Da Aleppo a Latakia per arrivare in Libano con l’intenzione di venire in Italia e di restarci almeno per qualche tempo. Il viaggio di Carolina Yazji, direttrice italo-siriana della scuola armeno-cattolica di Aleppo, non è un addio alla Siria. Non è detto che lo sia. Ma, dopo la caduta di Assad e in attesa di capire cosa succederà dopo, prima di rientrare è meglio aspettare per vedere come si evolverà la situazione. I ribelli guidati da Hayat Tahrir al Sham, che hanno preso Damasco, hanno un passato da jihadisti e, anche se assicurano di non voler imporre la sharia ma di rispettare le libertà politiche e religiose, vanno messi alla prova.
Come mai questa scelta di lasciare la Siria proprio mentre molti invece cercano di tornarci?
Innanzitutto voglio dire che non sono né pro-Assad né pro-ribelli, sono neutrale. Ho sempre amato la mia parte siriana e la Siria. Non sono mai stata d’accordo sul modo in cui funzionava il Paese con la famiglia Assad, ma me ne sono andata perché non so ancora come la pensa chi ha preso il suo posto e che cosa farà. Non ho lasciato il Paese perché sono filo-Assad, assolutamente no; ma voglio vedere come si cristallizza la situazione. Poi, fra due o tre mesi, potrei tornare ad Aleppo. Finora chi ha preso il potere ha mostrato la sua faccia tranquilla, parlando con i vescovi, rassicurando i cristiani che il Natale si farà e che si potrà fare l’albero, e che le scuole cattoliche non verranno toccate.
Ci racconta che cosa è successo ad Aleppo?
Io sono la preside della scuola armeno-cattolica Iman. Giovedì e venerdì dell’altra settimana avevamo capito che stava succedendo qualcosa. In Siria, al telegiornale, fino all’ultimo momento dicevano che tutto andava bene, ma noi sentivamo le esplosioni dei missili e c’erano voci che i ribelli erano alle porte della città. Credevamo che tutto sarebbe rientrato, invece sabato mattina abbiamo visto i ribelli sotto casa: hanno suonato al nostro citofono.
Che cosa volevano?
Io e mio marito non abbiamo risposto. Avevo tanta paura. In tredici anni ho visto diversi gruppi di ribelli, anche quelli che tagliavano le teste. Abbiamo ascoltato, però, quello che dicevano alla nostra vicina di casa. Le ripetevano di non aver paura. Noi, comunque, abbiamo deciso di partire e di uscire da Aleppo. L’ambasciata italiana di Damasco aveva creato un gruppo WhatsApp scrivendo che c’era la possibilità di lasciare la città seguendo un convoglio dell’ONU.
Avete sfruttato questa opportunità?
Abbiamo seguito il convoglio: ci hanno accompagnato all’inizio della strada che dovevamo percorrere con la nostra auto per andarcene. I ribelli non si opponevano, anzi, ci salutavano facendo il segno di vittoria e dicendo: “Dio sia con voi”. Io sono passata senza velo: quando sono arrivati tutti pensavano che avrebbero obbligato le donne a mettere il velo. Le ragazze ad Aleppo, invece, girano nelle vie cristiane senza velo. Anche le Messe vengono celebrate tranquillamente.
Sono fuggiti in molti da Aleppo?
C’erano centinaia di macchine, molte arrivate senza seguire il convoglio dell’ONU. Non ce n’era bisogno: i ribelli non hanno fermato nessuno. Siamo partiti prendendo una strada provinciale perché l’autostrada era stata chiusa. Siamo arrivati a Latakia, passando per Homs, in 28 ore. La strada era intasata di auto, che a un certo punto sono state fermate perché l’esercito si stava ritirando: facevano passare i carri armati, van e supervan con i soldati. Siamo rimasti tre giorni in albergo. Poi mio marito è partito per raggiungere l’Italia, con la promessa che io lo avrei raggiunto in seguito una volta ottenuti alcuni documenti.
Quindi è arrivata la mattina della caduta di Assad: cosa è successo?
Domenica mattina ho cominciato a sentire spari da tutte le parti, ma alla fine erano spari di gioia. Purtroppo molti hanno approfittato della situazione per vandalizzare i negozi e rubare. I ribelli, che ora chiamano l’esercito della salvezza, non hanno toccato niente, ma tra la gente comune qualcuno ha rubato. Mi ha fatto male vedere che la libertà venisse sfruttata per fare cose del genere. Non si può manifestare l’odio per Assad in questo modo. Mi ha fatto male anche vedere i video delle persone che sono entrate nella sua casa di Damasco: capisco che molti possono avere ragioni personali per avercela con lui, ma non mi riconosco in una reazione del genere.
I ribelli a Latakia sono arrivati dopo?
Quando alcuni hanno cominciato a sparare per festeggiare la caduta di Assad, i ribelli erano ancora per strada. La gente su Facebook li invitava ad arrivare in fretta per mettere ordine. Da quando sono arrivati, gli spari non ci sono più stati, passavano solo le auto suonando i clacson.
A quel punto perché ha deciso di andare in Libano?
Ho avuto paura: appena hanno riaperto la frontiera, ho colto l’occasione.
Ma la gente come sta vivendo la caduta del regime?
Gli amici che sono partiti da Aleppo lo stesso giorno in cui me ne sono andata io, la domenica stessa sono tornati in città. Hanno pensato che, vista la situazione, non valeva la pena stare in albergo da qualche parte, ma che si poteva tornare. Finora, per quello che vediamo, i ribelli sono tranquilli, amano il loro Paese e vogliono una nuova Siria. Io, però, ho suggerito a mio marito di aspettare qualche mese e nel frattempo di andare in Italia. Voglio vedere cosa succede: se la strada che prende la Siria è quella islamica, mi sa che non torno ad Aleppo. Non vorrei che i ribelli adesso non si mostrino per quello che sono.
sono terroristi che in passato si sono resi responsabili di episodi orribili, potrebbero essere cambiati?
Sembra che questo gruppo sia maturato negli anni e che i fondamentalisti si siano separati da loro. Sono arrivati già pronti con una nuova idea di Stato. L’hanno sperimentata a Idlib, dove si erano ritirati, organizzando istituzioni e scuole. Al Jawlani, il loro leader, ha detto che i miliziani più brutali, che non hanno capito il senso della rivoluzione siriana, sono stati allontanati. Ed è quello che stiamo vedendo: non hanno preso di mira le chiese, non hanno rotto crocifissi come era stato fatto nel 2012 a Raqqa. I responsabili di quegli episodi erano dell’ISIS; questi non lo sono, ricordano più i primi rivoluzionari siriani. Secondo me, comunque, ci vuole cautela. Fa piacere vedere che si comportano così, ma dopo tredici anni come quelli che abbiamo passato è meglio aspettare, anche se adesso il messaggio che viene veicolato è di pace, democrazia, libertà di parola.
Devono ancora dimostrare di essere diversi da Assad?
Ho vissuto sotto Assad e credo che nella vita non mi capiterà niente di peggio. Con lui abbiamo imparato a stare zitti. La sua famiglia si è appropriata del Paese, a loro tutto era dovuto. Era la Siria di Assad, non quella dei siriani. Io sono sempre stata ottimista, anche dall’inizio della guerra: amo il mio Paese, la mia metà siriana. Ora vediamo cosa succederà.
(Paolo Rossetti)
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