Continua la lunga vendita di titoli USA da parte degli investitori in Cina con un nuovo record raggiunto lo scorso maggio: secondo dei dati raccolti da Bloomberg – infatti – gli investitori del dragone hanno scaricato titoli per circa 42,6 miliardi di dollari che si aggiungono ai già venduti 37,1 miliardi tra gennaio e aprile; senza dimenticare che guardando indietro fino al 2017 (anno in cui la Cina ha iniziato a vendere sempre più massivamente i titoli USA) sono stati oltre 440 miliardi i dollari reincassati da Pechino. Una situazione (insomma) non del tutto nuova, ma che rende ancora più evidenti le sempre più accese tensioni geopolitiche che – almeno per quanto riguarda il governo cinese e quello americano – vertono quasi tutte attorno alla questione Taiwan e al supporto alla guerra di aggressione della Russia in Ucraina.
Senza dilungarci troppo sul evidente – e problematico – panorama delle tensioni globali, vale la pena sottolineare anche che in questa tornata di vendite di titoli USA da parte della Cina si contano una larghissima maggioranza (più della metà) di titoli del Tesoro, seguite dalla vendita di debito pubblico e dalle azioni vere e proprie; peraltro in un momento storico in cui il rendimento dei titoli americani è vicinissimo al suo massimo annuale, toccato – riferisce sempre Bloomberg – lo scorso aprile.
Perché la Cina riduce la sua partecipazione nei titoli USA: l’ipotesi elettorale e il tentativo di scardinare il dollaro
Ma cosa c’è dietro a questa ampia (ed ennesima) vendita di titoli USA da parte dei grandi investitori in Cina? La risposta reale è impossibile da conoscere, ma secondo uno dei più noti strateghi Global X Management australiana – Billy Leung – potrebbe trattarsi di una certa sfiducia ed incertezza dei cinesi per le elezioni americane che li spinge a ridurre i rischi e ad accaparrarsi i capitali più alti prima del crollo del valore del dollaro; ma l’esperto non nega neppure che dietro alla vendita di titoli USA potrebbe esserci una strategia del governo della Cina per ridurre la sua partecipazione al valore della banconota verde, spingendo – come peraltro auspicava solo pochi giorni fa il ministro degli Esteri russo Lavrov davanti all’ONU – per una nuova politica finanziaria globale che si basi su un’altra valuta ‘meno’ occidentale.
Dal conto di Wei Liang Chang (stratega della DBS Bank Ltd di Singapore) gli investitori in Cina “hanno buone ragioni per diversificare i propri investimenti rispetto” ai titoli USA, citando tra le cause “il dollaro sopravvalutato“, il valore “elevato delle azioni americani rispetto a quelle cinesi” e – forse soprattutto – “l’esigenza di liquidità” a causa della “riduzione dell’indebitamento“. Prevedere il futuro è (ovviamente) impossibile, ma secondo lo stesso Liang Chang “la tendenza al disinvestimento potrebbe continuare” soprattutto a causa – spiega ricollegandosi all’opinione di Leung – “dell’incertezza politica in vista delle elezioni“.