La “sorpresa” del testamento di Silvio Berlusconi è stata la destinazione della quota disponibile dell’eredità solo ai figli di primo letto, Marina e Piersilvio, che, congiuntamente, controlleranno il 53% di Fininvest. È una scelta che rafforza la presa dei due figli maggiori sull’impero fondato da Berlusconi e in particolare su Mediaset. Le altre due partecipazioni quotate, Banca Mediolanum e Mondadori, sono in una situazione diversa. L’azionista di maggioranza di Banca Mediolanum è la famiglia Doris, e Massimo, il figlio del fondatore Ennio, occupa la poltrona di amministratore delegato. Mondadori capitalizza meno di un terzo di Mediaset, oggi “Media for Europe”, e vede nel ruolo di Ad un manager esterno alla famiglia con Marina nel ruolo di presidente.
Le ricadute maggiori riguardano la posizione di Piersilvio Berlusconi, che è l’amministratore delegato di Mediaset e da ieri anche il principale azionista, indirettamente tramite Fininvest, insieme alla sorella Marina. La sua presa su Mediaset è sicuramente più ferma di quanto non fosse l’altro ieri. Le uscite e le entrate “pesanti” nella società di questi giorni, dentro Bianca Berlinguer, Myrta Merlino e Luciana Littizzetto, fuori Barbara D’Urso e Belén Rodriguez, in qualche modo confermano questa svolta. È un cambiamento che merita commenti politici. L’attività di Mediaset è “iper-politica”, anche se il suo fondatore non avesse mai varcato la soglia di palazzo Chigi o palazzo Madama. È l’attività stessa della televisione, con il suo impatto sulla formazione dell’opinione pubblica, a porre la società al centro di valutazioni inevitabilmente politiche.
Questo riguarda solo entro un certo limite le valutazioni finanziarie. Gli investitori si interrogano principalmente sui ricavi e sugli utili e interpretano i cambiamenti “politici”, eventualmente, alla luce di queste coordinate. Gli investitori si chiedono innanzitutto se gli utili saranno gli stessi, di meno o di più dopo la svolta politica. Lo stesso vale per i progetti di consolidamento europeo su cui Mediaset si è avviata, e su cui sono stati spesi centinaia di milioni di euro con risultati tutti da vedere. Mediaset è il principale azionista della tedesca Prosienbensat, con una quota del 26%, ma esprime solo un membro del Cda e il valore del titolo dall’inizio del 2021 si è dimezzato.
Il consolidamento europeo sarebbe complicato anche nel settore industriale più banale, perché tutti i Paesi, ce lo ricordano gli appelli del ministro dell’Economia francese di mercoledì al patriottismo di Stellantis, vogliono preservare il proprio sistema e i propri valori. Nel settore televisivo la complicazione cresce esponenzialmente, perché ogni sistema Paese si interroga su chi e cosa vogliano fare gli editori televisivi; e comunque lo straniero raramente è visto bene. Vale ovunque, inclusi quegli Stati Uniti, patria del libero mercato, che richiedono la cittadinanza americana a chi vuole controllare i media nazionali. Non ci risulta di una singola operazione di rilievo transnazionale nel settore televisivo in Europa. Sono persino di meno di quelle di altri settori strategici.
La fine del “conflitto di interessi” in Italia per Mediaset non è una condizione sufficiente per un’operazione europea di grande respiro e forse non lo sarebbe nemmeno una quota di maggioranza comprata sul mercato. In Italia può sbloccare lo scenario competitivo che finora ha vissuto in un sostanziale duopolio che non aveva solo svantaggi.
Il management di Mediaset ha più autonomia e può osare di più; questo aumenta il livello di scrutinio da parte di tutti. Per i portatori di interessi economici il metro è quello degli utili e delle loro prospettive. Più grande la partecipazione, più attento il controllo.
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