IL CASO/ Da Bankitalia a Obama, aveva proprio ragione Marx…

- Gianluigi Da Rold

Obama (a cena con Renzi) critica l'austerity, poi dice che vota per la sua paladina: la Merkel. Ma è in Italia che la tragedia (o la farsa) non ha limite. GIANLUIGI DA ROLD

ignaziovisco_padoanR439 Ignazio Visco e Pier Carlo Padoan (LaPresse)

Non finisce mai di stupire l’incipit profetico di Carlo Marx ne il suo classico Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte. Scriveva Marx: “Hegel osserva in un punto della sua sua opera che tutti i grandi fatti della storia del mondo e i loro protagonisti, compaiono per così dire a due riprese. Egli ha dimenticato di aggiungere: la prima volta in tragedia, la seconda in farsa”.

Ma in questo caso ci permettiamo di aggiungere al grande classico una considerazione. Forse Marx prevedeva soltanto una farsa, non una sequenza di farse fino a una grottesca comica finale; sperando ovviamente che il tutto non si risolva come nella battaglia di Sedan, tra il 31 agosto e il 1° settembre del 1870, con tutte le conseguenze che ne seguirono per la Francia.

In Italia c’è stata, comunque la si pensi, un’autentica tragedia. La liquidazione di una intera classe dirigente democratica nel 1992-1993 (chissà perché si parla così poco del libro di Mattia Feltri Novantatre, che è stato contestato anche dal padre Vittorio).

Probabilmente quella classe dirigente aveva responsabilità gravi, probabilmente doveva essere sostituita, ma il modo in cui tutto avvenne è stato giustizialista, discutibile, sbrigativo e ha lasciato un vuoto politico che nessuno è stato più in grado di colmare. Di quella classe dirigente si sono salvati alcune “seconde file” e soprattutto le estreme del vecchio Parlamento. Da un lato, gli orfani pentiti (hanno persino cambiato nome) dell’Unione sovietica, crollata per implosione, dall’altra i neofascisti che si sono riciclati in una generica destra che in Italia è scomparsa da tempo immemorabile (due aree politiche che alla fine, se si considera il contesto mondiale storico e politico nuovo, si potevano facilmente ricattare e tenere sotto controllo da parte nuovi poteri internazionali).

Se si guarda a tutti gli esperimenti successivi si resta disarmati e ci si infila nel tunnel delle farse: dal Mariotto Segni innovatore, all’Antonio Di Pietro moralizzatore, al Silvio Berlusconi grande statista, al Massimo D’Alema dal “baffo decisionista”, al Romano Prodi perennemente “trombato”, fino ai Monti, ai Letta e all’attuale Renzi.

Poiché le svolte politiche o le cosiddette grandi scelte strutturali non avvengono mai per caso, si fa solo notare che la liquidazione della vecchia classe dirigente italiana fu accompagnata da un’ondata di privatizzazioni (senza liberalizzazione) che, ai fini del debito pubblico, si rivelò del tutto inutile e favorì, attraverso laute percentuali di commissione, solo le grandi banche d’affari anglosassoni. Con il relativo smantellamento di molte strutture industriali del nostro Paese.

Insomma, c’erano solide ragioni economico-finanziarie per quella svolta che portò a un’entrata nell’euro con un cambio “sanguinoso” per l’Italia e a una liberalizzazione bancaria e finanziaria con relativi prodotti derivati, anche nel bilancio statale, di cui nessuno sa ancora con precisione i numeri e quello che costano.

Tra i sottoprodotti della farsa: “La casta” messa in onda dal duo Mieli-Montezemolo; una serie di contorti pentimenti su quello che è avvenuto fino alla recente definizione (è anche il titolo di un libro uscito da poco) “repubblica dei brocchi”. Il risultato finale è arrivato in questi mesi alla riforma costituzionale, che ha soprattutto un merito (si fa per dire): quello di avere letteralmente diviso un Paese in due. I giuristi e i politici dell’Assemblea Costituente fecero degli slalom geo-strategici, trangugiarono diktat da ambasciatori di Stati esteri per arrivare a una unità accettabile, oggi si cambia la Costituzione grazie a un voto in più o meno di maggioranza; i giuristi di quasi tutto il mondo sulle Costituzioni scelgono la proporzionalità maggiore che garantisca norme condivise, qui si spera nel maggioritario duro dello 0,1 per cento.

Dopo la farsa si è arrivati alla comica finale. A poco più di quindici giorni dal voto è arrivata anche la famosa Banca d’Italia, su cui ci si accapiglia per sapere con esattezza se è pubblica o privata (le quote sono delle banche private, quelle che Bankitalia dovrebbe controllare), e che ha meno poteri di un tempo, ma ha sempre il suo prestigio e appunto un potere di controllo che non sembra funzionare molto bene in questi ultimi tempi.

Che cosa riesce a fare questa famosa Banca d’Italia? Riesce a mettere su una scadenza come il referendum costituzionale ancora più “pepe” del necessario. Con quindici giorni di anticipo, mentre esponenti del Sì e del No si insultano come al bar sport, Bankitalia prevede “turbolenze finanziarie nella settimana del voto referendario, facendo intendere, altro che balle!, che un No sarebbe un disastro.

E’ probabile che siamo di fronte al più gigantesco “insider trading” della storia della finanza. Si è parlato in passato delle agenzie di rating, del gioco sporco e pericoloso di insider che hanno fatto Moody’s, Fitch e la straripante Standard&Poor’s in diverse circostanze. Il tempo di parlare a mercati aperti è ormai un fatto normale e profondamente immorale. Ma in tempi di cosiddetta “finanza etica” è il minimo che ci si può aspettare. Gli esempi vanno da George Soros a Warren Buffett, al nostro De Benedetti, alle realtà finanziarie di ogni tipo: “le vedove scozzesi”, le “parrocchie calviniste”, “i professori del Kansas” (sono solo alcuni fondi), ma c’è un limite a tutto, anche alla comicità bancario-finanziaria.

Di fatto, tutto questo si inserisce in una serie di comportamenti scorretti e di schizofrenia politica che lascia tutti di stucco se si seguono con un minimo di attenzione le notizie.

Guardate solo quello che è avvenuto in questo ultimo periodo. Matteo Renzi va negli Stati Uniti con la moglie, Benigni e pure John Elkann (esempio classico di disoccupazione giovanile) e prende l’endorsement di Barack Obama, che benedice Hillary Clinton e il Sì al referendum italiano. Siamo al primo passaggio. 

Poi perde la Clinton e perde Obama, ma il presidente uscente viene in Europa e passa per la Grecia, dove si scaglia contro la politica dell’austerity, che è stata propugnata e difesa con i denti dalla Germania di Angela Merkel. Lo stesso tono Obama aveva usato con Renzi, che attacca la politica di austerity. Schizofrenia palese? Ma no, solo parole in libertà. Ecco Obama che arriva da Angela Merkel e la abbraccia e poi dice: “Abitassi qui, voterei per la Merkel”, che è sempre la stessa, quella dell’austerity.

Perplessità o sintomi di incoerenza? Per carità, è solo la politica ai tempi della grande finanza. Altro che referendum. La Merkel alla fine, essendo già figlia di un pastore protestante, si è limitata a toccare ferro per l’endorsement di Obama.

Intanto arrivano notizie inquietanti dagli Usa, dove Donald Trump ha messo a capo della Cia niente meno che un Pompeo, l’ultras Mike Pompeo. Speriamo che non sia un lontano parente di Pompeo Magno (un megalomane) e di suo padre detto Strabone (uno sguercio), altrimenti siamo già arrivati al Cesarismo senza neppure l’ombra lontana di un Bruto, che poi alla fine perde sempre.

 

PS. Per completezza dell’informazione, come si predicava al tempo del Pci, segnaliamo l’intervista di Lanfranco Pace ad Arrigo Sacchi sul Foglio. Pace, militante un tempo di “Potere operaio” e dintorni, contestava da sinistra quel “brav’uomo” di Leonid Breznev e pensava che Ciu En Lai fosse un turatiano. Sacchi sarebbe, per leggenda metropolitana, il riformatore del calcio italiano. Segnaliamo che il nostro maestro Gianni Brera diceva che “era riuscito a perdere due scudetti con quel Milan che allenava”. Entrambi sono per il Sì. Ahi!





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