La firma della tregua per Gaza potrebbe aver fermato le azioni di terra israeliane nella Striscia e i vari attori internazionali stanno già guardando al futuro. Israele nella sua storia non ha mai affrontato un periodo così lungo di ostilità internazionale e così estraneo alle sue tattiche offensive, da sempre basate sulla rapidità. Senza considerare un livello di reputazione mai così basso nelle opinioni pubbliche mondiali e il riaccendersi di più o meno strumentali focolai di antisemitismo.
Ora si cerca di immaginare la ricostruzione di un territorio finalmente pacificato e con un potere costituito stabile. Tuttavia, se Netanyahu vuole azzerare l’azione di Hamas ed evitare un altro 7 Ottobre, occorre operare in diverse direzioni, visto che nel 2006 la sola risposta militare ebraica contro Hezbollah nel sud del Libano non ne impedì la sopravvivenza, e questo costituì di fatto una vittoria dei terroristi, che nel tempo hanno ricostruito la loro capacità offensiva fino ad oggi, in contrasto alle risoluzioni dell’ONU che prevedevano che il territorio tornasse sotto controllo libanese. A Gaza potremmo assistere ad un epilogo simile, anche se Israele riuscisse a smantellare le strutture militari di Hamas.
Il primo obiettivo da raggiungere è quello di impedire all’Iran di fornire appoggio militare finanziario o politico ad Hamas o a qualsiasi altro soggetto dovesse nascere nella Striscia.
Va detto che Hamas, a differenza di Hezbollah, non è un’emanazione diretta delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniane. Hamas deriva dall’organizzazione dei Fratelli Musulmani. Nonostante questo, l’Iran ha sempre sostenuto Hamas con forza e nonostante le sanzioni occidentali gli ha fornito, negli ultimi anni, circa 100 milioni di dollari l’anno. Il supporto logistico e addestrativo di Teheran inoltre ha permesso ad Hamas un salto di qualità idoneo a controllare il territorio. Se fosse possibile, l’Iran, che vede come suo obiettivo messianico la distruzione di Israele in nome dell’unità islamica, troverebbe altri attori per perpetuare la causa, li sponsorizzerebbe e li equipaggerebbe. Sondaggi svolti sul posto ci dicono che la popolarità di Hamas è piuttosto bassa e basata fino all’ultimo sulla propaganda, sull’esistenza di una parvenza di servizi pubblici e sulla distribuzione degli esigui aiuti provenienti dall’estero. Ma nonostante questo, se dei palestinesi ben intenzionati cercassero di innescare la pace, dall’Iran non esiterebbero a cercare di eliminarli se ne avessero l’occasione.
Ora tutto ciò potrebbe finire, perché la principale fonte di instabilità del Medio oriente e dei confini di Israele, cioè l’Iran, sta scemando. L’attuale oggettiva debolezza della repubblica islamica è dimostrata dai gravi problemi di tenuta interna e dai problemi economici dovuti alle sanzioni occidentali che hanno menomato la capacità offensiva iraniana. Anche la caduta del regime alawita di Damasco potrebbe essere molto importante, poiché interrompe la continuità territoriale garantita dagli Assad per le linee di rifornimento verso Gaza. Non a caso gli israeliani si sono affrettati a rioccupare il Golan appena possibile. Tutto questo faciliterà la normalizzazione.
Il secondo nodo da sciogliere, non meno importante del primo, è quello di affidare il governo ad un’identità politica autorevole, rispettando il principio che in geopolitica non esistono vuoti e se questi si creano saranno subito riempiti. E anche qui l’Iran sarà sempre pronto a riproporsi. Volendo semplificare il quadro, lo scoglio interno più grande alla rinascita di Hamas sarà il dispiegamento di una forza di sicurezza palestinese in Cisgiordania e a Gaza in mano ad una ANP divenuta autorevole e rinvigorita, a cui sia gli Stati arabi che quelli occidentali possano indirizzare aiuti materiali e finanziari.
Da ultimo una considerazione finale. A suo tempo Israele non ostacolò l’entrata di Hamas nella Striscia, con l’obiettivo di usarla per riequilibrare l’ANP. Ora questa visione deve essere abbandonata in favore dell’ingresso di un’entità palestinese unitaria nella Striscia e in Cisgiordania. Più tempo Tel Aviv indugerà, più spazio verrà concesso a forze esterne, vedi Iran, per ricostruire identità terroristiche nel territorio.
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