SCUOLA/ Bambini e matematica, quel giusto mix di intuizione e libertà

- Paola Bruno Longo

Anche in matematica i bambini “imparano facendo un’esperienza, a cui poi daranno un nome, adeguando il loro linguaggio”

scuola_elementare_alunni_studenti_lapresse_2018 Scuola (LaPresse)

Continua, con questo approfondimento, l’intervista a Patrizia Carrucciu, docente nell’Istituto comprensivo “Alberti”, Scuola primaria “Santarosa” di Torino, dedicato all’insegnamento elementare della matematica. I bambini “imparano facendo un’esperienza, a cui successivamente daranno un nome, adeguando il loro linguaggio”. In questo occorre libertà. “Perché l’azione produca schemi mentali significativi è stata fondamentale la rappresentazione personale di ciascun bambino, in tutte le sue forme”.

Nella prima intervista ci ha raccontato l’inizio delle attività scolastiche per la matematica nella sua classe, una prima della primaria. Ha sottolineato l’uso del gioco e di varie attività per introdurre i bambini alla conoscenza dei numeri, ci ha raccontato in particolare come i bambini si sono avviati con semplicità alla somma contando i punti fatti tirando due dadi. Ripartiamo da qui. Come è avvenuto lo sviluppo della conoscenza della somma?

È avvenuto continuando con lo stesso metodo usato per l’esempio dei dadi! Ho utilizzato le numerose attività proposte ai bambini fin dall’inizio dell’anno, sempre presenti nella quotidianità degli alunni, proponendo loro a voce alcuni quesiti che mettevano in gioco le azioni di aggiungere e mettere insieme. Dopo la risoluzione, fatta in modo libero da ciascun alunno, chiedevo di rappresentare graficamente la situazione vissuta.

Può fare qualche altro esempio?

I bambini amano maneggiare e incollare figurine sugli album, contano anche senza che io lo richieda, esercitando la loro capacità personale. All’inizio ho sottolineato la collocazione temporale delle azioni per aiutarli a distinguerle: “Ieri Sara ha comprato 7 figurine. Oggi ne ha comprate altre 3. Adesso le figurine sono…”. Alla fine del lavoro, confrontiamo i risultati, per sollecitare ciascuno a spiegare il modo con cui ha ottenuto il risultato. Tutti dicono in modo spontaneo che “bisogna mettere insieme le figurine e poi contare”, immaginando di farlo concretamente.

Continui.

Abbiamo preparato 3 mascherine gialle e 10 mascherine blu per abbellire la finestra in vista del Carnevale. Mentre le facevamo, i bambini hanno disegnano sul quaderno le mascherine. Quando chiedo loro quante sono le mascherine sulla finestra, le contano sul quaderno, sono 13: “Uniamo tutte le figurine e le contiamo”. Senza bisogno di esplicitarlo, procedono tenendo conto del fatto che le mascherine sulla finestra sono “tante quante” quelle disegnate sul quaderno.

E l’ordine dei numeri?

Per dare senso all’ordine dei numeri, ho proposto una situazione in cui riconoscere tra due quantità la maggiore e la minore. Ho raccontato (riprendendo l’esempio dal testo Fare matematica, Pearson 2015) che al serpente Gedeone piacciono molto le uova degli uccelli, che va cercando nei nidi. I bambini disegnano seguendo quello che io racconto sul numero delle uova di ciascun nido e contano separatamente le uova di due nidi, che Gedeone ha trovato sugli alberi. Hanno operato poi il confronto delle due quantità e il riconoscimento dei simboli (“<” minore e “>” maggiore) tramite la forma della bocca del serpente, aperta verso la quantità maggiore. Durante questa attività, quando i nidi contenevano lo stesso numero di uova, abbiamo introdotto il simbolo “=”. Qualche alunno, immergendosi nel racconto, ha detto che il serpente avrebbe potuto anche mangiare le uova di tutti e due i nidi. Ho colto l’occasione per proporre di scoprire quante uova Gedeone avrebbe mangiato in questo caso. I bambini hanno eseguito un’addizione contando, anche se ancora non sanno descriverla con i simboli matematici. Imparano facendo un’esperienza, a cui successivamente daranno un nome, adeguando il loro linguaggio. Chiedo poi di descrivere l’azione che porta a conoscere il nuovo numero di uova e registro queste risposte: “unire le uova del primo e del secondo nido, mettere insieme tutte le uova, aggiungere le uova del secondo nido a quelle del primo”. Naturalmente sono azioni immaginate, come si voleva ottenere. Non avevo programmato questo passaggio, ma la posizione della classe di fronte al lavoro suggerisce spesso i passi da fare.

Che conclusioni possiamo trarne?

In sintesi, lo sviluppo dell’acquisizione, e poi il consolidamento dei processi legati all’uso della somma è partito dalle azioni note agli alunni (contare i punti, attaccare figurine su un album, immaginare Gedeone a caccia di uova), utilizzate per produrre comportamenti e schemi mentali legati alle azioni riconducibili all’aggiungere e all’unire. Perché l’azione produca schemi mentali significativi è stata fondamentale la rappresentazione personale di ciascun bambino, in tutte le sue forme: mimo, gioco simbolico, rappresentazione grafica. Lo scopo del lavoro didattico è stato quello di favorire lo sviluppo della rappresentazione mentale, che si rende poi visibile nella comunicazione verbale e nel disegno.

Quindi il lavoro è stato scelto opportunamente per produrre la consapevolezza di uno schema invariante di azione, ma non è stato ancora introdotto il linguaggio matematico, i simboli.

Certamente; il linguaggio segue la nuova idea. Dopo il consolidamento del significato, ho introdotto il simbolo “+”, proponendolo come una registrazione sintetica di tutto quello che loro stessi avevano detto in precedenza, cioè una “traduzione” nel linguaggio della matematica. Il simbolo è una convenzione, che si comunica in una tradizione, pertanto non può essere scoperto, va annunciato, creando però in precedenza un terreno di esperienze che permetta di assumerla come propria. Ho comunicato che le operazioni dell’aritmetica rispondono alla necessità di registrare e riscrivere in modo rapido e breve il lavoro eseguito e già rappresentato con il disegno. Nel caso della storia di Gedeone, gli alunni hanno disegnato le uova e le hanno contate tutte insieme, come nei casi precedenti. Per favorire lo sviluppo del calcolo, lascio la libertà di utilizzare il materiale o lo strumento che il bambino ritiene più agevole: le dita, la linea dei numeri, gli oggetti, i disegni sul quaderno. La ricerca dei numeri “amici”, che formano una somma nota, pur essendo molto utile per i primi calcoli, non è un passaggio spontaneo. Esso è provocato dall’insegnante per facilitare il riconoscimento numerico delle somme. Per ognuno avviene in tempi diversi e non sempre l’alunno ne è cosciente.

Quindi non ha rinunciato all’uso dei numeri amici perché non lo ritiene un interesse dei bambini?

No, non ho rinunciato. Non l’ho trattato in modo teorico, perché questo avrebbe creato difficoltà. Prima di “definire”, è importante “giocare” con i numeri attraverso situazioni varie. Ci sono attività che pongono le basi del riconoscimento non solo della somma, ma anche della scomposizione e delle proprietà associativa e commutativa. Noto spesso che le dita delle mani sono uno strumento utile, ma ci sono alunni con difficoltà nella motricità fine per i quali usare le dita è alquanto complicato. In questo caso, meglio un materiale maneggevole, ad esempio dei bottoni. Per riconoscere i numeri amici, la proposta, legata all’esperienza, può essere di trovare tutte le possibili combinazioni di un certo numero di bottoni per confezionare due giacche, oppure usare gli euro per comporre dei prezzi.

E così i numeri sono contestualizzati.

Sì. Se si familiarizza con i numeri amici, ad esempio partendo da quelli che hanno somma 4, mediante i bottoni, i numeri sono “numeri di”, come li chiama la ricercatrice francese Stella Baruk (Dizionario di Matematica elementare, Zanichelli 1997). Non sono ancora numeri puri, completamente astratti. È questo che aiuta il bambino e previene le difficoltà. La sarta ha 4 bottoni e deve finire 2 giacche, in quanti modi può regolarsi? Le possibilità sono espresse dalle coppie (2,2); (1,3); (3,1), che indicano le operazioni 2+2=4; 1+3=4; 3+1=4. Il fatto che le giacche siano diverse o di bambini diversi guida a riconoscere per ogni coppia di numeri la necessità della presenza della coppia con gli addendi cambiati di posto, l’aspetto delle due giacche risulta diverso. Questo è un esempio di conoscenza implicita, cioè non ancora formalizzata, ma riconosciuta in modo intuitivo, secondo la concezione di Gerard Vergnaud. Dopo questo primo caso, i bambini proseguono veloci a disegnare le giacche che hanno come numero di bottoni gli amici del 5, poi gli amici del 6 e gli amici del 7.

Si può concludere che ha usato il problema per introdurre la somma?

Sì, il problema è per me lo strumento chiave per la costruzione dei concetti matematici, tenendo presenti le varie forme che può assumere: la situazione problematica descritta può essere analizzata a voce, immaginata, raccontata con un disegno e successivamente riscritta con il linguaggio dei simboli matematici. Non sempre c’è un testo all’inizio del lavoro, anche questo nella classe prima è un punto di lavoro, accogliere l’esistenza di un testo, da esaminare invece di una situazione reale.

Però non è ancora arrivata all’uso comune del problema, con un testo scritto e l’operazione.

Dopo molto lavoro orale, ho fatto anche questo passaggio, lasciando ai bambini molta libertà di organizzare un procedimento risolutivo personale e chiedendo di illustrarlo a tutti. In uno dei lavori fatti ultimamente, ho deciso di far comprendere cos’è il testo del problema. Ho proposto alla classe scrivere insieme un testo per illustrare il problema di cui ci saremmo occupati. Ho iniziato dichiarando il titolo: “I punti”. Dato che sia in classe che in palestra facciamo spesso giochi a squadre di cui occorre segnare i punti, i bambini dimostrano di conoscere di cosa si tratta dicendo in modo chiaro che i punti ci sono quando vinci e conti quante volte hai vinto. Ecco il testo elaborato insieme:

“Paolo e Pietro giocano a carte e scrivono i punti. Nella prima partita Paolo fa 4 punti e Pietro 2 punti. Nella seconda partita Paolo fa 3 punti e Pietro fa 6 punti. Chi vince?”

La proposta è accolta con impegno e per trovare la risposta ognuno si è messo a scrivere o disegnare in modo libero, visto che non ho proposto una traccia come modello di risoluzione. Ho riletto il testo con alcuni bambini che stentano ancora a leggere, ma quando mi hanno detto che era tutto chiaro, ho lasciato che anche loro realizzassero autonomamente il lavoro.

E che cos’ha ottenuto?

Gli elaborati che ho raccolto sono rappresentativi della creatività dei bambini, ne illustro alcuni. Ana Maria è un’alunna con riconoscimento di handicap per basso livello cognitivo. Quel giorno l’insegnante di sostegno era assente, quindi ha lavorato in modo autonomo. Ha usato due colori diversi, ponendo Paolo a sinistra e Pietro a destra nella pagina. I numeri delle carte sono corretti, ha registrato bene il punteggio finale. Non ha usato una registrazione dei punti slegata dal gioco, ma ha rappresentato proprio le carte. Ho apprezzato la sua iniziativa e l’impostazione del lavoro. Denis conta direttamente e scrive la risposta: “Pietro è anche bravo e ha fatto 8 punti”. Alexandru scrive i numeri in una tabella di 3 righe e 2 colonne, ed esegue un’addizione su ogni colonna. La tabella non serve, ma lo lascio libero di usarla perché si comprende bene il suo ragionamento. Il lavoro di Rebecca Grace non è ancora un’addizione ma la procedura ha quell’impostazione. Particolari sono i lavori di Matilde e Hana: entrambe registrano i punti con i numeri, ma poi non li sommano e tentano di leggerli come 26 o 34. A proposito di punti, Matilde mi dice a voce: tre e quattro per Paolo, due e sei per Pietro, ma alla mia richiesta dei punti complessivi per ognuno, disegna i puntini e poi conta la somma. Dimostra di  avere ancora bisogno di rappresentare le quantità, il numero non le sostituisce ancora del tutto nella sua mente. Hana registra i punti e legge 3,4/2,6 ma non esprime il punteggio finale.

Si vede bene che i bambini non sono stati “ammaestrati”, non hanno ricevuto dalla maestra uno schema fisso uguale per tutti, ma sono stati provocati ad un lavoro creativo personale, che è l’inizio del ragionare. Anche le rappresentazioni simboliche non sono fornite in forma standard dalla maestra, ma si limitano per ora alle rappresentazioni libere di ciascun bambino. Come riesce a valutare un lavoro così creativo?

Io rilevo che i tempi di lavoro sono stati adeguati e abbastanza chiare le modalità. Ho utilizzato gli elaborati di Matilde e Hana per chiarire il significato dell’addizione e del segno “+”. Abbiamo scritto il confronto tra 8 e 7 utilizzando il segno >. Per avvicinarsi all’elaborazione di una forma standard, il lavoro è stato poi riscritto sul quaderno in un’unica versione, elaborata insieme da tutta la classe per rappresentare il lavoro di tutti.

Mi colpisce che lei abbia sempre usato numeri piccoli, cosa che d’altra parte è molto utile all’inizio per mettere a fuoco solo i vari passaggi per costruire la struttura dell’operazione. Ma per arrivare ad usare il classico algoritmo, che non possiamo non insegnare ai bambini, occorre poter usare numeri un po’ più grandi. E inoltre è utile imparare anche ad eseguire i calcoli in riga. Come ha intenzione di organizzate il lavoro successivo?

Per poter usare i numeri grandi in modo non meccanico, i bambini devono conoscere bene la scrittura decimale posizionale, argomento di cui ci stiamo interessando adesso. Possiamo riparlarne. D’altra parte gli errori di incolonnamento nelle operazioni sono sempre considerati come segno di discalculia, mentre possono essere semplicemente una manifestazione di ignoranza. La scrittura dei numeri è un argomento molto astratto, è la prima volta che i bambini si trovano a dover apprendere una struttura, quindi occorre procedere con calma.

La ringrazio, sperando di continuare il nostro confronto.





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