La nuova indagine sul delitto di Garlasco s sta svolgendo in un clima nel quale tutte le regole sono saltate. Il processo mediatico sta facendo danni enormi
Quanto sta accadendo a Pavia nelle indagini per l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco pone seri dubbi sul rispetto delle regole processuali e dei principi deontologici ed etici che governano il processo penale.
Il segreto investigativo è stato fatto a pezzi: tutti sanno tutto in tempo reale; i giornali pubblicano gli esiti degli accertamenti tecnici prima ancora che le consulenze siano poste a disposizione delle parti; tutti sanno come, quando e dove testimoni e imputati verranno interrogati; i testi vengono sentiti alla stessa ora dello stesso giorno dagli inquirenti e un minuto dopo tutti sanno cosa hanno detto (benché i Pm abbiano il potere, evidentemente non esercitato, di secretare anche gli interrogatori).
Di solito la colpa per la diffusione agli organi di stampa di notizie sul processo viene attribuita agli avvocati. Questa volta no. Le indiscrezioni non possono che venire da altri, perché le informazioni pubblicate dai mass media riguardano indagini svolte dagli inquirenti ed ancora non note agli imputati e ai loro difensori.
Non solo. Spesso le informazioni sul processo di Pavia diffuse da giornalisti poco scrupolosi sono imprecise e fuorvianti, come quella apparsa su alcuni quotidiani per cui l’impronta dell’indagato sarebbe stata trovata nel sangue della vittima. Rivelazioni smentite della Procura, costretta a correre ai ripari, certificando di fatto la violazione del segreto istruttorio, e a rettificare l’improvvida errata indiscrezione pubblicando una formale smentita ove si precisa che l’impronta è stata trovata sul muro di casa Poggi, non distante da dove è stata trovato il cadavere della povera Chiara.
Alcuni dicono che il processo mediatico giova all’accusa che ha bisogno di mettere sotto pressione testi ed indagati per costringerli a venire allo scoperto.
Ben ha fatto quindi Sempio a non presentarsi in Procura per rispondere alle domande del Pm; non tanto perché, come sottolineato dalla difesa, l’avviso di convocazione non contenesse l’avvertimento che non presentandosi Sempio in Procura il pm può disporre l’accompagnamento, ma perché è buona prassi e regola – la si impara già nei primi anni di pratica professionale – che all’indagato, innocente o colpevole che sia, non conviene rispondere alle domande dell’accusa se non è prima a conoscenza di tutte le prove a suo carico.
Bene ha fatto Sempio a non rispondere al Pm, una scelta compromessa dalle lunghe dichiarazioni rese in precedenza in un programma televisivo: le dichiarazione sui fatti di causa o non si fanno o si rendono al Pm, certo non in Tv.
Allo stesso tempo, se bene ha fatto Sempio a non andare dal Pm, è tristissima ed infantile la modalità con cui la sua difesa ha manifestato l’intenzione di contrapporsi alle tesi dell’accusa: via social, con uno slogan da terza guerra mondiale (“guerra dura senza paura”), impreziosito da un orsacchiotto e un cuoricino. Con buona pace del codice deontologico degli avvocati che raccomanda sobrietà e misura nelle proprie esternazioni a tutela del decoro della professione.
Il prezzo da pagare per le distorsioni causate dal processo mediatico è altissimo, perché vengono compromessi l’etica e la sacralità del processo e del ruolo degli avvocati e di chi deve accertare e poi giudicare le responsabilità per crimini gravissimi. Soprattutto in un processo di omicidio come quello di Garlasco, dove si incrociano la sofferenza dei parenti della vittima e le speranze di chi è in carcere (colpevole o innocente) da anni.
Insomma il processo in scena a Pavia non è una bella pagina per la giustizia del nostro Paese. E c’è da chiedersi se quel poco che si è raccolto fino ad ora giustifichi tanto clamore: tre veloci telefonate di Sempio in casa Poggi il giorno dei fatti, l’alibi di un biglietto del parcheggio stranamente conservato dall’indagato per un anno, e da ultimo un’impronta su un muro di casa Poggi attribuita sempre a Sempio, che però frequentava regolarmente quell’abitazione. Poco o niente fino ad ora. Se non c’è altro, dopo tanto clamore mediatico, i Pm avranno il coraggio di chiedere l’archiviazione?
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