Ricongelare l’Artico è l’obiettivo previsto dal piano anti crisi climatica nato dall’idea di una Startup inglese, che intende combattere lo scioglimento dei ghiacci al Polo Nord con un sistema sperimentale che è in grado di aumentare lo spessore delle calotte glaciali al fine di ridurre il fenomeno causato dal surriscaldamento globale che sta determinando picchi di temperature elevate in costante aumento. Un problema che ogni anno porta alla perdita di strati, e che a partire dalla seconda metà degli anni ottanta è cresciuto fino ad arrivare ad una percentuale in meno del 95%.
Gli studi su queste perdite di massa provocate principalmente dal clima che scalda non solo l’atmosfera ma anche le acque circostanti, hanno avvertito sul pericolo imminente del disgelo, che avanza tanto velocemente a tal punto che se non si troveranno soluzioni la prima estate artica senza ghiacci potrebbe arrivare già entro il 2030. Per questo alcuni ricercatori già impegnati sul campo, hanno studiato un metodo innovativo che stanno già sperimentando sul campo e che potrebbe presto diventare un progetto automatizzato su larga scala. Tuttavia molti scienziati stanno evidenziando i rischi sull’impatto ambientale di una elevata tecnologia dei processi.
I dubbi della comunità scientifica sulla sostenibiltà del piano per ricongelare l’Artico
Il piano per ricongelare l’Artico su larga scala, dopo che la sperimentazione in piccole aree messo in atto dalla startup Real-Ice ha dimostrato l’efficacia, prevede l’utilizzo di una elevata quantità di droni subacquei, circa 500mila, in grado di fare addensare il ghiaccio coprendo un territorio molto vasto. Il progetto che è già stato testato ha permesso già di ispessire strati di calotta aumentandoli tra i 40 e gli 80 cm. Molti scienziati però sono contrari ad un piano su larga scala, perchè sostengono che questo potrebbe avere un impatto molto negativo sull’ambiente polare, arrivando a provocare gravi conseguenze ancora peggiori della stessa crisi climatica. Se infatti il ricongelamento potrebbe apportare benefici per contrastare il surriscaldamento del mare e dell’atmosfera, dall’altra parte l’uso di tecnologia comporterebbe un notevole impiego oltre che di mezzi anche di uomini.
E nonostante nel piano sia previsto solo l’utilizzo di idrogeno verde come carburante, la bioingegneria potrebbe provocare altri danni, tra cui anche la perdita dell’habitat di alcuni animali e l’interferenza con le rotte marine. Una ricercatrice del Woodwell Climate Research Center, ha commentato questa ipotesi alla Cnn dichiarando che si tratta di una soluzione molto discutibile. Soprattutto perchè a lungo termine non potrebbe essere sostenibile per contrastare il cambiamento climatico e rischia di distrarre da altri progetti che invece potrebbero avere un impatto molto più significativo come ad esempio la riduzione dei gas serra da fossili.