SEPARAZIONE DELLE CARRIERE/ Cosa cambierebbe con la riforma e il “mistero” di un ddl che ancora non c’è

- Corrado Limentani

Il Governo ha raggiunto un accordo sulla separazione delle carriere. Ma è una riforma che ne richiede altre: dal CSM alla Costituzione. E un ddl ancora non c'è

csm giustizia csm mattarella nordio 1 ansa1280 640x300 Plenaria del Csm: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Carlo Nordio, ministro della Giustizia (Ansa)

Fanno sul serio questa volta? O è l’ennesimo annuncio cui poi non viene dato alcun seguito? La separazione delle carriere dei magistrati era nel programma di governo. Se ne è parlato spesso, ma a un anno e mezzo dal suo insediamento nulla o quasi è stato fatto per realizzare questa riforma. La ragione è semplice: i giudici sono contrari. E nessuno ha interesse a scatenare una sicura e virulenta protesta del potere giudiziario. La separazione delle carriere viene vista come un attacco all’indipendenza dei magistrati che sarebbero “attratti nella sfera d’influenza del potere esecutivo” (parole di ieri del presidente dell’ANM, Associazione nazionale magistrati), anche se il ministro della Giustizia giura che questo rischio in realtà non si corre.

Separazione delle carriere non vuol dire solo che chi intende fare il giudice non potrà diventare pubblico ministero e chi diventa pm non potrà mai fare il giudice, ma anche che i futuri magistrati devono poter accedere alle funzioni con due diversi concorsi e dovranno essere creati due CSM (Consiglio superiore della magistratura) distinti, e cioè due diversi organi di autogoverno onde evitare interferenze e condizionamenti. Solo così si realizzerà nel nostro processo penale quell’equilibrio perfetto per cui il giudice è terzo rispetto ad accusa e difesa (adesso, invece, il pm e il giudice sono colleghi).

A giudicare dall’autorevolezza dei partecipanti al vertice tenutosi ieri, la volontà politica di realizzare questa riforma sembra ormai consolidata: la presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia con i suoi sottosegretari e i presidenti delle  commissioni giustizia di Camera e Senato hanno dato il via libera. Quel che rende perplessi è che il disegno di legge costituzionale (perché occorre modificare la Costituzione), dopo un anno e mezzo di governo non sia ancora pronto. Verrà presentato a breve, si dice. Prima delle elezioni europee di giugno. Possiamo credere a questo impegno o verrà annunciato un altro rinvio?

Vero è che la proposta governativa non è di poco conto e, se troverà uno sbocco legislativo, si può definire rivoluzionaria (nel senso positivo del termine: veramente innovativa). La riforma non riguarderà infatti solo la separazione delle carriere, ma anche la creazione di quella che viene pomposamente definita una “Alta Corte”. Questo nuovo organismo, per quanto è dato di capire dalle indiscrezioni trapelate (anche se già ne avevano fatto cenno precedenti proposte), avrebbe il compito di “giudicare i giudici”, e cioè occuparsi delle sanzioni da comminare ai magistrati che sbagliano. Oggi questo compito è affidato alla sezione disciplinare del CSM, ma funziona poco e male. Il CSM è composto prevalentemente da magistrati e i magistrati che devono valutare altri magistrati sono piuttosto indulgenti. La nuova Alta Corte sarebbe invece a composizione mista (quindi anche con professori ed avvocati) e garantirebbe maggiore equità.

E ancora la proposta di riforma intende modificare i meccanismi che regolano le elezioni dei componenti del CSM (o dei CSM, in ottica riforma) ancora oggi, nonostante la riforma Cartabia, ritenute essere monopolizzate dalle correnti. Secondo il disegno di legge la scelta dei candidati da eleggere sarebbe affidata in via preliminare ad un sorteggio, impedendo così cordate e strategie elettorali.

Tutte innovazioni queste, come si è fatto cenno, assai rilevanti che richiedono modifiche della Costituzione e solide maggioranze parlamentari andando a incidere su organismi regolamentati dalla nostra Carta fondamentale. Vista l’importanza delle modifiche proposte dal governo, non occorre essere esperti di politica o di diritto per capire che non è sorprendente che il mondo della magistratura sia in grande agitazione e che non si possa prescindere da un dialogo fra tutte le componenti del pianeta giustizia per operare scelte il più possibili condivise (del resto in questi mesi le audizioni di professori, giudici ed avvocati sono state numerose). Ma è il Parlamento che ha il compito di legiferare e alla fine sarà il Parlamento a dover decidere. La speranza è che finalmente lo faccia davvero.

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