FINANZA/ Pelanda: una bolla “manda in tilt” l’Italia

- Carlo Pelanda

Negli ultimi giorni il cambio euro/dollaro sta scendendo, facendo scendere i timori sull’export italiano. Tuttavia, spiega CARLO PELANDA, ciò porta altri pensieri per il nostro Paese

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Fino a venerdì scorso si temeva che il valore dell’euro sul dollaro salisse fino a livelli che avrebbero penalizzato in modo catastrofico le esportazioni italiane. Invece l’euro, da una tendenza verso l’1,40 e oltre sul dollaro, è improvvisamente sceso sotto l’1,35, aprendo la speranza che potrebbe andare più giù. Per inciso, va ricordato che la parità in termini di potere d’acquisto tra le due valute è tra l’1,15 e l’1,20 euro per un dollaro: ogni cifra superiore o inferiore implica un’anomalia basata su eccessi di svalutazione o rivalutazione.

Cosa determina i valori di cambio? I flussi globali di capitale. Questi a loro volta sono influenzati, oltre che da fattori di stabilità politica, dai tassi di remunerazione del capitale decisi dalle Banche centrali, dall’inflazione attesa e dalla massa di liquidità disponibile agli attori finanziari. Cosa è successo? Dalla primavera scorsa la politica monetaria espansiva di Giappone e America ha liberato enormi masse di liquidità. Queste hanno trovato un dollaro con tendenza alla svalutazione e un euro con minor rischio di dissoluzione prospettica, nonché un’Eurozona con valori molto sottovalutati e si sono riversati sull’euro con voracità speculativa.

Tale dinamica di rivalutazione dell’Eurozona è il motivo principale per cui lo spread è sceso in Spagna, Grecia e Italia, di più nella prima perché il suo governo ha mostrato buona reattività alla crisi. La Borsa italiana è salita più di altre perché era troppo sottovalutata. In sintesi, i flussi di capitale hanno comprato qualsiasi cosa in euro, con effetti migliorativi sulla fiducia, ma al costo di un euro de-competitivo per eccesso di rivalutazione.

Ora questa bolla sta sgonfiandosi perché: (a) il mercato percepisce che in prospettiva il dollaro si rafforzerà per la fine della politica monetaria iper-espansiva, ma senza compromettere la crescita, e si prepara a tornare sul dollaro stesso; (b) l’Eurozona è a rischio di deflazione e sarà necessario ridurre il costo del denaro, nonché aumentare la liquidità nel sistema, pur la Germania contraria a questa re-flazione, cosa che farà scendere il valore di cambio dell’euro.

Se confermata – in materia di cambi le sorprese sono più frequenti delle certezze – è una buona notizia per l’export: scampato pericolo. Ma un retropensiero è inevitabile: se finisce la bolla che comprava il nostro debito, riducendone i costi di rifinanziamento senza vero merito dell’Italia, cosa succederà se la capacità di fare crescita tornerà a essere un criterio di valutazione? Il governo dovrebbe porsi questa domanda.

 

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