FINANZA/ Francia e Germania fanno saltare l’euro?

- Mauro Bottarelli

Nonostante le apparenze, spiega MAURO BOTTARELLI, l’euro non è affatto al sicuro. E i pericoli arrivano da paesi “forti” come Francia e Germania: vediamo perché

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Effetto Grillo anche in Germania, anche se con qualche credibilità economica e professionalità in più. Stando a un sondaggio condotto dalla TNS-Emnid per conto del settimanale Focus e reso noto ieri, un tedesco su quattro sarebbe pronto a votare un partito anti-euro alle elezioni federali del prossimo settembre. La fascia d’età in cui è più forte questo sentimento di contrarietà all’unione monetaria è quella che va dai 40 ai 49 anni, dove il 40% degli interpellati si è detto pronto a un voto di protesta. E a spaventare Angela Merkel non è solo questo risultato fino a qualche mese fa impensabile, ma altre due variabili: primo, un soggetto politico con questo manifesto è appena nato in Germania. Secondo, diverrebbe un potenziale drenatore di voti proprio a destra, ovvero alla Cdu e Csu in Baviera.

“Alternativa per la Germania”, il neonato movimento euroscettico, proprio ieri ha infatti tenuto il suo primo meeting ufficiale a Francoforte e uno dei co-fondatori, il professor di economia Bernd Lucke, ha detto chiaro e tondo che non ci sarà alcun problema a raccogliere le 2000 firme necessarie per ogni Lander al fine di poter partecipare al voto. In meno di una settimana, poi, sono nati il sito internet www.alternativefuer.de e l’account Twitter, (@wahlalternativ1), con 690 followers in poche ore. Chiaro e netto il contenuto programmatico: “Poniamo fine a questo euro”, recita la homepage del sito. Per poi proseguire: “La Repubblica Federale di Germania è nella crisi più profonda della sua storia. L’introduzione dell’euro è stato un errore fatale e minaccia la nostra prosperità. I vecchi partiti stanno rifiutando di ammettere i loro errori e correggerli”. Come dire, ci penseremo noi.

Il movimento propone il ritiro della Germania dall’eurozona e il ritorno al marco o, in alternativa, una nuova unione monetaria con austriaci, olandesi e nazioni del Nord, esclusa però la Francia: l’asse renano non esiste più. A coordinare il programma, l’ex capo della Confindustria tedesca, Hans-Olaf Henkel, il quale ha recentemente definito il suo appoggio all’euro «il peggior errore della mia vita professionale». A favore dell’uscita della Germania c’è l’argomento principe: porre fine al disallineamento del 20-30% in competitività tra Nord e Sud che sta divorando, come un cancro, l’Europa. A tal fine, il cosiddetto Club Med terrebbe l’euro come divisa, garantendosi una svalutazione immediata e benigna e non dovendo ridenominare i contratti in essere in altra moneta: in tal modo, anche lo spettro dei default sovrani dovrebbe allontanarsi. Insomma, come i Conservatori di Cameron hanno l’Ukip alla loro destra che flirta con i sentimenti anti-europei, così oggi la Merkel ha l’Afd. La quale potrebbe rivelarsi un problema anche prima del voto, ovvero già alla fine del mese, quando l’Ue sarà chiamata a dare una risposta alla crisi di Cipro: se Angela Merkel cederà ai partner, sarà sotto il fuoco nemico, dato che l’Afd ha già definito questa ipotesi «la salvaguardia dei fondi sporchi degli oligarchi russi».

Per il leader, Bernd Lucke, «le elezioni italiane dimostrano quanto sia grave l’intera crisi dell’euro. Inoltre, chiunque non completamente irresponsabile sa che il 50% di disoccupazione giovanile in Grecia come in Spagna rappresenta un’assoluta catastrofe». A dare man forte all’AfD, anche un sondaggio della Zdf in base al quale il 65% dei tedeschi pensa che l’euro sia un danno, mentre il 49% pensa addirittura che la Germania dovrebbe uscire del tutto dall’Ue. E con gli alleati della Cdu, i liberali della Fdp, crollati al 4% nei sondaggi, per Angela Merkel potrebbe profilarsi se non una sconfitta tout-court, certamente il fantasma di una nuova grosse koalition. Anche perché a fronte di Afd che punta almeno a superare il 5%, erodendo a destra, a sinistra anche la Spd non può stare troppo tranquilla, perché i Verdi stanno rubando elettori a raffica e si attestano già al 16%. Insomma, anche in Germania rischio ingovernabilità.

Stando a una valutazione del think-tank OpenEurope, l’unico alleato della Merkel sarebbe il tempo, visto che il neonato movimento anti-euro ne ha davvero poco per organizzarsi e presentare i candidati in tutto il Paese, facendosi conoscere e creandosi una credibilità: l’anno prossimo, però, si vota per il rinnovo dell’Europarlamento e lì sì che potrebbe prospettarsi una valanga. Anche perché il redde rationem non pare lontano. Nonostante la Bce abbia mantenuto fermi i tassi di riferimento, resta infatti il nodo della disoccupazione – all’11,9% nell’eurozona -, la quale per Draghi non può essere combattuta con la politica monetaria ma nemmeno attraverso il cosiddetto “contagio positivo” del rally dei mercati sull’economia reale e la crescita. «Prima o poi la Bce dovrà abbassare i tassi e muoversi forse una qualche forma di politica di allentamento quantitativo», prevede Michael Alexandrovich di Jefferies. E anche potenziali errori nella gestione dell’inflazione, a causa degli effetti distorsivi dell’aumento fiscale dovuto all’austerity, potrebbero trascinare l’Europa in uno scenario di deflazione in stile giapponese.

La pensa così Lars Christensen di Danske Bank, secondo cui «se non si fa qualcosa per aumentare l’offerta di moneta, la deflazione è alle porte. Vediamo già ora richiami a quanto accaduto in Giappone nel 1996-97». Ovvero, la vulnerabilità agli shock esterni una volta che l’inflazione si sia stabilizzata sotto l’1% per un periodo prolungato di tempo, prodromo delle crisi dell’East Asia del 1998. Oggi nell’eurozona il livello ufficiale è dell’1,3%, ma qualcuno, effetti distorsivi dell’austerity alla mano, già la vede in area 1%. C’è poi la nuova ondata di credit crunch, visto che i prestiti alle aziende nell’eurozona sono scesi di 100 miliardi di euro negli ultimi sei mesi, uccidendo le piccole aziende dell’area Sud dell’Ue. E Draghi ha escluso di ricorrere a una variante del QE posto in essere dalla Bank of England, ovvero una fornitura di scopo che pompi liquidità vincolata solo dove serve, ovvero alle imprese e famiglie.

Il problema è che con il dato degli ordinativi industriali tedeschi di gennaio a -1,9% contro la previsione del +0,6%, la recessione sta intaccando il cuore d’Europa, minando alla base la possibilità di una ripresa. In Francia, poi, la disoccupazione è al 10,6%, il massimo da quando esiste l’euro, con 3,7 milioni di disoccupati mentre la massa monetaria M1 sta conoscendo una contrazione annuale del 6,6%, una tendenza più grave di quella registrata in Spagna o Italia. L’indice della fiducia Bva, poi, lo scorso mese è crollato di 12 punti, con il 75% dei cittadini che prevede un deterioramento ulteriore dell’economia nei prossimi dodici mesi. L’economista Christian Saint Etienne è netto: «La Francia è sull’orlo dell’implosione economica. Con un settore statale che pesa per il 57% del Pil, la sua permanenza nell’Ue è impossibile».

C’è poi la questione dei debiti sovrani, anzi degli spread. Interpellato da un giornalista nel corso della conferenza stampa di giovedì scorso, Draghi ha infatti dovuto ammettere come siano ancora in discussione e tutte da scrivere le stesse regole che governeranno il programma Omt, ovvero gli acquisti illimitati di bonds a condizione che i governi accettino misure e riforme imposte dalla Bce stessa. Insomma, in caso di attacco speculativo, l’Omt non sarebbe utilizzabile e si dovrebbe operare attraverso il vecchio Smp, ovvero acquisti sul mercato secondario, con ovvio e ulteriore ampliamento del bilancio della Bce e deterioramento della qualità dello stesso.

Se ieri il mercato non ha reagito con una sell-off a questa ammissione e al downgrade di Fitch del debito italiano è solo perché quasi tutti sono posizionati long grazie al rally azionario innescato dai soldi senza fine e a costo zero della Fed, addirittura gli unici a ridurre i loro long sono i traders che trattano oro e argento. Ma appena Bernanke rallenterà la stampa – e dovrà farlo – e si sostanzierà la prima correzione, allora potrebbe esserci il vero test per l’Eurotower. E attenzione, per timore del voto, in Italia si è sostanziata una vera e propria fuga di capitali nel mese di febbraio, qualcosa come 34 miliardi di euro trasferitisi altrove nell’eurozona, il peggior dato da un anno. Quindi, nonostante la Banca d’Italia abbia creato una regolamentazione per le liabilities da 256 miliardi e il mercato obbligazionario appaia placido come un lago alpino, qualcuno in Italia sta spostando all’estero enormi somme di denaro.

Attendiamo fiduciosi la nascita di un governo o il ritorno alle urne: quanto potrà durare questa calma, stante i dati macro del Paese e dell’eurozona tutta, non è dato a sapersi.







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