifascista come il figlio”. Dopo il delitto Matteotti si schiera apertamente contro Mussolini e nell’autunno del ’25 vedrà il suo giornale, La Stampa, posto sotto sequestro, le pubblicazioni interrotte e dovrà ritirarsi dalla direzione: il controllo passerà in mano alla Fiat del senatore Giovanni Agnelli.

Pier Giorgio Frassati morì improvvisamente il 4 luglio 1925, a 24 anni, per una poliomielite infettiva fulminante, “forse contratta facendo visita ai suoi poveri”. La famiglia sottovalutò i disturbi che accusava perché in quei giorni stava morendo anche la nonna Linda Ametis. Oggi è sepolto nel Duomo di Torino, non lontano dalla Sacra Sindone.

Sansonetti alla fine del libro analizza anche il rapporto tra Frassati e i Papi che sono venuti dopo di lui. Wojtyła notò che “a uno sguardo superficiale lo stile di Pier Giorgio Frassati non presenta granché di straordinario”, eppure proprio in grazia di questa sua “normalità” nel vivere radicalmente la fede Giovanni Paolo II lo proclamò beato nel 1990. Papa Francesco voleva proclamarlo santo quest’anno ma è morto prima.

Leone XIV non ha posto tempo in mezzo, sia per rispetto delle volontà del suo predecessore, sia, forse, perché avverte una strana coincidenza tra l’Italia di cent’anni fa e quella attuale, e va cercando egli stesso esempi di una nuova “azione cattolica” nella società, capace di stare all’altezza, anche in condizioni di minoranza, delle sfide sociali nelle quali l’intelligenza artificiale e lo sconvolgimento dell’ordine mondiale costituito ci stanno precipitando.

Ma soprattutto Frassati piace ai giovani cattolici di oggi, più che ai loro padri e ai loro nonni: nel 2017, da più di 70 Paesi, hanno scritto decine di migliaia di lettere e di email in Vaticano chiedendo che venisse proclamato santo in fretta.

Ma forse la personalità che ha capito meglio Pier Giorgio Frassati è Giovanni Battista Montini, che era cresciuto anche lui nella Fuci e ne sarebbe diventato assistente ecclesiastico nazionale: destinato a diventare Papa Paolo VI (come Alfredo Frassati aveva profeticamente previsto), Montini aveva capito che una figura come quella del giovane alpinista torinese “ci è scudo contro una delle più forti e sottili tentazioni che attentino alla vita spirituale: o essere moderni o essere cristiani”.

Come se la vita autentica, completa, “avida di perfezione” chiesta dalla fede rappresentasse “ormai una concezione ristretta e sorpassata dell’esistenza umana, un ideale spento, un mondo piccolo e chiuso, un arcaismo che solo chi vive ai margini del grande fiume dell’attività moderna può fare suo”.

Per Montini, al contrario, Frassati “ci dice che il cristianesimo è tuttora la forza della vera giovinezza. Ci dice che il cristianesimo è forte, non già nella grande grandezza che affascina il mondo; ma è forte e vivo nell’umiltà delle sue virtù interiori e severe”. La sua vita sottolinea “la coincidenza della religione con la vita”, in tutte le sue semplici occasioni, che per ciascuno sono poi, in fondo, decisive.

 

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