SPY FINANZA/ Dalle banche al cacao, che fine ha fatto il libero mercato Usa?

- Mauro Bottarelli

Le piccole banche negli Usa continuano a vacillare, ma non se ne parla. Altre notizie vengono ritenute più importanti del mostrare i limiti del "libero mercato"

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Nella sola giornata di ieri, in California sono stati tagliati 1.944 posti di lavoro. Ufficiali, ovviamente. Il nero esiste anche nel paradiso del libero mercato. Soprattutto negli Stati ad alta densità di immigrazione. Fra le aziende coinvolte, Walmart, Google e Kaiser Foundation Hospitals. Fonte MacroEdge, se qualcuno volesse controllare la veridicità.

Direte voi, certamente non casca il mondo. Ovvio. Ho citato questo dato poiché trattasi della stessa California dove ha sede la prestigiosa UCLA con i suoi campus pieni di tende e kefiah. Gli stessi che la polizia ha sgomberato. E qui la questione si fa più interessante. Il 48% degli arrestati/fermati per le proteste negli atenei statunitensi risulta non essere nemmeno uno studente. Di nessun ateneo. Free agents del disordine, liberi professionisti della destabilizzazione. Ovvero, metà del movimento pro-Gaza è di fatto non riconducibile a una matrice o radice precisi.

Infiltrati? Non sarebbe la prima volta. Ma qui il problema non era generare caos per screditare la protesta e la causa, di cui in Colorado o Georgia o Wisconsin non frega assolutamente niente a nessuno. E dubito sappiamo neppure dove si trovi Gaza. Qui la questione era quella che faceva capo alla priorità assoluta: tenere incollati gli statunitensi al video e narcotizzarli con la paura di turno, il babao della settimana. Fear is your only God, la paura è il tuo unico Dio. Altrimenti, magari, finivano per caso su questa pagina di Cnbc che, dopo mesi di negazione del problema, era costretta ad ammettere come la crisi delle piccole banche esposte al guano del real estate sia tutt’altro che risolta. Circa il 7% del totale rischia di fallire. Molto conservativa come cifra. Molto.

Ma un passo alla volta, forse la verità sarà costretta a emergere. Come gli orologi rotti che, due volte al giorno, segnano l’ora esatta. E questo che possiamo definire il grafico principale lo conferma.

Nella settimana che si conclude oggi, l’utilizzo della Discount Window è salito del 27% su base annua, raggiungendo quota 6,79 miliardi. E, come ricorderete, la Discount Window è la facility di prestito bancario agevolato che la stessa Fed ha sponsorizzato in modalità Mastrota, quando lo scorso 11 marzo ha voluto tranquillizzare l’audience del mercato globale, chiudendo senza nemmeno un’ora di ritardo sul convenuto statutario il fondo salva-banche noto come Btfp. D’altronde, la strategia pare funzionare. Quanto è durata sui media la notizia del fallimento della Republic First Bank di Philadelphia, avvenuto non più tardi della scorsa settimana? Otto ore come l’intervallo tra una dose e l’altra di farmaco? O magari addirittura 12, una mezza giornata che garantisce almeno dignità di news e avvicina il paragona al più serio antibiotico?

Ormai il fatto che una banca regionale statunitense chiuda baracca e burattini dalla sera alla mattina è ritenuto normalità. Perché in maniera carsica, qualcuno ha scientemente lavorato affinché venisse percepito come normalità. Tanto il cavaliere bianco si trova sempre. Poco importa che poi, come accaduto con New York Community Bancorp, a pochi mesi dal salvataggio della principessa di turno (nel caso specifico, Signature Bank) cada esso stesso in disgrazia e venga a sua volta tenuto a galla da cordate di hedge funds e capitani di ventura variamente assortiti. Ma benedetti dalle autorità. Un colossale magna magna che alla fine fa sempre capo ai soliti soggetti.

E attenzione a quanto ci racconta sul cosiddetto libero mercato quest’altro grafico: quella appena conclusa ha segnato il calo settimanale più marcato di sempre per i futures del cacao, quasi il 10%. Mentre dal picco massimo di prezzo registrato solo alla metà di aprile siamo addirittura a -37,5%.

Avrete letto un po’ ovunque di questaimpennata di prezzo, soprattutto a ridosso della Pasqua per il timore che il prezzo delle uova di cioccolata volasse alle stelle. E negli articoli c’erano dotte e scientifiche spiegazioni, quasi sempre con un unico filo conduttore: colpa del cambiamento climatico che rende meno produttive le coltivazioni e non consente la nascita di nuove. Ora, a vostro avviso è possibile che nell’arco di due settimane si sia trovato rimedio a criticità simili, ammesso e non concesso che siano tutte reali? Decenni e decenni di problemi legati a territori troppo aridi o esposti comunque a eventi estremi e mancanza di infrastrutture, tutti risolvibili e risolti apparentemente in un batter d’occhio? O forse un battito di tasto. Nella fattispecie, quello che chiude posizioni speculative sui futures.

Già, questo simpatico impennare dei prezzi è grandemente dovuto all’attacco dei cosiddetti CTA, i fondi speculativi, i quali però a metà aprile – guarda la combinazione – hanno dovuto prendere atto di un’inflazione che non crollava come preventivato e di una Fed che probabilmente non avrebbe quindi tagliato i tassi almeno fino a novembre. Boom! Posizioni chiuse, prezzo che crolla. Ma attenzione, perché come mostra questo ultimo grafico, ora l’attenzione si è apparentemente spostata sull’olio d’oliva, pronto a sfondare il suo massimo storico. E quando dovesse finire anche questa giostra, il burro è già in pole position. Se poi dovesse partire un allarme pre-pandemico sull’aviaria, pollame e uova diventeranno il nuovo El Dorado.

Quando vi parlano di libero mercato e modello Usa, vi parlano di questo. O del buyback da 110 miliardi annunciato da Apple e che ha mandato in rally il titolo nella sessione after-hours di giovedì, nonostante il tonfo delle vendite in Cina.

Meglio la pianificazione economica socialista? Dio ce ne scampi. Ma una via di mezzo, no?

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