DIETRO LE QUINTE/ Toghe e debito, le mosse del Colle per fermare la Lega

- Sergio Luciano

Tasse sui redditi da lavoro e legittima difesa: due interventi nettamente politici di Mattarella. All’indirizzo di Salvini

mattarella 1 lapresse1280 640x300 Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (LaPresse)

Sergio Mattarella non ha la verve impulsiva di un Pertini, la sulferea logorrea di un Cossiga e nemmeno il pomposo protagonismo di un Napolitano. Per questo quando esterna, e a distanza ravvicinata, sarebbe sbagliatissimo sottovalutare.

Nella sua lettera a corredo, del tutto eccezionale, della promulgazione della legge sulla legittima difesa, e nelle dichiarazioni rese ieri in occasione del Primo Maggio, il Capo dello Stato ha espresso concetti politicamente molto pesanti, non tanto per il loro contenuto – non particolarmente forte né nuovo – quanto per il palese indirizzo che li accomunava. L’indirizzo di Matteo Salvini, più che dell’intero governo: anche perché, pur senza togliere spessore personale al premier di mediazione Giuseppe Conte e peso parlamentare ai 5 Stelle, è senza dubbio il Capitano l’uomo forte del momento, oltre che il candidato al prossimo governo, quando si potrà tornare al voto e tentare di dare un assetto intellegibile alla politica nazionale.

E i due messaggi di Mattarella a Salvini sono severi, senza se e senza ma.

Sulla legittima difesa – rileggiamolo – dopo aver genericamente ricordato che “la sicurezza dei cittadini è primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato”, l’inquilino dei Quirinale è andato giù piatto: “Sarà necessario verificare la portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta”, ha scritto, calcando la mano sull’ovvio. Ha sottolineato che le leggi vengono affidate dal potere legislativo a quello giudiziario perché le applichi alla realtà, quindi adattandole alle diverse situazioni. Ma il Presidente ha voluto porre l’accento sul punto più controverso – e propagandisticamente efficace – di tutto il testo della legge: quello con cui Salvini sperava di aver mandato un messaggio culturale, quasi educativo, ai magistrati che dovranno applicarla, sottolineando che si “esclude la punibilità quando la persona ha agito in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”. Ovvero sempre, a volersi fermare alla lettera.

Ma Mattarella richiama i giudici al dovere di entrare nel merito, valutare sia l’entità del turbamento che le sue cause. Incoraggiandoli, dunque, a non lasciarsi in alcun modo suggestionare dall’assertività perentoria del testo della legge sul punto del “grave turbamento” e a verificarlo in sede di applicazione, togliendo in tal modo ogni automatismo al criterio guida enunciato dal testo della legge. Il che, detto da colui che – non dimentichiamolo – presiedendo formalmente il Csm, è anche il capo della magistratura italiana, è stato una brutta reprimenda per Salvini.

E ieri le considerazioni del Presidente sull’economia del Paese hanno ugualmente lasciato trasparire una certa qual irritazione di Mattarella rispetto al trionfalismo – espresso in modi diversi dai tre primattori del governo – su quel misero 0,2% di crescita del Pil inopinatamente registrato dall’Istat; ma ha fatto anche e soprattutto percepire la viva apprensione del Colle per gli orientamenti di politica fiscale che notoriamente il governo – e in esso soprattutto Salvini – intende affidare alla prossima manovra economica con la flat-tax.

“Vanno approntati strumenti adeguati per guidare il cambiamento a favore della società, compresa la leva fiscale – ha detto Mattarella – visto che le tasse sui redditi da lavoro in Italia sono tra le più alte dei Paesi sviluppati”. Chiaro? Ha parlato delle tasse sui redditi da lavoro, che ovviamente sarebbero quelle meno beneficiate dalla flat tax. E ha rimarcato come, al di la della “congiuntura” internazionale debole, per l’Italia si “aggiunge il peso obiettivo del debito pubblico, che impone cura e attenzioni particolari per rafforzare la fiducia degli investitori, per tutelare il risparmio degli italiani, per tenere in equilibrio programmi di spesa e finanziamenti realistici”.

Dunque il governo sia prudente a spendere e a spandere perché il debito non ce lo permette: proprio come ha detto il ministro Tria nella sua intervista dell’altro giorno al Fatto Quotidiano. Ma soprattutto si provveda ad alleggerire la pressione fiscale sui redditi da lavoro, non su tutti i redditi allo stesso modo, come tipicamente fa una flat tax. Per non parlare della palese incostituzionalità di una tassa piatta che, incidendo in ugual percentuale su tutti i redditi a prescindere dalla loro consistenza, viola il principio costituzionale della progressività del prelievo fiscale.

E d’altronde, che oggi sia Salvini, contemporaneamente, il candidato naturale alla crescita nei prossimi scenari politici del Paese e il leader meno assimilabile allo stile personale, comunicativo e intellettuale del Capo dello Stato è palese. Tanto sobrio Mattarella quanto colorito Salvini; tanto felpato il Presidente quanto reboante il Capitano. Sono decisamente fatti per non capirsi, per quanto Mattarella sia – tra i vecchi notabili democristiani dalle cui file proviene – sicuramente il personaggio più credibile ed immune dai vizi storici del suo partito.

Sbagliato dunque sottovalutare le esternazioni del Presidente.

Sbagliato però anche strologare – come pure da più parti si fa – su un suo disegno per accelerare l’avvento in Italia di un governo tecnico alla Monti, guidato però da un personaggio che oggettivamente vale svariate misure più di Monti, ovvero Mario Draghi. Che Mattarella lo stimi, ricambiato, è pacifico: ma è solo da un inopinabile rivolgimento dell’attuale Parlamento – e/o da un eventuale nuovo Parlamento che dovesse nascere da elezioni anticipate – che Mattarella prenderà spunto per valutare l’ipotesi di un governo retto da un “Papa straniero” di assoluto standing mondiale cui affidare la cura del grande malato Italia. Un Parlamento che oggi non cambierà certo idea, rispetto alla pur strampalata compagine che esprime al potere; e che domani difficilmente – stante l’attuale orientamento della maggioranza degli italiani – diventerà, con le future elezioni, molto diverso da quello attuale: almeno fin quando il blocco partitico oggi dominante resterà privo, com’è attualmente, di proposte politiche alternative dotate di un’anche minima attrattiva.







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