ELEZIONI 2018/ “Democrazia a rischio, ecco perché”

- int. Massimo Luciani

I partiti sembrano tutti d’accordo nel nascondere l'aumento di diseguaglianza che si è diffuso nel paese. Un problema dalle conseguenze esplosive. Altro che larghe intese. MASSIMO LUCIANI

Palazzo_Chigi_Lapresse Palazzo Chigi (LaPresse)

Ci voleva un premio di maggioranza, spiega Massimo Luciani, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Roma La Sapienza. Così, a quest’ora non parleremmo di larghe intese prima del voto, come se questo fosse inutile e il risultato già scritto. Ma è proprio questo il punto: la legge Rosato è stata fatta apposta “per non turbare gli equilibri politici ritenuti più probabili”, o — si potrebbe anche dire — per sancire rapporti di forze già esistenti. Luciani lancia l’allarme: i partiti tacciono sul problema più rilevante e pericoloso, l’aumento generale delle diseguaglianze economiche e sociali. E se l’astensione fosse massiccia, si porrebbero “problemi di tenuta democratica”.

Le larghe intese post-voto sembrano un esito già scritto.

Il problema è che con questi rapporti di forza e questa legge elettorale è ampiamente prevedibile che nessuna forza politica ottenga in entrambe le camere la maggioranza assoluta dei seggi. Questo rende ragionevole parlare fin d’ora della necessità o dell’opportunità di alleanze successive. 

Cosa non le piace della legge Rosato?

Ero e sono dell’idea che un premio di maggioranza si dovesse conservare. Come la Corte costituzionale ha chiarito, il problema non è l’incostituzionalità del premio ma l’incostituzionalità di un premio senza soglia. Con il premio ci sarebbe stato un incentivo a coalizioni più ampie anche se non necessariamente più coese. Il secondo problema è che non c’è il voto disgiunto.

Cioè l’elettore, votando per il candidato nell’uninominale, vota anche per quelli di lista. Politicamente cosa significa?

Una limitazione del suo potere di scelta. La logica del collegio uninominale è quella di esaltare la qualità dei candidati. Ma se l’elettore, attratto da un certo candidato, è costretto a prendere tutto il pacchetto, candidato uninominale e candidati di lista, secondo me c’è una seria limitazione del suo potere di scelta. 

E la tanto celebrata governabilità? Sembrava che non potessimo vivere senza.

Io non sono tra coloro che ritengono che la governabilità e la stabilità siano dei beni in sé. Importa che un governo, stabile o meno, faccia delle politiche conformi al progetto costituzionale. Ma sotto questo profilo, questi anni sono stati segnati da una disattenzione totale.

Che cosa vede, professore?

Un aumento generalizzato del livello delle diseguaglianze. La Costituzione non voleva questo, certamente nei primi 40 anni della repubblica non è accaduto questo, e sul punto il silenzio dei partiti è assordante. Non è possibile tenere insieme una comunità politica quando le differenze economiche e sociali arrivano dove sono oggi. Tuttavia è vero che per realizzare un programma politico ci vuole una maggioranza parlamentare solida, durevole. Ma questa legge elettorale non è stata pensata per la governabilità, ma per altre finalità.

Massimizzare il consenso delle singole forze politiche?

Direi finalità connesse ad interessi specifici di una parte del sistema politico. La mia impressione è che la legge sia stata fatta per non turbare gli equilibri politici ritenuti più probabili.

Una legge fatta contro qualcuno, cioè il Movimento 5 Stelle?

Una legge che non vuole indirizzare i comportamenti elettorali ma consolidare un equilibrio di rapporti di forze esistente. Poi, e questo va detto, un imprevisto è sempre possibile. Molto spesso le urne tradiscono lo scopo con cui vengono fatte le leggi elettorali.

Torniamo alla grande coalizione. E’ un bene o un male?

Dipende. Da che cosa, mi dirà? Dalla sincerità delle forze politiche con la quale si entra in coalizione e dal loro spirito repubblicano, dalla volontà di anteporre ai propri interessi di bottega quelli del paese. 

E scommetto che lei ha qualche dubbio su questa abnegazione.

La maturità mostrata dalle forze politiche che hanno scritto la Carta mi pare lontana anni luce.

A proposito di “sincerità”. Le coalizioni attuali sembrano solo uno specchio per le allodole.

Quanto siano sincere, bisognerebbe chiederlo a chi le ha stipulate. Certamente non servono per conquistare la maggioranza. Sul dopo, le prospettive sono note: che qualcuno ottenga la maggioranza sia alla Camera che al Senato; che si faccia una grande coalizione; che non si riesca a fare nulla e che allora resti in carica l’attuale governo per un periodo di tempo necessario alla chiarificazione politica. Sino all’eventualità di un nuovo voto a distanza ravvicinata. 

Con questa legge o con un’altra?

Mi augurerei con una legge diversa, ma non mi faccio illusioni. La politica attuale è massicciamente condizionata dalla propria incapacità di adottare leggi elettorali rispettose della Costituzione. La dichiarazione di incostituzionalità della legge Calderoli è una diretta conseguenza della presunzione della classe politica che lo ha voluto. E lo stesso è accaduto dopo.

E’ anche il destino del Rosatellum?

Difficile dire: credo che la Corte dovrà valutare soprattutto la questione del grado di libertà della scelta elettorale.

Lei pensa che l’ombra delle larghe intese alimenti il voto antisistema?

Certamente c’è un grande disagio tra gli elettori e le forze politiche non sembrano farsene carico. Il punto però mi pare un altro. L’elettore non ha mai torto, anche quando sceglie nel modo che non ci piace. 

Perché dice che l’elettore non sbaglia mai, professore?

Perché decide sulla base dell’offerta politica che gli viene proposta: se questa è inadeguata l’elettore la punisce. La prima cosa di cui i partiti dovrebbero preoccuparsi sono i milioni di italiani che non andranno a votare. E chissà quanti voteranno scheda bianca o nulla. 

Se l’astensione fosse importante e in crescita, il sistema politico sarebbe delegittimato?

Non è mai delegittimato, perché otterrebbe la sua legittimazione dai votanti. Ma se il tasso di partecipazione fosse davvero basso, saremmo davanti a un evidente rifiuto del sistema. E questo porrebbe dei problemi di tenuta democratica.

Secondo lei quand’è che l’elettore sceglie di non votare?

Quando non c’è un patrimonio ideale chiaro che si confronta con un altro, quando si accorge che le differenze sono di facciata. Ma soprattutto, come ho detto, vedo un grande sconcerto per l’aumento insostenibile della diseguaglianza sociale ed economica, alla quale nessuno sembra voler rispondere.

(Federico Ferraù)





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