SPY FINANZA/ Così la Bce usa Deutsche Bank per portare avanti il Qe

- Mauro Bottarelli

La Banca centrale europea ha mandato un messaggio alla Germania, attraverso Deutsche Bank, per segnalare la volontà di andare avanti con il Quantitative easing. MAURO BOTTARELLI

Deutsche_Bank_Palazzo_Lapresse La sede di Deutsche Bank (Lapresse)

Accidenti che coalizione coesa e determinata quella che nella notte fra venerdì e sabato scorsi ha attaccato la Siria: non erano passati che pochi minuti dalla dichiarazione di Emmanuel Macron riguardo l’intenzione di Donald Trump di mantenere a lungo le truppe Usa in Siria, frutto delle pressioni dello stesso presidente francese, che la Casa Bianca ha immediatamente smentito l’inquilino dell’Eliseo. E nel modo più brusco possibile, invitando oltretutto gli alleati a impegnarsi di più. Quindi, due perle: gli Usa chiedono agli altri maggior impegno, proprio mentre loro tagliano la corda. Stefano Ricucci saprebbe come descrivere alla perfezione questo argomento. E, seconda perla, dopo aver attaccato illegalmente e senza alcun mandato internazionale, essersi fatti intercettare il 70% dei missili da una contraerea comprata da Leonid Breznev e aver dimostrato sudditanza senza precedente verso Mosca (avvisata e rassicurata come non mai, prima del raid), i nostri eroi – gli stessi che avevano minacciato nuove azioni, se Assad avesse usato ancora armi chimiche – rendono noto al mondo di non parlarsi proprio! 

Il grande millantatore e mitomane d’Oltralpe deve aver esagerato, altrimenti una mancanza di diplomazia simile da parte della Casa Bianca non è spiegabile, stante il fatto che Parigi è stata una dei due partner ad aver affiancato Washington, mentre tutti gli altri hanno marcato bellamente visita. Penso che questo sia sufficiente per esaurire l’argomento Siria, visto che come vi dicevo già la settimana scorsa, il tutto si è ridotto a una pantomima nell’arco di un fine settimana. Durante il quale, però, è arrivata la notizia bomba, la conferma che avrebbe dovuto far saltare in aria i mercati e che, invece, per ora ha garantito soltanto un robusto off-set delle tensioni geopolitiche: se la situazione fra Usa e Russia, alla vigilia di nuove sanzioni statunitensi contro Mosca per l’appoggio ad Assad (qualcuno avverta Oltreoceano che Putin sostiene il presidente siriano dal 2015, non da inizio aprile), fosse davvero da Dottor Stranamore come dicono, le Borse si sarebbero dovute letteralmente schiantare ieri, invece placidi laghi alpini. 

Volete sapere qual è la notizia bomba, la stessa che nessun giornale o tg si è sentito in dovere di darvi? Pronti: il Qe della Bce andrà avanti. Non si sa ancora in quale forma, con quale ammontare ma andrà avanti. E la Bundesbank? Non avrà nulla da ridire. Certo, da una parte i mercati non hanno festeggiato troppo perché questo sottende l’arrivo di una fase preliminare di turbolenza, necessaria per giustificare il ritorno in grande stile delle stamperie globali, ma un paio di novità arrivate a mercati chiudi nella giornata di domenica, fanno presagire sviluppo decisamente interessanti per l’eurozona. E inaspettati. Non vi pare, infatti, che la Germania abbia sposato da qualche tempo un bassissimo profilo? E non parlo solo dell’essersi chiamata fuori dalla pagliacciata siriana ma di tutto: qualcosa non va? Forse qualche rognetta sottotraccia c’è, nonostante il reportage entusiastico che l’Economist ha dedicato nel suo numero in edicola proprio alla patria della Merkel. Altrimenti come spiegare che la Vigilanza bancaria della Bce avrebbe richiesto a Deutsche Bank una simulazione dei costi nel caso di liquidazione delle operazioni di investment banking, con il gruppo solvibile nel suo complesso? 

Lo scriveva domenica – non smentito – il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung, spiegando che il test sarebbe in atto da diversi mesi e non prospetta uno scenario di bancarotta dell’intero colosso bancario. In un’email inviata a Bloomberg come risposta ad alcuni interrogativi al riguardo, il portavoce di Deutsche Bank Christian Streckert ha spiegato che «valutiamo regolarmente per le autorità l’impatto su capitale, liquidità e costi di una liquidazione ordinata delle posizioni di trading», aggiungendo che si tratta di una pratica standard per il settore. Nessun commento a caldo, invece, da parte della Bce. Peccato che, però, una richiesta così diretta da parte della Vigilanza a un istituto, oltretutto di sistemicità totale come Deutsche Bank, rappresenti un unicum nel genere: la mole devastante di derivati in pancia al colosso tedesco rischia qualcosa? Tassi Usa pronti a far danni? Liquidità in prosciugamento? O, forse, VaR completamente sballata rispetto ai valori di iscrizione a bilancio degli assets e dei rischi di controparte? 

Non so se vi è chiaro il segnale: la Bce ha chiesto alla banca in grado di devastare il mondo con i suoi magheggi sui derivati di calcolare le perdite e i danni che potrebbe comportare la liquidazione del suo intero comparto di investment banking, di fatto il core business dell’istituto! Ma non erano i rigidi e calvinisti custodi della morale, gli stessi che – in ossequio all’avversione al rischio – nel 2011 hanno deciso di scaricare il rischioso debito di quelle cicale degli italiani, mandandoci lo spread sulla Luna e spalancando le porte di palazzo Chigi al loden di Mario Monti? Non un bel segnale. E come mai i mercati non sono crollati, vista la portata del rischio potenziale che potrebbe sottintendere questa mossa dell’Eurotower? Per quello che vi dicevo prima: come nella logica del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, le notizie si possono leggere in un modo o nell’altro. Ad esempio, la Bce potrebbe aver voluto inviare un segnale a Jens Weidmann e alla Bundesbank. Del tipo: la situazione richiederà altro Qe e tassi a zero praticamente sine die, perché altrimenti viene giù tutto. Conclusione sottintesa: vi conviene non alzare troppo la cresta e non strepitare troppo, perché se vogliamo aprire gli armadi e far uscire gli scheletri, con ciò che esso comporta trattandosi di Deutsche Bank, non abbiamo problemi a farlo. 

E, stante l’esposizione nozionale ai derivati del colosso tedesco, non toccherà nemmeno lavorare troppo di fantasia per convincere la gente che non si sta scherzando: davvero un governo di coalizione, nato con tanta fatica e dopo sei mesi di gestazione, vuole una gatta da pelare del genere, solo per il vezzo di voler rompere le uova nel paniere all’italiano Draghi? Ma non basta. Perché a confermare che qualcosa sta bollendo in pentola, ci ha pensato sempre domenica un bel report di Bank of America, il quale si poneva una domanda tanto semplice, quanto legittima e attuale: cosa accadrà ai bond europei con la fine del Qe? 

Stando ala banca statunitense, aumenterà la dispersione dei rendimenti, quindi ci sarà una maggiore selettività da parte degli investitori e verranno al pettine gli errori di allocazione. La fine degli acquisti porterà il mercato verso una maggiore normalità e tornerà a contare il bilancio e la posizione debitoria delle singole società. Si chiede MilanoFinanza: ma l’ingente massa di liquidità messa a disposizione ha portato agli stessi errori del passato? Sempre stando agli esperti di BofA non del tutto, anche se l’allocazione verso i crediti rischiosi è aumentata in Europa. E a riservare brutte sorprese non saranno i Paesi della periferia, bensì piuttosto la Germania. Qui l’allocazione verso i crediti rischiosi ha raggiunto un record, mentre nella periferia è rimasta ben al di sotto dei livelli pre-crisi del 2008 e crollo di Lehman Brothers. 

In particolare, gli esperti di BofA scrivono: «Il Quantitative easing ha coperto la debolezza fondamentale di alcune società perché gli investitori si sono sovraffollati nelle parti a più alto rendimento del mercato. Quindi, quando il Qe finirà gli emittenti più deboli non potranno più contare su una compressione degli spread. Questo implica un contesto di maggiori rischi». Certo, misurare come il Qe abbia portato a una distorsione dei rischi nei portafogli non è facile e il dato sull’aumento di bond ad alto rendimento in Europa non basta a dare un’indicazione sulla cattiva allocazione dei capitali. Dietro l’aumento dei bond a high yield, c’è infatti stata una progressiva necessità di aumentare il ricorso diretto da parte delle società ai mercati in una fase in cui le banche dovevano pulire i propri bilanci. Ma BofA si è appoggiata all’ultimo report del Fondo monetario internazionale sulla stabilità finanziaria, che ha dedicato un capitolo proprio alla percentuale di rischiosità della credit allocation. In particolare, la metodologia usata dal Fmi analizza se i maggiori emittenti nell’anno sono state società più o meno rischiose rispetto all’anno precedente. In termini di vulnerabilità del debito si guarda al rapporto tra debito e asset totali, guardando a come la composizione degli emittenti (in base alla loro rischiosità) sia cambiata negli ultimi 20 anni. 

Dall’analisi emerge che, naturalmente, dopo Lehman e dopo la crisi dei debiti sovrani, l’appetito per il credito rischioso in complesso in Europa sia stato basso, ma che nell’ultimo anno ha avuto un picco pur non avendo ancora raggiunto i livelli pre-Lehman. Se però ci si concentra solo sulla Germania, l’appetito per il credito rischioso è arrivato a livelli addirittura record. C’è stato un aumento notevole degli emittenti ad alto rendimento in Germania, ma anche nel direct lending molti investitori hanno avuto appetito per le opportunità tedesche. Non è stato così invece per i Paesi della periferia, con l’Italia che ha una bassa percentuale di emittenti rischiosi dal 2010 in poi e, nonostante un leggero aumento nell’ultimo anno, è ben distante dai livelli pre-Lehman. Insomma, nella patria della morigeratezza, del rigore e dei conti in ordine, l’azzardo morale l’ha fatta da padrone. 

E qual è stata la molla che ha fatto scattare questo cambio di paradigma culturale, un qualcosa di impensabile soltanto qualche anno fa? Il Qe tanto vituperato, l’operazione di espansione monetaria voluta dall’italiano Draghi per salvare i debiti pubblici delle cicale mediterranea, stando alla vulgata di Weidmann e soci! Tu guarda un po’, non siamo al contrappasso dantesco, ma una bella nemesi pare in atto. Cosa vi dico da mesi e mesi riguardo la strategicità degli acquisti di corporate bond da parte della Bce e dei rischi cui si va incontro con una loro potenziale fine? Cosa vi dico, da tempo immemore, sul fatto che – per quanto ci raccontino balle a profusione – il sistema bancario europeo è tutt’altro che sano e liquido e ora comincia a patire anche la dinamica sostanziatasi ed evidenziata dal contino aumento del Libor, ovvero i timori di una scarsità di liquidità in dollari, dovuta alla Fed e ai rimpatri i cash detenuto all’estero dalla corporation Usa, spaventate dalle mosse di Donald Trump ma soprattutto dai rischi sul leverage, tanto da preferire coprire subito parte del debito da rifinanziare? E guarda un po’, nell’eurozona è la locomotiva, la matrigna Germania a correre i rischi potenziali maggiori. 

Potenziali, lo ripeto, perché anche il portafoglio derivati dell’investment banking di Deutsche Bank corre rischi nozionali e legati alla natura di gioco a somma zero di quel tipo di contratti, ma il messaggio dalla Bce è arrivato. E, penso, che a Berlino e Francoforte sia arrivato forte e chiaro. Ci attendono tempi interessanti e pericolosi: ne saranno consci dalle parti di Palazzo Chigi e via XX Settembre? Attenzione al Def e alla scelta di Gentiloni e Padoan di congelare tutto, passando la patata bollente al prossimo governo: potremmo ritrovarci con un autunno da incubo. E un’estate di altalena dello spread, tanto per restare in ambito di segnali inequivocabili dall’alto. Restate sintonizzati. 





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