GEOFINANZA/ Spagna, 400 miliardi fanno tremare Italia e Germania

- Mauro Bottarelli

Nonostante le apparenze, la situazione dell’Europa resta ancora a rischio e persino la Germania rischia di finire in serie difficoltà. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

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Borse euforiche e spread in discesa, qualcosa si muove! Le voci un po’ confuse di un intervento salva-euro uscite dal G20, unite al fatto che i mercati prezzano al 70% le possibilità di un nuovo quantitative easing da parte della Fed e che la Grecia abbia un governo stabile (per quanto, non si sa), hanno riportato un po’ di sereno. Durerà? La scorsa settimana l’ex primo ministro spagnolo, José Maria Aznar, ha spiazzato tutti ammettendo che le reali necessità di ricapitalizzazione delle banche spagnole erano di 400 miliardi di euro, quattro volte quanto messo a disposizione dall’Ue attraverso l’erogazione di liquidità al Frob, il Fondo iberico per la salvaguardia del sistema bancario. Esagerava? No, diceva la verità. E questo è confermato dal fatto che Mario Monti, uomo dei salotti che contano prima che professore esimio, si sia fatto promotore in sede di G20 del cosiddetto scudo anti-spread, ovvero la possibilità che il fondo Efsf possa acquistare debito sovrano sul mercato secondario e che abbia solennemente confermato che «nei prossimi giorni la Spagna presenterà i dettagli della sua richiesta di aiuto finanziario, fornendo la chiarezza necessaria su ammontare e forma del sostegno, che sarà approvato in tempi rapidi».

Insomma, l’euro ha 10 giorni di vita per essere salvato: questa è la situazione reale. E da Londra giungono di fatto conferme al riguardo, con molti fondi d’investimento che stimano le necessità di funding degli istituti spagnoli fra i 300 e i 500 miliardi di euro e che, contemporaneamente, scommettono su un epilogo greco per Madrid, stante la subordinazione dei creditori che il processo di salvataggio creerebbe, ponendo Fmi e Bce come unici creditori privilegiati. Nei sei giorni precedenti al G20 delle mille promesse e delle troppe tensioni tra Ue e Usa, in perfetta contemporaneità con l’aumento dello spread tra Bonos e Bund, il mercato ha conosciuto un picco del prezzo delle obbligazioni iberiche regolate da legislazione britannica, sia sovrane che soprattutto regionali, con la Catalunya in testa alla classifica di chi rischia di farsi divorare dai vulture funds alla luce del suo programma di emissione di notes a medio termine per 9 miliardi di euro, interamente governate da legislazione Uk.

Il perché è presto detto: emettere debito denominato estero garantisce un maggiore afflusso di investitori e quindi maggiore possibilità di collocamento anche in condizioni estreme di mercato come quelle attuali, ma solo perché questo viaggia pari passu e contiene la cosiddetta “negative pledge”, clausola che permette al detentore di richiedere un interesse di sicurezza in caso di subordinazione dei creditori, come appunto potrebbe avvenire in caso di un prestito dell’Esm al Frob. Ma a Londra, tra gli specialisti del cosiddetto distressed debt, circolano anche altre cifre riguardo la situazione spagnola, tali da giustificare la cifra monstre ipotizzata per puntellare il sistema.

I prestiti tossici delle banche iberiche, ovvero quelli pressoché inesigibili, sono arrivati all’8,72% del totale, il livello peggiore dal 1994, ma anche decisamente sottostimato, visto che molti di questi sono riportati al valore facciale, essendo tramutati in securities e scaricati presso la Bce. E nella City fanno notare che anche prendendo per buono questo dato, siamo a quota 6,1 miliardi di dollari, 73,2 miliardi di dollari su base annualizzata. Al netto del piano di salvataggio da 100 miliardi posto in essere dall’Ue, ci sono poi 400 miliardi di prestiti al solo settore immobiliare, in ulteriore calo di almeno un altro 15%, di cui 120 già definiti tossici dagli analisti.

Numeri che fanno paura, all’interno di un sistema generale che appare potenzialmente insalvabile: il sistema bancario spagnolo è valutabile in circa 3 triliardi di euro, tre volte il Pil del Paese e nel solo mese di aprile gli istituti iberici hanno preso in prestito lordo dalla Bce 316 miliardi di euro. Nonostante questo, le banche spagnole devono dar vita al roll over sul 20% delle loro obbligazioni entro quest’anno, circa 600 miliardi di euro. Cifre che ci dicono come il denaro messo a disposizione dalle autorità europee rappresenti una toppa molto più piccola del buco. Anche perché tra la necessità di roll over delle banche europee e la reale possibilità di dar vita a questa operazione, si pone il fatto che il mercato obbligazionario globale abbia appena appreso dalla voce ufficiale della Commissione europea che ci sarà subordinazione per tutti i creditori rispetto all’Esm. Di più, a Londra non si sottovaluta poi il fatto che il salvataggio del sistema bancario possa innescare una crisi sovrana simultanea a quella bancaria, stante la ratio debito/Pil che salirà al 146% e l’ormai quasi acclarata incapacità della Spagna di finanziarsi sul mercato a tassi sostenibili.

Martedì Madrid ha collocato sul mercato titoli a 12 e 18 mesi per 3,04 miliardi di euro, pagando per il Bill annuale un rendimento del 5,107% contro il 3,302% corrisposto all’asta del mese scorso, il peggior risultato dal 2003. Alta la bid-to-cover, ma dovuta solo al fatto che le banche spagnole stanno utilizzando gli ultimi miliardi incamerati con le due aste Ltro della Bce per il carry-trade e per sostenere, artificialmente, il debito del Paese. E da oggi al 24 luglio Madrid dovrà tornare sul mercato ben altre cinque volte.

Anche l’arretramento dello spread sul decennale registrato negli ultimi due giorni, fanno notare nella City, rischia poi di mandare un segnale fuorviante: se infatti si è registrata una contrazione di circa 20 punti base sul Bund nel mercato secondario, questa è stata contemporanea a un ampliamento di 12 punti base del cds decennale iberico (raddoppiato nel solo anno in corso), sintomo che le scommesse marginali sui bonds spagnoli sono ancora una volta rientrate nella logica dell’arbitraggio della trading community. Ecco spiegata la fretta di Mario Monti, il quale ha avuto rassicurazioni da Mario Draghi rispetto alla riattivazione del programma Smp di acquisti sul mercato secondario da parte della Bce soltanto se il rendimento del Bonos a 10 anni avesse raggiunto il 7,50%, una soglia giudicata dal nostro premier troppo rischiosa a livello di contagio sulle nostre emissioni: occorre alzare, subito, un firewall di emergenza.

E il perché è presto detto: esattamente come per Madrid, il nostro calendario di emissioni pre-estive è da incubo. Il 26 giugno asta a lungo termine, il 27 a breve, il 28 ancora Btp, il 12 luglio a breve, il 13 e il 26 a lungo termine e il 27 ancora a breve. Il rischio è quello, serio, di un bagno di sangue per collocare lo stock preventivato dal Tesoro, inviando un pessimo segnale ai mercati durante il mese di agosto, quello in cui la politica solitamente si addormenta sotto l’ombrellone e ha tempi di reazione ancora più lenti: mentre i mercati, si sa, non dormono mai e non vanno mai in vacanza.

Insomma, la Merkel ha finito le cartucce e dovrà dire sì a qualcosa che salvi l’euro, sia essa la condivisione del debito, gli eurobond o l’unione bancaria? Una cosa è certa: come riportava ieri il Financial Times, i grandi hedge funds stanno scommettendo a mani basse su una sell-off in grande stile di Bund a causa del crollo del rendimento delle obbligazioni periferiche grazie alle mosse dei regolatori. Non è un caso che martedì il rendimento sul Bund a 10 anni sia salito di 33 punti base all’1,53%, chiaro segnale che il G20 qualcosa lo ha mosso, almeno sulla carta e nelle intenzioni. E a mettere i brividi a Berlino c’è il fatto che tra chi sta già shortando il Bund c’è John Paulson, il manager di hedge fund statunitense che nel 2007 fece miliardi azzeccando il crollo del mercato immobiliare a causa della crisi subprime.

Anche Bill Gross di Pimco, principale fondo obbligazionario del mondo, appare pessimista sul futuro dei titoli di Stato tedeschi: «I Bunds sono attraenti per chi vuole scommettere al ribasso perché sono ai loro minimi storici e perché da oggi in poi la posizione fiscale della Germania può solo peggiorare. Se hai pazienza di aspettare, è un trade addirittura ovvio». Cosa scatenerà il tutto? Per il 50% dei manager contattati a un forum a Monaco, la risposta è ovvia: un deterioramento della crisi bancaria spagnola che porterà con sé un piano di salvataggio d’emergenza che andrà ben oltre i 100 miliardi messi ora a disposizione e minerà la stabilità finanziaria dell’azionista di maggioranza dell’Ue, ovvero proprio la Germania.

Proprio come annunciato da Aznar: tout se tient, come dicono i francesi. L’America ha la sua strategia chiara per far pagare all’Europa i costi della crisi e guadagnarci sopra: ci ha dichiarato guerra con l’arma di distruzione di massa della finanza. E le divisioni europee non fanno altro che il gioco dello Zio Sam. Occorre reagire. Subito. E duramente.

 

P.S.: Detto fatto, nel tardo pomeriggio di ieri, parlando con i cronisti a Kokkola, il ministro delle Finanze finlandese, Jutta Urpilainen, ha detto chiaramente che il suo Paese chiederà collaterale per la sua quota di partecipazione al salvataggio del sistema bancario europeo, se questo avverrà attraverso il fondo salva-Stati temporaneo dell’eurozona, ovvero l’Efsf. Sembra la Grecia, è Madrid.







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