REGOLE UE/ Dublino, stabilità e Gentiloni: Italia senza spazi di manovra

- int. Lorenzo Pace

La scelta di attribuire a un italiano la competenza dell'Economia potrebbe essere letta anche come un modo per evitare la delegittimazione della Commissione

paolo_gentiloni_4_governo_2017 Paolo Gentiloni (Lapresse)

Paolo Gentiloni nominato commissario Ue all’Economia; incontri cordiali con i vertici delle istituzioni europee; revisione del Patto di stabilità e dell’accordo di Dublino sui migranti rilanciata ufficialmente sui tavoli di Bruxelles. A prima vista, l’Italia del nuovo governo Conte sembra aver incassato alcuni punti a favore. Di certo, il clima si è molto rasserenato rispetto ai rapporti tesi, sempre a un soffio dal deflagrare, registrati durante i 14 mesi del Conte-1. Ma è tutto oro ciò che luccica? Gentiloni a Bruxelles non dovrà fare i conti con il falco Dombrovskis? E al di là degli ostacoli politici, dal punto di vista delle norme europee, che spazi effettivi si possono aprire per rivedere il Patto di stabilità e crescita e il Regolamento di Dublino? Ne abbiamo parlato con Lorenzo Pace, professore di diritto dell’Unione Europea nell’Università del Molise.

Professore, come valuta la nomina di Paolo Gentiloni a commissario Ue dell’Economia. Ci saranno cambiamenti rispetto al ruolo svolto dall’attuale commissario, Pierre Moscovici?

Il giudizio è molto positivo. L’indicazione di Paolo Gentiloni come commissario per l’Economia è un riconoscimento importante alla persona che ha dimostrato le sue capacità, tra l’altro, come ministro degli Esteri e come presidente del Consiglio. Ma è anche un riconoscimento all’Italia. È la dimostrazione dell’apporto che l’Europa chiede all’Italia per lo sviluppo dell’Unione in settori complessi come l’economia. Devo ammettere che vi sono alcuni temi con riferimento all’indicazione di Gentiloni che non mi trovano d’accordo.

Quali?

In primo luogo, sembra che l’indicazione di un italiano sia stata formulata al fine di aiutare l’Italia e la sua difficile situazione economica. Il ruolo di un commissario dell’Unione non funziona in questo modo.

Come funziona invece?

I commissari sono indipendenti, come la Commissione tutta. I Trattati europei prevedono che i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo od organismo. La scelta deve avvenire tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza. Non credo che nessuno ricordi Mario Monti come commissario europeo per aver favorito gli interessi dell’Italia nell’applicazione del diritto della concorrenza o lo sviluppo del mercato interno europeo. E questo vale anche per tutti i precedenti commissari italiani. I commissari sono cittadini italiani, e quindi europei, che contribuiscono allo sviluppo del progetto europeo complessivo. È essenziale vedere il ruolo del commissario in questo modo, altrimenti si torna a una mentalità “nazionalista” in cui ognuno guarda quello che il “suo” commissario fa o può dare per il proprio paese. D’altra parte, si potrebbe pensare che il motivo per cui a Gentiloni è stata attribuita la competenza in materia di politica economica è esattamente il contrario di quello di favorire l’Italia.

Cosa intende dire?

La scelta di attribuire a un italiano la competenza in materia di politica economica potrebbe essere letta anche come un modo per evitare la delegittimazione della commissione, come istituzione europea, nei momenti di tensione.

Può spiegare meglio questo passaggio?

Se dovessero ripetersi le tensioni tra Italia e Commissione, come avvenuto negli ultimi anni, le eventuali critiche in Italia non saranno dirette in primo luogo nei confronti alle istituzioni dell’Unione, ma a Paolo Gentiloni e al suo partito italiano di appartenenza. In altre parole, le eventuali tensioni si riassorbirebbero nel circuito politico nazionale più che nel circuito politico europeo. È un modo, vista la situazione di difficoltà della politica economica degli ultimi anni, di “far lavare i panni in casa” tra italiani e salvaguardare il ruolo della Commissione.

Da quello che si è letto nei principali quotidiani nazionali sembrerebbe che Paolo Gentiloni sia stato posto “sotto tutela” del vicepresidente designato Dombrovskis in quanto quest’ultimo è divenuto “vicepresidente esecutivo”. È così?

Non sono assolutamente d’accordo. Dombroskis è diventato vicepresidente esecutivo in quanto, come gli altri vicepresidenti esecutivi, avrà funzioni non solo di coordinamento tra differenti commissari. Egli avrà anche la direzione “esecutiva” di una specifica azione, cioè quella dei Servizi finanziari. Questa non ha nulla a che fare con la competenza attribuita a Gentiloni. E infatti gli apparati amministrativi per gestire queste azioni – politica economica e servizi finanziari – sono differenti.

Allora perché sono stati individuati i vicepresidenti?

L’idea di creare la figura dei vicepresidenti della Commissione, per come li conosciamo oggi, nasce con la Commissione Juncker nel 2014. Essi hanno una duplice funzione. In primo luogo, quella di definire un maggior coordinamento tra le azioni dei vari Commissari, che altrimenti agirebbero indipendenti come “monadi”. In secondo luogo, non si può negarlo, in questo caso si è cercato probabilmente di trovare una forma di bilanciamento tra sensibilità di politica economica differenti, quella del vicepresidente e quella del Commissario. A dimostrazione di questo, il rapporto tra Dombrovskis e Gentiloni sarà la “riedizione” di quello che è stato durante la Commissione Juncker il rapporto tra il lettone Dambrovskis, con una impostazione più “rigorista” sui conti pubblici, e il francese Moscovici. Peraltro non mi pare che nei momenti di contrasto tra il vicepresidente Dombrovskis e il commissario Moscovici sulla politica economica abbia avuto la meglio il primo, anzi. Basti ricordare come sono state ricomposte le tensioni recenti tra Governo italiano e Commissione.

Facciamo un passo indietro. Come interpreta le parole della nuova presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – “L’Italia conosce le regole, i limiti sono chiari, la flessibilità è chiara” – pronunciate durante la presentazione della sua nuova squadra?

A me pare che il significato da attribuire a queste parole sia quello letterale. E cioè, non ci sono da aspettarsi modifiche dal quadro normativo europeo di riferimento. Ma, dall’altra parte, la frase è anche il riconoscimento della piena vigenza delle regole della flessibilità come definite dalla Commissione Juncker nel 2015. Questo è confermato, peraltro, dal contenuto dalla lettera di incarico a Gentiloni. In essa la presidente nominata della Commissione chiede al commissario per l’Economia di assicurare l’applicazione del Patto di stabilità e crescita utilizzando “la più ampia flessibilità consentita da tali regole”.

Il Patto di stabilità, varato nel 1997, ha già subìto due modifiche nel 2005 e nel 2011. Oggi ci sono la necessità e le condizioni per un ulteriore revisione?

Il Patto di stabilità del 1997 è stato modificato negli ultimi vent’anni solo in due occasioni coincidenti con situazioni di crisi. Il quadro giuridico del Patto di stabilità e crescita, per come sviluppatosi negli anni, è ora molto più stabile. Al momento non sembra che vi siano le condizioni o le necessità per una modifica del Patto. L’unica revisione a cui si potrebbe pensare è quella di limitate modifiche alla Comunicazione sulla flessibilità del 2015. Una modifica mirata, ad esempio, a chiarire quando e quali investimenti pubblici possono giustificare temporanei allontanamenti dal percorso di avvicinamento al pareggio di bilancio strutturale.

Molti osservatori fanno notare che con la Germania avviata verso una dura recessione sarà più facile rivedere le regole. Che ne pensa?

La Germania sta subendo le conseguenze della scelta di concentrarsi su di una crescita soprattutto legata all’export fuori dal mercato interno e ora subisce le conseguenze di un quadro del commercio internazionale diventato molto complesso. Detto questo, la situazione dei conti pubblici tedesca è adeguata per affrontare una situazione di crisi economica. La Germania rispetta il limite del 60% del rapporto debito/Pil e ha un bilancio pubblico in pareggio. In questa situazione le regole del Patto di bilancio e quelle sulla flessibilità forniscono alla Germania la possibilità di rispondere alla situazione di crisi con investimenti pubblici. Quello che purtroppo l’Italia non può fare, visto il livello del debito/Pil oltre il 130% che si è accumulato negli ultimi quarant’anni. Un problema che Gentiloni dovrà cercare di risolvere.

Cosa intende?

Nella lettera d’incarico della von der Leyen si attribuisce espressamente al commissario per l’Economia il compito di assicurare la stabilità economica in caso di una nuova crisi. E questo tenendo conto che alti livelli di debito, pubblico e privato, sono fonti di rischio e limitazione per i Governi verso la stabilizzazione economica.

Nell’incontro con la presidente della Commissione Ue il premier Conte ha affrontato anche il tema della revisione dell’Accordo di Dublino. Che spazi di manovra ci sono? Sotto il profilo giuridico, è un restyling agevole?

Direi che dal punto di vista giuridico non è un obiettivo semplice. Appare chiaro che vi sia una maggiore coscienza di come quello delle migrazioni sia un problema europeo e che debba essere risolto pienamente a livello Ue. La difficoltà è che i paesi dell’Est Europa, tra gli altri, sono nettamente contrari al principio di ricollocazione dei migranti tra differenti Stati membri. La soluzione per evitare questo blocco sembrerebbe essere quella di creare un accordo tra Stati “volenterosi”, penso all’Italia, alla Francia, alla Spagna, alla Germania. Questi potrebbero iniziare a definire degli accordi fuori dal quadro normativo dell’Unione Europea, cioè tramite accordi internazionali, con la speranza che tali accordi, in futuro, siano poi resi obbligatori per tutti gli Stati dell’Unione.

(Marco Biscella)





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