CASA BIANCA & SILICON VALLEY/ Patto col diavolo (ma lui è più furbo)

- Chris Foster

Casa Bianca e Silicon Valley hanno fatto un patto. Ma ci sono crepe. Si chiamano Elon Musk e Mark Zuckerberg. E ora Washington vorrebbe distruggerli

elonmusk 1 lapresse1280 640x300 Elon Musk (LaPresse)

Negli ultimi due anni abbiamo più volte abbozzato alcuni spunti di riflessione sperando di chiarire alcune dinamiche che spesso sono poco visibili al di fuori di una visione combinata mercati-politica.

Nell’ultima intervista ho provato a mettere in luce alcuni dei grandi paradossi che la politica e la società americana stanno vivendo.

Con il rischio di uscire dalle mie limitate aree di competenza, cercherei di affrontare il tema delle crepe crescenti tra potere di Washington e Silicon Valley. Con conseguenze estreme e dirompenti sul futuro degli Usa.

Cosa sta succedendo in Cina e quali sono le analogie con gli Usa

Circa un anno fa, la IPO di Ant Financial (la più grande azienda di Fintech del mondo, fondata da Jack Ma e controllata al 30% da Alibaba) è stata annullata dal governo cinese sulla basa di un attacco violento alla sua attività “unregulated” di financial institution. È stato il cambio di passo del governo cinese. Da quel momento in poi, la maggior parte delle società tech cinesi sono finite sotto attacco formale (investigazioni, multe, limitazioni legali) e politico dei vari organismi governativi. 

Il risultato fino ad oggi è stato devastante dal punto di vista dei corsi delle azioni (parliamo in particolare di Alibaba, JD.com, Baidu, Meituan, Tencent, Pinduoduo, Tal Education e molte altre), ma ancora più eccezionale è stata la forza governativa nell’annullare l’influenza e la visibilità delle superstars del web cinese, primi tra tutti Pony Ma and Jack Ma (Tencent e Alibaba). Messaggio chiaro: se non vi allineate rapidamente alle nuove priorità e indicazioni del governo, distruggiamo prima le vostre aziende e poi eliminiamo anche voi dalla dalla vita sociale ed economica. 

Allineati a cosa? Al nuovo vangelo cinese: “the common prosperity”. Questo è un po’ il nuovo libretto rosso di Mao, ora in versione Xi Jinping. Si tratta di riallineare le iperboli dell’iper-capitalismo cinese (vedi i nomi del tech menzionati sopra) alle esigenze di una migliore redistribuzione della proprietà e dei benefici della crescita economica. Un tentativo di riportare i risultati esplosivi della crescita cinese in un’ottica di prosperità generale. Il fallimento di fatto del colosso del real estate Evergrande non fa che aumentare la convinzione governativa che il capitalismo selvaggio e il potere enorme nelle mani di questi super billionaires che hanno creato dei veri e propri colossi del tech e del real estate, devono essere gestiti in modo diverso.

Insomma in Cina non vogliono vedere quello che accade negli Usa, dove  i vari Bezos, Zuckerberg, Cook & co. controllano buona parte del destino del paese. I metodi cinesi hanno radici maoiste, nulla di buono per gli investitori, ma visto cosa è successo negli Usa a lasciare il potere in mano ai “masters of the universe”, non definirei la strategia di Xi del tutto irrazionale. Non dimentichiamoci che Xi ragiona su 20 anni, non sulle mid term elections del prossimo novembre. E un calo del mercato azionario cinese per un paio d’anni è del tutto accettabile nella sua ottica e in quella della banca centrale cinese (Pboc). Il governatore della Pboc non è come Powell o la Lagarde, terrorizzati da un calo degli indici azionari o dalla gestione di una piccola banca in difficoltà. E a Pechino non devono nemmeno fare finta di essere “indipendenti dal governo”.

Cosa c’entra questo con gli Usa? Negli Stati Uniti molti membri del Congresso, nonché personalità del giornalismo e dell’accademia, stanno alzando il livello di preoccupazione per il potere in mano ai “masters of the universe”. In Usa il nuovo libretto rosso di Mao ha un nome molto bello e si chiama BBB (Build Back Better). In queste settimane,  il senatore Manchin (Dem, West Virginia) sta affossando la gran parte del secondo blocco di spesa di Biden concepito come BBB, ma la realtà è che è che saranno sempre più i vari Google, Facebook, Twitter a influenzare i destini della Casa Bianca nei prossimi anni. Inutile accusare Manchin.

Qualcuno lo ha capito e qualcosa si sta muovendo nella direzione di limitare lo strapotere di aziende come Alphabet (Google, YouTube, Google Cloud), Facebook (Instagram, Whatsapp, etc.), Twitter, Microsoft (Azure, Linkedin, Skype, etc.), Amazon (Aws, etc.), Salesforce, Apple e altri. La responsabile dell’antitrust Usa (Federal Trade Commission) si chiama Lina Kahn, giovanissima e ambiziosa. Un nome da ricordare, perché, seppure politicamente ancora debole e isolata, farà parlare di sé nel tentativo di individuare le aree più vulnerabili dei monopoli di fatto (o oligopoli) quali Google, Apple, Amazon, Facebook, Microsoft. La senatrice Elizabeth Warren, per esempio, non mancherà di supportarla, così come altri politici di primo piano, e si potrebbero aprire scenari bipartisan su questo terreno. Terreno delicatissimo, chiedere soldi e supporto mediatico alla Silicon Valley per le prossime elezioni e nominare all’Antitrust una dichiarata nemica dei monopoli (di fatto) tecnologici americani…

Maneggiare con cura

Il terreno è così delicato perché l’amministrazione Biden ha vinto le elezioni grazie ai colossi del web, in una sacra alleanza con Wall Street. Solo un osservatore ideologico non concorderebbe su questo, ma sappiamo che proprio l’ideologizzazione crescente è un grande problema negli Stati Uniti. E tra 10 mesi siamo alle mid term elections! L’operato di Biden-Harris e la maggioranza del Congresso che li sostiene (attenzione, il Senato è 50-50 e questo è all’origine di un po’ di problemi) è stato fino ad ora valutato negativamente dai cittadini americani e l’approval rate di Biden e Harris è in continua discesa; indicazione che lascia presagire un ritorno al controllo repubblicano del Senato, contro le mie stesse aspettative di solo pochi mesi fa. 

Ora, come abbiamo già cercato di spiegare in varie conversazioni, il livello di loyalty della Silicon Valley (termine ormai generico per il mondo tech, che include anche geograficamente Seattle, cioè Microsoft e Amazon) è molto basso. Potremmo dire che è più “committed” ai valori progressisti che al partito che li rappresenta. Mentre da politico democratico puoi contare su Wall Street, su Nike, su Starbucks, Disney, McDonalds, Pfizer, J&J Ibm, Coca-Cola (e la stragrande maggioranza delle top 100 aziende del paese), non puoi fidarti di Zuckerberg & co. Quindi, qualcuno a Washington sta osservando cosa sta facendo Xi Jinping con i “masters of the universe” locali, e magari qualche pensiero cattivo può nascere.

Facciamo i nomi

Due nomi tengono svegli i congressmen e congresswomen a Washington: Elon Musk e Mark Zuckerberg. Entrambi figli geniali della Silicon Valley, ma con profili diversi. Raccomando per chi ha interesse e tempo di leggere un po’ di agiografia sui due bad boys della rivoluzione tecnologica. Elon Musk è stato l’idolo dei californiani ricchi e verdi. Elon, bambino ricco e ambizioso, ha inventato il perfetto giocattolo per loro: caro, fondamentalmente inutile (fino a 10 anni fa era davvero un “useless toy for a rich boy”): la Tesla. Perfetto per rappresentare la nuova dimensione del benessere e della coscienza ambientalista di Los Angeles e dintorni. Poi le cose si sono evolute, ed Elon è diventato davvero il più grande disruptor dell’industria dell’auto della storia, un visionario arrogante e terribilmente simpatico allo stesso tempo. Ma di recente un po’ troppo independent thinker, per la Casa Bianca e amici vari. Ed è uscito dal cerchio di fiducia già da diverso tempo. Nemico pubblico n. 1.

L’altro, Mark Zuckerberg, decisamente meno simpatico e carismatico, ha creato la più grande macchina da soldi della storia, secondo diverse unità di misura e di analisi finanziaria. Una macchina da cash flow generation davanti alla quale anche Amazon impallidisce. Nemico pubblico n. 2.

Cosa li accomuna? Nessuno dei due suscita più la fiducia di Washington. Elon ha idee troppo anticonformiste e politically incorrect; un cattivo californiano insomma. Mark, super politically correct e allineatissimo al progressismo spinto, ha un solo problemino: un’avidità e una ricerca del potere semplicemente smodate, nonché un complesso di superiorità anche verso gli altri giganti del web che lo rende odioso ai più. Infatti è del tutto emarginato dagli altri CEOs del web. Forse per questo mi sta simpatico, paradossalmente.

Per evidenziare quanto questi due personaggi siano controversi e considerati sempre più pericolosi dal clan Obama (cioè dalla Casa Bianca) e dal clan Sanders-Warren-Aoc, portiamo un paio di esempi.  

Musk è stato eletto “the person of the year” dal Times. Pochi minuti dopo, il web è stato inondato di sdegno (outrage) da parte sia dei puristi progressisti della Silicon Valley che da politici e giornalisti della East Coast. Insomma, una “very controversial person”, da una costa all’altra (due minuti di lettura per capire il tono: sul Guardian e qui). Per chi vuole capire di cosa stiamo parlando, quando diciamo “controversial”, si veda per intero la recente intervista al WSJ, con spunti davvero interessanti che hanno portato una buona parte del mondo Dem a strapparsi i capelli e gridare allo scandalo. 

Questa intervista, con spunti geniali (per chi ha tempo, è imperdibile), spiega abbastanza bene lo sdegno di molti all’annuncio del Time. Inoltre, Musk si è sempre dichiarato fortemente favorevole a un maggiore adozione delle criptovalute che sono al momento esplicitamente nel mirino della regulation made in Biden. Questo è un altro punto chiave per capire cosa sta succedendo tra Washington DC e San Francisco: anche persone come Jack Dorsey e Mark Zuckerberg sono favorevoli alla rivoluzione delle digital currencies, e quindi il tema crypto rappresenta un altro fronte caldissimo nelle relazioni tra i grandi supporters di Biden e la Casa Bianca stessa, che ha tra i suoi obiettivi abbastanza espliciti quello di distruggere la popolarità e la diffusione delle cryptocurrencies (eccetto le CBDCs, logicamente): le dichiarazioni allineate e coordinate di Yellen, Powell, Gensler (Sec chairman), Bloomberg e dell’accademia di corte confermano che la linea governativa è quella di imporre una regulation tale da distruggere quel mondo “unregulated”. Musk è un ostacolo, insieme a Zuckerberg e Dorsey, per l’adozione di misure radicali contro lo scambio di digital currencies su un circuito decentralizzato e quindi “unregulated”.

“Cattivi ragazzi” e politica

Tornando ai due “bad boys” della Silicon Valley (più, ovviamente, Jack Dorsey: fondatore di Twitter, Square, grande believer nella rivoluzione crypto), notiamo che il più allineato alle linee dei valori super-progressisti, e cioè Mark, è quello maggiormente sotto attacco da giornalisti e politici. È storia recente, di novembre, lo scandalo “Facebook Papers”, creato ad arte con le ridicole confessioni della whistleblower Frances Haugen, ex impiegata che evidenziava in FB un modello gestionale senza scrupoli, in cui in particolare gli users più deboli (teenagers) erano lasciati in balia di messaggi di hate or shaming provatamente dannosi se non addirittura devastanti: questo davanti a dati e reports interni che dimostravano una piena coscienza del problema e una piena volontà di ignorarlo. 

Inoltre, si dimostrava il ruolo decisivo di FB nelle vicende dello scorso 6 gennaio al Capitol Hill, con la Cnn che attaccava FB per non avere tenuto sotto controllo le frange estremiste pro-Trump. Sdegno e segnali forti anti- Zuckerberg soprattutto dai dems, che chiedono misure radicali e punizioni. Inutile dire che Haugen non ha probabilmente nessuna ispirazione etica ed è guidata dall’esterno in una guerra politica a FB. E, in fondo, l’obiettivo ultimo dell’investigazione e delle misure che il Congresso suggerirà al Department of Justice è quello di limitare la potenza della piattaforma-sistema Facebook, dove gruppi di ogni genere, soprattutto non allineati al sistema, possono in poco tempo costruire flussi di notizie virali e potentissime (fake o non fake news) e muovere più consenso del New York Times. In fondo, quanti americani leggono la bibbia NYT? Chiedetelo a Hillary Clinton, che sta riflettendo sul tema da circa cinque anni. 

In questo senso, a differenza di Google, Youtube e Twitter, gli algoritmi censori di FB non hanno funzionato bene durante le scorse elezioni e da qui nasce la gran parte dell’odio contro Mark: un mostro di piattaforma senza controllo e senza liabilities e accountability dove transita qualsiasi informazione e si riuniscono aggregazioni sociali di qualsiasi tipo. Oltre ovviamente a tutto il sottobosco del mondo Covid (scettici, no vax, cospirazionisti, etc.). Una tale piattaforma senza controllo non è accettabile, sostengono sempre più spesso i politici e i pensatori dems.

Elon e Mark, ambizione smodata

Riassumendo, non solo stiamo vedendo che il partito democratico oggi al potere è in realtà un governo di coalizione con visioni interne fortemente polarizzate (centristi vs. estrema sinistra), ma vediamo anche che la relazione con la Silicon Valley non è più la stessa. La Silicon Valley non ragiona come la Coca-Cola o la Nike. I politici tradizionali non hanno capito che Tim Cook, Eric Schmidt, Jack Dorsey, Marc Zuckerberg, Mark Benioff e altri ragionano su dimensioni e livelli fino ad ora sconosciuti. Il mondo vecchio di Washington, per loro, è fatto di due partiti vecchi che vivono alla giornata come uomini primitivi (political donations after political donations: come vivere di caccia alla giornata), che ragionano su orizzonti di due anni al massimo e riescono a raccogliere tra le loro fila personaggi di una mediocrità sconcertante, corruttibili con una manciata di dollari e dotati di bassi standards etici. E intorno a loro una sconfinata corte di parassiti accademici e giornalisti che succhiano le risorse del sistema sotto esplicito supporto o protezione.

La mia impressione è che il partito democratico si trovi di fronte a una scelta filosofica radicale di non facile definizione: continuare l’abbraccio mortale con la Silicon Valley o iniziare a regolare e prendere le distanze dai semi-dei che oggi di fatto controllano il paese. Le varie Coca-Cola, Pfizer, Kraft-Heinz etc. alla fine si accontentano di corrompere un po’ di congressmen/women per avere qualche favore regolamentare, per vendere il loro junk food o simili senza troppe ostacoli, ma non molto di più. Quindi pagano l’obolo con regolarità e continuano a spremere il sistema, con influenza limitata al loro obiettivo di profitto aziendale. 

Questo è il modello arcaico, il passato. Oggi l’esempio di Xi Jinping suscita nel sottobosco di Washington una timida e segreta ammirazione: Xi si è liberato in un anno dei “masters of the universe” e ha riscritto le priorità del paese (the common prosperity… Come il BBB?) Qui in Usa –  qualcuno si chiede tra i dems – potremo mai divorziare dalla Silicon Valley senza perdere il potere? 

La mia impressione è che i masters of the universe non mostreranno mai nessuna ambiguità relativamente al loro lato politico e continueranno con censure sempre più aggressive (si veda Twitter, tra tutti) ma il prezzo da pagare, per il sistema politico, sarà molto alto. Incalcolabile, come già si intravede da una decina di anni. Il loro esplicito supporto al partito democratico costerà al partito stesso la sua fine e lo allontanerà sempre più dal concetto di partito centrista e trasversale, dal punto di vista sociale ed economico. Sarà sempre di più un partito incapace di toccare i grandi oligopoli della finanza e della Silicon Valley, schiacciato fino al ridicolo su battaglie culturali e antropologiche che non toccano il popolo ma accomunano tutto il mondo del tech: a San Francisco non stanno in piedi dalle risate quando assistono a sedute del Congresso dove per ore si discute di bagni bisex nelle scuole, mentre 6 o 7 aziende unregulated si spartiscono la torta dell’economia americana e decidono le linee guida per la società dei prossimi 30 anni. 

Attenzione: decidono, non suggeriscono; e a chi? Non c’è più bisogno di dettare nulla a un Congresso che vive alla giornata. Basta un click, costa meno e funziona meglio. Povere Coca-Cola e Nike che devono ancora dettare le loro richieste a qualcuno…

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