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Home » Chiesa » MADRE TERESA DI CALCUTTA/ La gioia (e il sacrificio) di assecondare un “ordine” di Dio

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MADRE TERESA DI CALCUTTA/ La gioia (e il sacrificio) di assecondare un “ordine” di Dio

Nicola Ruisi
Pubblicato 5 Settembre 2025
Giovanni Paolo II (1920-2005) con Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) nel 1988 (Ansa)

Giovanni Paolo II (1920-2005) con Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) nel 1988 (Ansa)

Oggi la Chiesa ricorda santa madre Teresa di Calcutta. La "chiamata nella chiamata" (così la definì) con la quale optò per i più poveri tra i poveri

L’anniversario della morte di santa Teresa di Calcutta (5 settembre 1997) torna ad interrogarci su quella “chiamata nella chiamata” che ha imposto una svolta radicale nella sua vita: lasciare il convento per vivere tra i più poveri dei poveri. È quel momento decisivo che cerchiamo di mettere a fuoco, attraverso episodi della sua vita, riflessioni della stessa Madre e incontri personali.


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Ne emerge il volto di una santità concreta, segnata dal sacrificio, dall’amore e dalla disponibilità a lasciarsi guidare interamente dalla volontà divina.

“Udii la chiamata a lasciare tutto e a seguire Gesù nei quartieri più poveri, per servirlo fra i più poveri dei poveri”. Lo ha detto Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), raccontando il momento in cui comprese di essere chiamata a un nuovo cambiamento di vita: “Sapevo che era la Sua volontà e perciò dovevo seguirlo. Non c’era alcun dubbio che doveva essere opera Sua” (M. Muggeridge, Interview with M. Teresa, 1969).


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Il fatto accadde il 10 settembre 1946, mentre la suora viaggiava in treno da Calcutta a Darjeeling. “Il messaggio era molto chiaro: dovevo lasciare il convento e dedicarmi al servizio dei poveri, vivendo in mezzo a loro. Era un ordine. Ebbi una percezione molto chiara circa l’origine della chiamata stessa… sapevo dove andare, anche se ignoravo come arrivarci” (Madre Teresa di Calcutta, La mia vita, a cura di J.L. Gonzáles-Balado, 1990).

All’epoca Madre Teresa apparteneva da circa vent’anni all’ordine religioso delle Suore di Loreto. Partita come missionaria all’inizio del 1929, si era stabilita a Calcutta, dove si dedicava all’educazione delle giovani ragazze della St. Mary’s Bengali Medium School for Girls. Poi avvertì questa “chiamata nella chiamata”.


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Il primo invito – la “prima chiamata” – a dedicarsi ai poveri era giunto quando era ancora bambina e si chiamava Agnese Gonxha. Così, compiuti i diciott’anni, aveva lasciato la sua famiglia e la sua Skopje (Albania) per “portare la vita di Cristo alle persone nei paesi di missione” (M. Muggeridge). Durante il lungo viaggio che la portava in India scrisse una poesia: “Lascio la mia amata casa/ e la carissima terra natìa… Mi lascio alle spalle gli amici,/ rinuncio ai familiari e alla mia casa,/ ma il cuore mi sta attirando/ dove potrò servire Cristo… Una forza più grande mi sta spingendo/ verso la torrida India… Ricevi, o Dio, questo sacrificio/ come un segno del mio amore;/ aiuta ora la tua creatura/ per glorificare il tuo nome!” (il testo originale, in rima, è in serbo-croato).

Si dirigeva verso una terra mai vista, in cui si parlavano lingue sconosciute. Cambiò nome: non si chiamò più Agnese Gonxha, ma Teresa, in onore di santa Teresina del Bambin Gesù.

Perché questa scelta? La santa di Lisieux aveva compreso che tutte le vocazioni sono racchiuse nell’amore. Si legge nella sua biografia: “Infine l’ho trovata, la mia vocazione: è l’amore! Ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, mio Dio, siete voi che me l’avete donato. Nel cuore della Chiesa, io sarò l’amore”.

Da quel momento la piccola suora francese trovò “la pace calma e serena del navigatore che percepisce il faro che dovrà condurlo al porto” (Storia di un’anima).

Anche la piccola suora albanese aveva percepito la chiamata a “essere l’amore”. Era certa che Dio avrebbe illuminato il suo cammino ed era pronta a donarsi per amore del prossimo, nel quale riconosceva la presenza di Gesù.

Madre Teresa di Calcutta (Ansa. Foto di Mario Podestà)

All’inizio del 1937 fu ammessa alla professione solenne. Scrisse a un sacerdote amico: “Che grazia! … Ora, esulto con tutto il cuore per avere gioiosamente portato la mia croce con Gesù. Ci sono state sofferenze – ci sono stati momenti in cui i miei occhi sono stati pieni di lacrime – ma ringrazio Dio per ogni cosa” (J.L. Gonzáles-Balado).

Per lei il sacrificio non era un’obiezione. Non lo fu mai, nemmeno negli anni successivi. “Dobbiamo portare lo spirito di sacrificio nella vita delle persone” disse un giorno alle giovani che la seguivano. Poi aggiunse: “Dobbiamo trasformare il nostro lavoro per i poveri in un’opera d’amore; ma per poter fare questo, dobbiamo coltivare in noi lo spirito di sacrificio” (J.L. Gonzáles-Balado).

Recentemente, a Roma, presso il convento delle Missionarie della Carità al Celio, ho visitato la stanza della santa. Si tratta di un piccolo locale che è stato ricavato da un’anticamera semplicemente chiudendo una porta. Il letto è un tavolo al quale sono state accorciate le gambe. Poi ci sono una piccola scrivania, una sedia, il crocifisso, un’immagine di san Francesco e un armadietto con qualche libro. Nient’altro. Intendeva questo la madre quando invitava a “coltivare il sacrificio”?

Durante gli anni trascorsi alla St. Mary’s School, ogni sabato si recava con alcune sue alunne a visitare i bimbi affamati nei bassifondi di Calcutta; la domenica visitava i malati dell’ospedale per tubercolotici oppure aiutava le suore nell’ambulatorio: si riferiva invece a questo?

Nel 1946, all’età di 36 anni, Madre Teresa avvertì la “chiamata nella chiamata” cui abbiamo accennato. Non la considerò una seconda vocazione, perché la vocazione è una sola e consiste nell’appartenere a Cristo. Comprese però che doveva cambiare il modo di lavorare, per aiutare i più poveri dei poveri: la vocazione è “una continuazione dell’appartenenza a Cristo; il lavoro è solo un mezzo per mettere il nostro amore per Cristo in azione” (Nodlaig McCarthy, Interview with M. Teresa, 1974).

Ha raccontato ancora la madre: “Una notte aprii gli occhi sulla sofferenza e compresi a fondo l’essenza della mia vocazione… Sentii che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all’interno della mia congregazione religiosa, per uscire nelle strade a servire i poveri. Non era un suggerimento, un invito o una proposta. Era un ordine” (R. Allegri, Madre Teresa mi ha detto, 2010).

Alla fine, dopo aver chiesto e ottenuto tutti i permessi dei superiori, indossò il sari bianco bordato d’azzurro e lasciò il convento delle Suore di Loreto. Aveva con sé solo poche rupie. “Si diresse verso il quartiere più povero e più miserabile della città, trovò là un alloggio, prese con sé alcuni bambini abbandonati – ce n’era un’infinità – e iniziò il suo ministero d’amore” (M. Muggeridge).

Bisogna chiarire che Madre Teresa non cambiò vita perché prese coscienza della povertà che la circondava, né per una riflessione più approfondita su quanto stava già vivendo. Cambiò piuttosto per un intervento di Dio, che lei volle assecondare. “È stata la seconda chiamata di vocazione”, ripete la Madre, senza peraltro nascondere che obbedire non fu facile: “Lasciare anche il convento, quello fu il sacrificio; ma ero molto contenta di uscire per le strade e servire i più poveri dei poveri” (M. Muggeridge).

Un giorno domandarono alla Madre: “Il mondo dice che lei è una santa vivente. Cosa ne pensa?”. Rispose: “Non ho nulla da pensare, perché siamo tutti destinati a essere santi; siamo stati creati per questo. Io so cosa sono davanti a Dio; ciò che la gente dice ha poca importanza” (George Negus, Interview with M. Teresa, 1980).

Nel 1993, ebbi l’occasione di incontrare personalmente Madre Teresa e di parlarle della mia storia. Vivevo da pochi mesi nel seminario della Fraternità San Carlo a Roma. Fu una breve ed intensa conversazione che la Madre concluse affidandomi un compito: “Non basta essere ordinato sacerdote – disse –, devi diventare un sacerdote santo”. La settimana seguente, una suora mi diede un bigliettino che la Madre aveva scritto per me: “Resolution – I will, I want, with God’s blessing, be Holy. God bless you. M. Teresa mc.”

Particolare del biglietto con il messaggio di Madre Teresa (N. Ruisi)

L’anno successivo l’ho incontrata un’altra volta, nel convento di via Casilina, durante l’adorazione eucaristica. Era l’alba e nella cappellina regnava il silenzio. Dopo il canto finale, si udì dal fondo della sala la voce della Madre: “Ora andate! Ciascuno al proprio lavoro! Guardate tutti come Cristo ha guardato voi durante l’adorazione”.

Madre Teresa ha saputo riconoscere nel desiderio di “dedicarsi ai poveri” la chiamata di Dio al compimento della sua vita, alla realizzazione della sua persona, in una parola alla felicità. A questa chiamata ha risposto prontamente, donando se stessa con amore. Viene spontaneo chiedersi: anche io, con i miei limiti e la mia debolezza, posso tendere così in alto?

Aiutano le parole di papa Benedetto XVI: “La santità, [ovvero] la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua”.

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Tags: madre teresa di calcuttaPapa Ratzinger

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