Meloni e Schlein stanno “comunicando” a distanza. Il tema è quello di una reciproca investitura che leader dei rispettivi schieramenti nel 2027
Non scopriamo oggi che Giorgia Meloni ed Elly Schlein si sono utili a vicenda, forse addirittura necessarie. L’orizzonte è evidente da tempo: il voto politico 2027 (se non addirittura a una scadenza anticipata). Su uno scenario ambizioso, per molti versi dirompente: un duello fra due donne, una premier in carica appena 50enne e una sfidante 40enne a capo del campo d’opposizione.
Pochi dubbi sul fatto che costituirebbe di per sé il vero inizio della “terza repubblica”: prevedibilmente con l’apertura reale del cantiere delle riforme istituzionali, forse accompagnato anche al Quirinale dall’avvento di un presidente non più espressione (partisan) della prima e della seconda Repubblica.
Nessuna sorpresa, quindi, che la premier abbia chiamato la leader Pd dopo l’escalation bellica fra Usa e Iran. E lo abbia subito fatto sapere, delineando un dialogo bipartisan su una crisi geopolitica sempre più complessa. Ma non solo.
La premier sente certamente la necessità di alleggerire il proprio schieramento – anche personale – nei confronti del presidente Donald Trump (peraltro grande mediatore con l’Iran della liberazione della giornalista Cecilia Sala). Si era già avuto un segnale importante con il lungo vertice riservato a Roma con il presidente francese Emmanuel Macron.
Analogamente, ieri, Meloni ha azionato anche il “telefono rosso” – istituzionale, politico, personale – con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Sarà a Bruxelles – al di là di tutte le crescenti turbolenze intra-Ue – che matureranno le decisioni su riarmo, dazi o cooperazione con Israele.
Ed è su questi dossier che si preannuncia una verifica politica all’europarlamento, dove il Ppe continua a guardare alla definitiva inclusione nella “maggioranza Ursula” della destra conservatrice di Ecr (in attesa del possibile rientro dei conservatori britannici) per rintuzzare l’inquietudine crescente di socialdemocratici e liberali, anzitutto sulle correzioni di rotta alla transizione verde.
Il contatto con Schlein è stato certamente meno scontato: anzitutto perché è avvenuto all’indomani di una manifestazione di piazza pacifista a Roma, contro Israele, Usa e Nato. Un doppio corteo violento – anche per il rogo di bandiere – organizzato da M5s e Avs, senza l’adesione ufficiale del Pd.
Un passaggio delicato per Schlein, che continua a condividere nella sostanza l’opposizione del “popolo della sinistra” al bellicismo di Israele e – con posizioni più articolate – a quello acceso da tre anni fra Russia e Ucraina. Sfumato (male) il colpo referendum su Jobs Act e cittadinanza, l’anti-bellicismo (pubblicamente appoggiato anche dal segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin) resta il principale collante del “campo largo di sinistra”, cioè del cantiere di coalizione elettorale 2027. Se e come quest’ultima potrà presentarsi ai blocchi di partenza del voto rimane però ancora incerto.
Sarà Schlein la candidata premier contri Meloni? Oppure dovrà misurarsi con la concorrenza dell’ex premier Giuseppe Conte, che ha già guidato per conto di M5s un esecutivo con il Pd nella maggioranza? Conte 1 e 2 – trasformisticamente confermato nel ribaltone 2019 – vanta rapporti consolidati con il presidente Sergio Mattarella, il quale sembra lui stesso di fronte a una fase insidiosa.
La necessità di enfatizzare la sua fede europeista e anti-trumpiana – in più che sottintesa contrapposizione a Meloni – ha portato Mattarella a sposare il piano ReArm, certamente non gradito al “campo largo di sinistra-sinistra” in costruzione fra Pd, M5s e Avs. Ma è quest’ultimo esito tout court – con poche ombre di dubbio – a non suscitare l’entusiasmo di un presidente che resta il leader ultimo dei “cattodem” italiani. Non senza complicazioni ulteriori: com’è tipico di questa fase.
Il Quirinale è stato fra i critici della prima ora della sanguinosa reazione di Israele a Gaza, verosimilmente per mettere sotto pressione il posizionamento pro-Gerusalemme del governo di destra-centro, marcando una sintonia con la Santa Sede (prima di Papa Francesco, poi di Papa Leone); e per tenere alta la guardia a tutela della libertà democratica di protesta.
Posture coerenti, in linea di principio, con i movimenti pro-pal della sinistra più o meno antagonista. Su questo versante Mattarella non ha mancato neppure di togliere copertura – in parte – alla “sua” senatrice a vita Liliana Segre: un tempo icona della sinistra di piazza contro l’“odio nero”, oggi bersaglio delle stesse piazze in quanto mai veramente dissociata dal governo Netanyahu.
Riuscirà Mattarella a tenere assieme tutto, ovvero il sì all’Europa di ReArm (già molto problematico, tre mesi fa, per il “girotondo” di Michele Serra) e il no “di piazza” a Israele, Usa e Nato? La Grande Trattativa fra Meloni e Schlein è intanto cominciata. Con in scaletta anche la legge elettorale. Materia in cui, peraltro, l’autore del “Mattarellum” è uno specialista.
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