RISPARMIO ITALIANO/ La mossa per uscire dalla gabbia del debito pubblico

- Paolo Tanga

Si può andare oltre la proposta di titoli irredimibili di Paolo Savona e convincere gli italiani a cancellare il debito pubblico

savona consob 1 lapresse1280 640x300 Paolo Savona, presidente della Consob (LaPresse)

Paolo Savona, con le sue dichiarazioni rese pubbliche lo scorso 16 giugno 2020 in occasione dell’incontro annuale della Consob con il mercato finanziario, ha ribadito una cosa incontrovertibile, ma della quale pochi sono in grado di comprendere la portata: “La posizione finanziaria con l’estero dell’Italia resta in sostanziale pareggio”, “il nostro Paese non rappresenta un problema finanziario per il resto dell’Europa e del mondo, ma una risorsa di risparmio a cui l’estero attinge in diverse forme per la sua crescita”. Infatti, ha soggiunto che “all’Italia non mancano solide fondamenta reali, ma scarseggia la loro giusta considerazione”.

Savona ha proseguito l’analisi assegnando ai poteri dello Stato la necessità di intervenire per tener sotto controllo la mutevolezza della fiducia dei mercati (ciò sarà possibile se le autorità europee e gli organismi sovranazionali contrasteranno le valutazioni distorte): suggerisce di emettere obbligazioni pubbliche irredimibili e ritiene di salvaguardare la solidità e la resilienza del risparmio italiano affinché questo affluisca verso il capitale produttivo. Per far ciò, dette obbligazioni “potrebbero riconoscere un tasso dell’interesse, esonerato fiscalmente, pari al massimo dell’inflazione del 2% che la Bce si è impegnata a non superare nel medio termine”. Secondo Savona, “le condizioni del mercato del risparmio italiano e le manifestazioni di solidarietà sociale che si sono susseguite nei due mesi di lockdown sollecitano una verifica pratica delle espressioni di valori sociali encomiabili, chiedendo ai cittadini risparmiatori di partecipare nel loro interesse a impedire che costi e vincoli possano essere imposti al Paese se non si raggiungessero i rapporti di debito pubblico/Pil nella misura concordata a livello europeo”. Per questo, la sottoscrizione di obbligazioni irredimibili “sarebbe ovviamente volontaria e l’offerta quantitativamente aperta”. “Se i cittadini italiani non sottoscrivessero questi titoli concorrerebbero a determinare decisioni che, ignorando gli effetti di lungo periodo di un maggiore indebitamento pubblico, creerebbero le condizioni per una maggiore imposizione fiscale”.

La portata delle affermazioni del professore sottendono sicuramente la realtà sottaciuta dal politico Mattarella, troppo filo-europeista, che ha pertanto indotto Savona a non esplicitare in modo più chiaro la frase “l’Italia è … una risorsa di risparmio a cui l’estero attinge in diverse forme per la sua crescita”; al riguardo basta andare a spulciare tra i miei articoli pubblicati su questo quotidiano per avere una parte delle risposte. Di fronte all’assoluto ossequio esterofilo, i suoi consigli portano all’adozione di proposte non proprio risolutive, ma senz’altro migliori del ricorso a qualunque tipo di indebitamento estero.

Se i risparmiatori italiani rispondessero positivamente, i Governi si ritroverebbero con la progressiva sparizione del debito pubblico dal bilancio dello Stato. Infatti, l’emissione di debito irredimibile lo cancella come debito da restituire. Rimarrebbe nel bilancio del conto economico l’addebito della rendita perpetua, pari al 2% del risparmio consegnato al Tesoro dello Stato. L’acquisto di 2.500 miliardi di titoli irredimibili comporterebbe un costo annuo di 50 miliardi di euro, inferiore a quanto pagato attualmente, ma soprattutto l’esborso rimarrebbe nei confini nazionali contribuendo a ridurre una delle falle preordinate dalla politica italiana a partire dalla fine degli anni Settanta. Questo sempre che si restituisca anticipatamente il debito contratto a condizioni più onerose e usuraie, atteso che la moneta euro è una moneta emessa a debito, cioè il prelievo degli interessi non viene compensato dall’immissione di altrettanto denaro senza debito nei territori dai quali essi vengono prelevati.

La proposta del professor Savona si preoccupa di mettere ordine nella contabilità nazionale dello Stato italiano, perciò non guarda alla necessità di ridurre la pressione fiscale in un periodo congiunturale aggravato da improvvide decisioni generalizzate suffragate da consigli tecnici rivelatisi controproducenti, dilatori e inadeguati.

Cosa offre Savona ai risparmiatori per invitarli a cedere allo Stato i capitali messi da parte con tanto sacrificio? Semplicemente una rendita pari all’ammontare dell’inflazione del capitale ceduto, che la Bce è impegnata a garantire; se non cedessero i loro risparmi, essi non tutelerebbero i propri interessi perché l’Europa imporrebbe all’Italia dei vincoli stringenti e una maggiore imposizione fiscale onde conseguire il rispetto del rapporto debito pubblico/Pil.

Quello che accade in questi giorni avvalora i timori del professore: la Bce ha avviato una nuova emissione di operazioni Tltro per un importo superiore a 1.300 miliardi di euro, ma alle banche di proprietà italiana non va nulla, perché partecipano all’elargizione solo banche di proprietà straniera operanti in Italia e per 200 miliardi di euro. Gli Stati europei che attingono in diverse forme dal risparmio italiano, di cui il Presidente della Consob ha parlato, hanno chiesto che i fondi europei da far erogare dalla Bce come Recovery fund vengano dimezzati; non erano convenienti, ciononostante subiscono una riduzione e non si sa nemmeno quale ulteriore penalizzazione.

Il problema è che alla guida del Paese si stanno succedendo politici che si sono dimostrati incapaci di guidare una realtà economica effervescente e imprevedibile di piccoli imprenditori italiani. Sono, però, riusciti a creare loro ulteriori problemi e nessuna soluzione; in campo soltanto delle mance (quando ottenute – non dimentichiamo, infatti, che molti sono ancora in attesa).

Savona è attento alla circostanza che non possa offrire molto, perciò propone che i titoli e il rendimento non vengano tassati, ma non tiene conto che Monti introdusse un’imposta patrimoniale su depositi virtuali nascosta sotto forma di imposta di bollo sul valore di negoziazione dei titoli, anche di Stato, che avrebbero dovuto godere dell’esenzione da qualunque imposta presente e futura. Chi garantisce che in futuro non si inventino altre diavolerie del genere? E cosa succede in caso di successione?

Perché, poi, solo i risparmiatori devono preoccuparsi di salvare l’intero Paese in cambio del nulla? Occorrerebbe che il Savona prendesse il posto di Conte nella gestione del Governo.

Il mio precedente articolo contiene una mia proposta che, unificata con la genialità di questa, porta a migliorare immediatamente la situazione italiana. Infatti, proponendo l’abolizione di tutte le imposte sul reddito in cambio della sottoscrizione dello stesso quantitativo di titoli irredimibili al tasso dello 0,50%, non solo i risparmiatori, ma anche chi non dispone di nulla sarebbe disposto a sottoscrivere titoli irredimibili con rendimento semestrale chiedendo un prestito a lunghissima scadenza con capitalizzazione annuale allo stesso tasso. La sottoscrizione dovrebbe essere necessariamente limitata, perché supererebbe ogni aspettativa! Peraltro, il debito pubblico sparirebbe dal bilancio dello Stato e, fissato il limite alla sottoscrizione di 2.500 miliardi di euro, il conto economico del bilancio statale sarebbe gravato di soli 12,5 miliardi di euro a fronte dei 50 miliardi sopra indicati. Inoltre, non dovendo restituire il capitale ricevuto, sarebbe più rapido pervenire ad altri sgravi fiscali.

Anch’io rispetto la libertà delle decisioni e ritengo maggiormente appetibile la mia proposta, fatta in altra sede, di proporre ai risparmiatori italiani di sottoscrivere un debito pubblico trentennale con rendimento dello 0,50% pari a 12 volte l’importo delle imposte dirette pagate nel 2019 esente da qualunque imposta, compresa la patrimoniale di Monti, non conteggiabile ai fini Isee e dalle imposte di successione (ci manca pure che, dopo aver rinunciato al capitale e aver ottenuto solo una rendita che nel tempo tende a svalutarsi a causa dell’inflazione lo Stato chieda agli eredi di ripagare, sia pure in parte il relativo capitale ceduto per sempre), ottenendo in aggiunta l’esenzione da tutte le imposte dirette presenti e future e relative addizionali. Il maggior reddito annualmente disponibile nelle tasche degli italiani contribuirebbe a un incremento della domanda da indirizzare verso prodotti nazionali per moltiplicare gli effetti espansivi sull’economia.

Sembra un paradosso, ma questa proposta – che prevede la possibilità di ricorrere a banche pubbliche o convenzionate per l’ottenimento di prestiti per sottoscrivere i titoli pubblici speciali e irredimibili concessi allo stesso tasso dello 0,50%, ma a capitalizzazione annuale – consente allo Stato di incassare un maggior ammontare di imposte indirette rispetto all’abolizione di quelle dirette, di avviare una campagna di investimenti pubblici produttivi e, poiché rispetto alla mia precedente proposta non comporta che a partire dal ventunesimo anno e fino al trentesimo non occorre più azzerare il debito pubblico, perché diventato irredimibile, ma metterà a disposizione del Tesoro ben 250 miliardi di euro annui per tutto il decennio. A quel punto lo Stato potrà avviare anche la riduzione dei prelievi fiscali per imposte indirette. Ma vi pare che i politici che ci hanno ingabbiati possano assumere decisioni per farci uscire dalla gabbia?





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