FINANZA/ Fortis: dalla Cina “un’ancora” per la ripresa dell’Italia

- int. Marco Fortis

Negli ultimi giorni lo spread tra Btp e Bund continua a essere in calo. Tuttavia, spiega MARCO FORTIS, l’economia italiana è chiamata a un passaggio epocale per il suo futuro

Operai_Cingolo_PPR400 Foto Imagoeconomica

In questi giorni sui mercati finanziari sembra essere tornato il sereno per quel che riguarda l’Italia. In settimana persino Standard & Poor’s, la principale delle agenzie di rating che aveva declassato il nostro Paese, ha dovuto riconoscere che la situazione sta cambiando. Effettivamente lo spread tra Btp e Bund è sceso nelle ultime settimane, ormai è stabile intorno ai 300 punti base, ma è anche sceso intorno ai 290. «È senz’altro – ci dice Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison – un risultato significativo se si pensa a qual era la situazione fino a poche settimane fa in tutta Europa. A determinarlo sono concorsi sia fattori esterni che interni».

Partiamo dai primi. Di che cosa si tratta?

Sono stati molto rilevanti, in particolare le due operazioni Ltro della Bce, che, come ha ben sintetizzato giovedì Mario Draghi, sono state un indiscutibile successo, capace di evitare uno shock storico per l’Europa. Inoltre, seppur con una certa fatica, è andata in porto anche la ristrutturazione del debito della Grecia. Sui mercati sta quindi tornano fiducia.

Quali sono stati invece i fattori interni all’Italia?

Da una parte gli interventi efficaci, soprattutto la riforma delle pensioni. Dall’altra, l’aver assicurato le coperture finanziarie a quelle voci di bilancio già previste dalle manovre precedenti, in modo da poter garantire il raggiungimento dell’azzeramento del deficit. È poi evidente che anche l’immagine ha avuto il suo peso: i viaggi e gli incontri internazionali dei membri del governo hanno contribuito a portare un po’ di fiducia sul nostro Paese, tanto che ne è rimasta colpita anche Standard & Poor’s. Quando poi l’Economist arriva a paragonare Monti a Cincinnato…

È una situazione che potrà ulteriormente migliorare?

È difficile dirlo, perché l’incognita greca non è del tutto risolta. Inoltre, obiettivamente tutta l’Eurozona è in una situazione economica che, anche se in fase di miglioramento, resta ancora difficile, con il rischio di una stagnazione. Per l’Italia è già certa una recessione nei primi sei mesi dell’anno. Non è poi da sottovalutare il “rischio Spagna”: Madrid dovrà stare attenta a rispettare i parametri deficit/Pil che sono richiesti dall’Europa.

Draghi giovedì ha parlato di una “ripresa graduale” nel 2012 per l’Europa. L’Italia potrà agganciarla?

Specifichiamo subito che non si tratterebbe di una grande ripresa. Tutto l’Occidente è drammaticamente fermo. La Germania è stata tanto lodata, ma quest’anno crescerà pochissimo. Stati Uniti e Francia dopo le elezioni dovranno attuare politiche di austerità per combattere gli alti livelli di debito e deficit. Quando tornerà la crescita non dovremo aspettarci molto. L’Italia poi è in una situazione paradossale.

 

Quale?

 

Il nostro Pil è calato di molto e ha mostrato una scarsa capacità di ripresa. Le imprese hanno in parte reagito, ma purtroppo solo quelle orientate all’export. La domanda interna è rimasta ferma, così come gli investimenti delle imprese e quelli in costruzioni. Solamente le aziende esportatrici hanno investito, ma lo hanno fatto sostanzialmente all’estero. Le famiglie per contro, da noi hanno sofferto pochissimo. Questo non vuol dire che non ci siano persone in difficoltà, che hanno perso il lavoro o che sono rimaste senza tutele. Il fatto è che i consumi destagionalizzati delle famiglie sono calati alla fine del 2011 in termini reali dell’1,1% rispetto alla fine del 2007 (quando furono toccati i massimi). In Olanda il dato è del -4,2%, in Danimarca del -3,8%, in Gran Bretagna del -5,5%, in Spagna del -6,6%, in Irlanda del -13,8%, in Ungheria del -9,4% e in Estonia del -19%.

 

Cosa ci dicono questi dati?

 

Dimostrano che laddove il Pil è calato meno che da noi, ciò è avvenuto perché si è smesso di importare, migliorando così la bilancia estera, e si è potuto alimentare un livello inferiore di domanda interna con una produzione che è calata in misura inferiore rispetto alla nostra. La quale ha anche dovuto quindi anche fermare le esportazioni verso i paesi Ue. Tuttavia, in questi altri paesi le famiglie stanno peggio rispetto alle nostre. Dove ci sono state bolle immobiliari o disastri finanziari, i consumi sono crollati. Meglio dell’Italia hanno fatto solo la Francia (grazie soprattutto all’uso di incentivi e di spesa pubblica) e la Germania (grazie ai bassi tassi dovuti alla loro situazione sui mercati del debito pubblico rispetto a quella del resto d’Europa). Nel 2012 però le cose cambieranno.

 

In che modo?

 

In Italia, a seguito delle manovre severe del governo attuale e del precedente, per la prima volta ci sarà un vero calo significativo dei consumi privati. A mio avviso il margine di sopportazione (mi rendo conto dell’espressione infelice) delle famiglie italiane esiste ancora. La nostra speranza è riposta da una parte nelle esportazioni, che potrebbero crescere ancora, specie verso i paesi emergenti. Dall’altra dovremo avere un calo dell’import per effetto dell’austerità. Tutto questo dovrebbe determinare un certo miglioramento della domanda estera netta, che sarà l’unica cosa positiva per il Pil, visto che i consumi caleranno secondo alcuni addirittura del 2%. Credo però che dopo questa fase ci sia la possibilità di un lento recupero, che ci potrà allineare agli altri paesi verso la fine del 2012.

 

Il Governo può mettere in campo degli interventi per favorire questo lento recupero?

Si dovrà certamente evitare di abbassare la guardia sui conti pubblici. Dopodiché questo governo, o quello che uscirà dalle prossime elezioni, una volta finita questa “cura dimagrante” di austerità dovrà porsi un problema cruciale: in una situazione in cui non si cresce più se non attraverso l’export verso gli emergenti, bisogna assolutamente tenere in vita il sistema manifatturiero, che è l’unica arma che si può avere a disposizione per avere un margine di crescita nel futuro. Questo i tedeschi l’hanno capito da tempo. Bisogna fare in modo di arrivare con un sistema manifatturiero ancora in vita al 2020-2025, quando i cinesi ricchi saranno il triplo di quello di oggi, cosicché avremo qualcosa da vendergli.

 

In che modo sarà possibile tenere in vita il sistema?

 

Occorre tenere viva un po’ di domanda interna. Altrimenti queste imprese che oggi abbiamo rischieremo di perderle per strada. Bisogna trovare una formula strutturale per riattivare un po’ di domanda interna. Magari con interventi mirati di defiscalizzazione per alcuni investimenti o consumi che favoriscano i prodotti del made in Italy. Bisogna fare in modo che restino in vita anche artigiani e Pmi, non solo i grandi marchi, le imprese del “quarto capitalismo”. Solo con esso, infatti, non riusciremo a reggere. Bene quindi le liberalizzazioni e tutte le altre misure che si stanno mettendo in campo, ma la vera cosa di cui abbiamo bisogno è un minimo di strategia sul sistema industriale italiano.

 

(Lorenzo Torrisi)





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