CASO LOMBARDIA/ Commissariarla per Covid-19? È solo una tentazione “fuorilegge”

- Lorenza Violini

L’ipotesi del commissariamento della Lombardia per malpractice nella gestione dell’emergenza Covid-19 non risponde a norme e prassi previste

bollettino coronavirus lombardia Regione Lombardia, Attilio Fontana e Giulio Gallera (LaPresse)

L’ipotesi, circolata nei giorni scorsi, del commissariamento della Regione Lombardia per malpractice nella gestione dell’emergenza Covid-19 richiede alcune precisazioni, utili a comprendere quanto lontana essa sia dai dati normativi e dalla prassi che connotano questa figura, che pure è prevista nel nostro ordinamento.

Il potere sostitutivo è previsto in Costituzione, all’articolo 120, II e III comma, e prevede quanto segue: il  Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.

La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.

La sola lettura del testo normativo è, credo, illustrativa di quanto si è detto sopra. D’altra parte il potere ivi previsto è stato giustamente definito dalla dottrina come un “potere sostitutivo straordinario”, che il Governo può esercitare sulla base dei presupposti specificamente elencati nella norma costituzionale e in modo assai limitato.

Si precisa inoltre, al terzo comma, che occorre rispettare le procedure previste dalla legge, poste a garanzia di un uso distorto di tale forma di gravissima limitazione (che giunge fino all’annientamento della stessa) dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali e che tale legge deve essere coerente con il principio di sussidiarietà e con quello, ancora più rilevante, della leale collaborazione tra i diversi livelli di governo. Occorre, in altre parole, che venga accertata e garantita la mancanza di arbitrio, nonché l’inesistenza di motivi di carattere politico, quali il disaccordo sui contenuti di determinati provvedimenti.

E, infine, le disfunzioni a cui porre rimedio tramite questo potere devono riguardare un intero sistema di governo e non singole questioni, anche se queste sono state affrontate in modo ritenuto inadeguato.

In sanità, ad esempio, il rispetto del principio di leale collaborazione enunciato nell’articolo sopra riportato ha fatto sì che tutti i commissariamenti che si sono susseguiti in questi anni, dovuti essenzialmente ad un dissesto nei conti del comparto, siano stati previsti in Accordi tra Stato e Regioni poi recepiti dalla legge (in particolare dalla legge 191 del 2009, che ha recepito il cosiddetto Patto per la Salute 2010-2012) cosicché le condizioni e le forme fossero rigorosamente concordate dalle due parti e non causate da mere contingenze. In precedenza, la disciplina normativa era prevista dalla legge 31 del 2004, a cui aveva fatto seguito l’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005.

In generale, occorre che il commissariamento sia preceduto dalla definizione dei Piani di rientro che sono imposti a certe Regioni al fine di riportare la spesa sanitaria entro i limiti concordati, Piani che vengono predisposti solo dopo che il presidente del Consiglio ha diffidato la Regione ad adottare i provvedimenti necessari per uscire dal deficit. Gli Accordi prevedono che, se non si ottengono miglioramenti, vi sia un affiancamento del Governo nazionale alle realtà regionali in disavanzo cosicché la programmazione, la gestione e la valutazione dei Servizi sanitari regionali vengono poste in essere di comune accordo. Solo se questa fase si presenta come insufficiente, si passa al commissariamento vero e proprio.

Lo scopo del commissariamento non è, dunque, punitivo, ma rigorosamente finalizzato a ricreare strutture in grado di portare a termine la propria missione di tutela della salute, tanto che esso viene attivato solo nel momento in cui si registrasse un fallimento della prima fase. Tocca in questo caso al Consiglio dei ministri nel suo insieme – e non a singoli ministri – prendere la decisione e definire il mandato del Commissario in cui siano stabiliti gli obiettivi, il cui raggiungimento viene valutato dai Tavoli di monitoraggio in occasione delle riunioni periodiche.

Due sono dunque gli steps: il primo è l’affiancamento delle strutture regionali a cui è affidata la realizzazione del Piano di rientro e solo in un secondo momento, valutata l’insufficienza di questo provvedimento, si passa al commissariamento vero e proprio.

Va ricordato infine che, al momento della scelta del Commissario, in ben due Regioni su quattro commissariate (delle 10 che erano state sottoposte ai Piani di rientro) era stato scelto il presidente pro tempore della Regione stessa nelle persone di Vincenzo De Luca per la Campania (preceduto negli anni da Antonio Bassolino, Stefano Caldoro e Joseph Polimeni) e di Nicola Zingaretti per il Lazio. Attualmente, queste due Regioni – la prima dopo 10 anni di commissariamento e 12 dalla definizione del Piano di rientro – sono uscite da tale condizione per riprendere pieno possesso della propria autonomia nel settore della sanità che, come è noto, costituisce il maggior compito che spetta alle Regioni italiane.

Va ricordato che una legge che prevedeva l’incompatibilità della carica di presidente della Regione con quello di Commissario straordinario, voluta dalla ministra Giulia Grillo, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima.







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