La rapida evoluzione degli eventi in Siria rende molto difficile analizzare i fatti ed effettuare una qualsivoglia proiezione sul futuro della nazione. L’estrema confusione, la contraddittorietà, il continuo simula e dissimula dei comportamenti dei vari attori in commedia, sarebbe un caso di studio per un trattato di relazioni internazionali. Ma è anche la chiave di lettura degli eventi. Gli esiti della guerra per procura che si è sviluppata negli 13 anni e che accelerata negli ultimi 12 giorni hanno permesso l’individuazione di alcuni attori nelle formazioni anti-Assad e relativi sostenitori militari e finanziari. Il solco dell’azione si è dimostrato atipico, ma intellegibile.
Hezbollah ha sempre sostenuto Assad per conto dell’Iran. I curdi, molto abili sul terreno e nei rapporti internazionali, sono stati viceversa poco intellegibili sempre intenti a cautelarsi. Russia e Iran sono stati storicamente due “imperi” nemici, sempre in competizione con la Turchia per l’egemonia del Medio Oriente, con l’instabilità indotta dal patto Sykes-Picot per la spartizione dell’Impero ottomano. Principi di contenimento e di equilibrio applicati alla perfezione dalla diplomazia occidentale del 900 con la creazione dello Stato di Israele per impedire in quel quadrante la formazione di una potenza egemone e mantenere l’area instabile per poterla controllare e sfruttare. E nel contempo far pagare al Medio Oriente il debito europeo dell’olocausto degli ebrei.
Oggi la Russia avanza in Ucraina ma ha bisogno di chiudere la guerra al più presto. La Turchia regola il passaggio delle navi russe nel Bosforo; Mosca non può mollare le basi in Siria per non perdere influenza nel quadrante e di conseguenza potere contrattuale con Pechino. In ultimo, gli USA, prima egemoni, oggi sono in crisi. La storia, con buona pace di Fukuyama, non è finita e continua attraverso le relazioni internazionali basate sui rapporti di forza.
A Gerusalemme risiede l’attore che ha riempito il vuoto strategico lasciato dagli americani per il controllo del Medio Oriente. Grazie al casus belli del 7 ottobre, Israele ha approfittando della debolezza del blocco sciita e della senescenza di Joe Biden per martellare i suoi nemici nell’area mettendo a rischio il suo rapporto con l’Occidente e il blocco sunnita degli arabi. Con la sua spregiudicatezza e l’efferatezza della sua azione, Israele ha rischiato grosso. Sarebbe bastata la minima incrinatura del fragile equilibrio di desistenza che si era creato in Medio Oriente perché tutto il castello crollasse. Netanyahu ha finto debolezza, ma purtroppo per Gaza è andato fino in fondo.
Ora, in Siria, da un sanguinario laico siamo passati ad un sanguinario religioso. Al Jawlani, sul quale pende una taglia come terrorista internazionale e che ha fatto un terribile cursus honorum tra le fila delle peggiori organizzazioni terroristiche, per ora pare presentabile. Ma è comunque figlio diretto dello sceicco del terrore Osama bin Laden. Sarà in grado di gestire la galassia di tagliagole incontrollabili che insanguinano quei territori e che potrebbe trasformare la Siria in una nuova Libia? Quanto durerà la convergenza ostile di interessi Tra Turchia e Israele per pacificare la zona? Sarà sufficiente la scossa geopolitica fornita dal disastro geopolitico subito dall’Iran per imprimere un nuovo corso alla repubblica islamica? Basterà l’aiuto finanziario che l’esangue economia turca e i nuovi padroni siriani hanno ricevuto e riceveranno dai Paesi del Golfo per pacificare l’area? Basteranno gli Accordi di Abramo ai Paesi del Golfo, tesi a beneficiare della finanza ebraica, per saldare il fronte anti-sciita?
La transizione sta avviando un pericoloso risiko che coinvolge tutti gli attori che abbiamo indicato, con all’ultimo posto Al Jawlani appeso ai fili di tutte le potenze in ballo. La vacanza di un egemone, creata a tavolino, per interessi esterni non aiuterà certo a dare stabilità all’area.
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