INCHIESTA/ Il futuro di Alitalia tra Air France e la cura di Stato

- Juanfran Valerón

L’amministratore delegato di Alitalia, Rocco Sabelli, ha dichiarato che la compagnia aerea italiana quest’anno non raggiungerà il pareggio di bilancio. Il commento di JUANFRAN VALERON

Sabelli_Alitalia_ModellinoR400 Rocco Sabelli (Foto Imagoeconomica)

È vero, meno di un mese fa, salutando con entusiasmo la riduzione a 25 milioni di euro delle proprie perdite, a seguito dei risultati del terzo trimestre, Alitalia stessa aveva ammesso che l’outlook degli ultimi tre mesi dell’anno indicava un brusco rallentamento della domanda business (oltre che il permanere di elevati livelli di costo del carburante). Tuttavia, perché Rocco Sabelli, ha gettato la spugna così presto, prima ancora del periodo vacanziero di dicembre? L’amministratore delegato della compagnia di bandiera ha infatti detto che nemmeno quest’anno verrà raggiunto il pareggio di bilancio. Tutta colpa della clientela business, sia chiaro: siccome da metà settembre le prime 50 imprese italiane in termini di Pil hanno ridotto del 10% su base annua il traffico con Alitalia (con punte che tra ottobre e novembre sfiorano il -50%), allora la compagnia aerea cancella dal suo vocabolario la parolina magica “pareggio operativo” che per mesi ha sbandierato ai quattro venti.

Ma non è finita. A sentire le parole di Sabelli, in Alitalia d’improvviso tira una brutta aria, perché questo andamento negativo avrà effetti anche sui conti dell’anno prossimo e allora, spiega l’ad del vettore italiano, si imporrà una riflessione. Perfetto: accettiamo in anticipo l’invito di Sabelli e riflettiamo su quelle che possono essere le soluzioni sul piatto. Anzi, immaginiamo che siano dei veri e propri piatti, delle portate da tavola, e cominciamo ad “assaporare” quello dello stesso manager italiano.

Il piatto unico di Sabelli

Infatti, Sabelli sembra aver già pronta la cura contro i mali della sua azienda, che andrà incontro, non dimentichiamolo, alla scadenza della deroga alle normative antitrust circa la posizione dominante su alcune rotte italiane. La ricetta è semplice: se non è possibile avere il monopolio di un aeroporto controllandone gli slot (leggi Linate), allora facciamo in modo che da un aeroporto (leggi Fiumicino) vengano esclusi i concorrenti più agguerriti. Sabelli ha infatti detto di essere molto preoccupato per la situazione di Fiumicino, dove gli investimenti sono bloccati, frenando così l’espansione di SkyTeam (il network internazionale di cui fa parte Alitalia). Inoltre, nel principale hub romano, lui, fosse stato in Enac e Adr, non avrebbe mai fatto entrare una low cost come Easyjet. Perché? Perché Alitalia è il principale cliente dello scalo, vale la metà del fatturato e pretende la priorità. Quindi sono gli altri che si devono spostare per lasciare spazio ad Alitalia. Infine, giusto per caricare di valore internazionale questa pretesa monopolistica, Sabelli ha detto che grazie al piano di Alitalia Fiumicino è il terzo hub strategico europeo di SkyTeam dopo Parigi e Amsterdam.

E tanto per non far credere che siccome qualcuno sta facendo il bene dell’Italia allora ha il diritto di essere trattato come il campione nazionale che deve passare sopra tutti gli altri, Sabelli ha tenuto ad appellarsi a una direttiva del 2007 emanata dal ministero delle Infrastrutture che prevede che le compagnie low cost si trasferiscano all’aeroporto di Viterbo, con la chiusura di Ciampino. Giusto per dare un’idea, tra Viterbo e Roma ci sono circa 120 km: quale cittadino romano sceglierebbe di volare, seppur a basso costo, dovendo raggiungere un aeroporto così lontano? È come se un milanese dovesse prendere un aereo a Torino. A puro titolo informativo, l’aeroporto di Orio al Serio, diventato “colonia” di Ryanair, dista meno di 60 km da Milano, così come Malpensa, diventato terreno fertile per Easyjet dopo l’addio proprio a opera di Alitalia.

 

La ribollita light alla francese

Si tratta di un vero e proprio tormentone. Air France poteva mettere le mani su Alitalia nel 2007/2008, non c’è riuscita e forse gli è andata anche bene, perché potrebbe riacquistarla presto “scremata” dei debiti e con meno personale di prima: si tratta solo di aspettare il 2013, quando i soci italiani potranno vendere le loro quote a soggetti stranieri. Alitalia potrebbe però non arrivare in buona salute all’appuntamento tra due anni e c’è anche da dire che i francesi non se la passano bene: anche loro chiuderanno il 2011 in perdita, ed è anche per questo che circa un mese fa c’è stato un cambio della guarda ai vertici di Air France, con il ritorno di Jean-Cyril Spinetta al posto di Pierre-Henri Gourgeon. Il primo era stato protagonista delle trattative per acquistare Alitalia, il secondo è stato artefice dell’ingresso francese nel capitale dell’azienda italiana. A Parigi si annunciano tagli e revisione delle strategie. Un clima non favorevole per l’acquisto di un vettore (Alitalia) che non fa utili. Tutt’al più si potrebbe dar vita alla famosa super-holding tra Delta, Air France e Alitalia: un progetto ambizioso, che non ha precedenti e che quindi richiede di essere ben pensato e organizzato prima di essere messo in atto.

 

Le pennette tricolore

Qualcuno l’aveva ipotizzato poco dopo la nascita di Cai: lo Stato rimetterà piede in Alitalia. I mezzi per farlo c’erano già prima ed esistono ancora oggi, grazie alla Cassa depositi e prestiti e al suo Fondo strategico italiano. Ovviamente si tratterebbe della “carta della disperazione”, una sorta di ultima spiaggia nel caso Air France navigasse in brutte acque o non fosse intenzionata ad accrescere la sua partecipazione in Alitalia e questa si trovasse in pesanti difficoltà. Tutto allora tornerebbe nelle mani dello Stato, cioè dei contribuenti, su cui già gravano gli esuberi e i debiti della vecchia compagnia.

Lo chef

A curare la preparazione di questi piatti dovrebbe esserci però un buono chef. Rocco Sabelli? No, siete fuori strada. Nel mio esercizio di stile intendo mirare più in alto, a un ministro della Repubblica italiana. Sì, proprio lui: Corrado Passera. Il quale, secondo Sabelli, ha un’agenda fitta e complessa. Per forza: parecchi pensieri glieli darà proprio lui! A chi spetta, infatti, la delega sui Trasporti che potrebbe obbligare le compagnie low cost a lasciare Fiumicino e Ciampino per Viterbo? Chi, come titolare delle Infrastrutture, potrebbe stanziare fondi di investimento per l’hub romano? Chi, come ministro dello Sviluppo, potrebbe (di concerto, sia beninteso, con il ministro dell’Economia) disporre del Fondo strategico italiano? Sì proprio l’uomo che insieme a Roberto Colaninno e Rocco Sabelli (con la benedizione del Governo Berlusconi) ha dato vita alla “privatizzazione” di Alitalia. La domanda allora sorge spontanea: non è che il “grido di allarme” di Sabelli era in realtà un “fischio” indirizzato dritto dritto a via Veneto? Sì, certo, Passera ha spiegato che non c’è conflitto di interesse nel suo incarico: non è più Ceo di Intesa Sanpaolo e nemmeno ne è azionista. Tuttavia, come fanno notare anche dalle parti di via Solferino a Milano, esiste un “conflitto manageriale” che riguarda, tanto per fare degli esempi (abbastanza eloquenti visto anche il super-ministero che Passera ha in mano), al di là di Alitalia: Telecom, Ntv, Fiat e Banca d’Italia.

 

Il “portoghese”

Nello strano ristorante che è l’Italia, succede spesso che qualcuno consumi il suo piatto senza pagare il conto. Volete sapere di chi si tratta in questo caso? Pensate a qualcuno che, nel momento in cui si stava “privatizzando” o “salvando” Alitalia, è riuscito a farsi pagare la sua compagnia aerea (AirOne) che, a quel che è dato sapere, non navigava in buone acque. Sì, proprio lui: Carlo Toto. Chi ha pagato al posto suo? La risposta è semplice: per averla prendete uno specchio e fissatelo intensamente…





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