PASQUA/ Pasolini, la pittrice e quell’”attore per sbaglio” che fece la Sua parte

- Giuseppe Frangi

Cosa c’entrano Enrique Irazoqui, militante comunista basco, con Pier Paolo Pasolini e la pittrice olandese Marlene Dumas? GIUSEPPE FRANGI a proposito di uno strano dipinto

dumas_cristo_ppianoR400 Marlene Dumas, Pasolinis Jesus, 2012 (courtesy lartista, ph.©Peter Cox)

Appena entrati nella bellissima mostra di Marlene Dumas alle Stelline a Milano, sulla sinistra ci si trova di fronte a un piccolo quadro stupendo e serratissimo: è un volto dallo sguardo profondo, di un uomo dagli occhi scuri e dalle sopracciglia folte, molto mediterranee, che si staccano dall’incarnato che l’artista con le sue pennellate ha voluto insistentemente pallido. È un ritratto che cattura lo sguardo per la sua densità umana: si percepisce che la pittrice con questo volto ha avuto un rapporto non episodico e non casuale.

Quanto a noi, la sensazione immediata è quella di un volto già visto. Leggendo l’etichetta si capisce che in effetti per molti può essere così: “Pasolini’s Jesus” è il titolo che l’artista olandese ha dato a quel ritratto. Il volto infatti è quello del protagonista del Vangelo secondo Matteo. In mostra si trovano altri “segni” dell’interesse di Marlene Dumas per Pasolini: un ritratto del regista, e uno della madre Susanna.

Ma è questo Gesù che colpisce e quasi inchioda la nostra attenzione. Era accaduto anche allo stesso regista quando nel 1964, per la prima volta s’imbatté nel volto di questo che allora era un ragazzo. Enrique Irazoqui aveva 20 anni, era un giovane militante comunista catalano, arrivato in Italia per far conoscere la causa degli antifranchisti a qualche intellettuale nostrano “impegnato”. Non aveva in agenda di incontrare Pasolini, che neanche sapeva chi fosse. Ci arrivò per vie traverse, un po’ prevenuto perché gli avevano riferito della sua omosessualità. In effetti quell’incontro andò in maniera strana. Appena aperta la porta, Pasolini era sbottato in un grido guardando il ragazzo: “È lui!”. Poi, durante la chiacchierata lo aveva squadrato minuziosamente girandogli attorno di continuo. Ma l’obiettivo di quegli sguardi era molto diverso dai sospetti di Irazoqui. Prima di salutarsi Pasolini infatti gli chiese se voleva essere lui il suo Gesù che da tanto stava cercando. Voleva un volto che ricordasse i Gesù dipinti da El Greco, con qualche eco preraffaellita.

Il rifiuto di Irazoqui fu secco: lui comunista che vedeva nella chiesa soprattutto la grande alleata del nemico Franco, come avrebbe potuto essere il protagonista di un film sul Vangelo? Pasolini mise di mezzo tutte le amicizie per convincerlo, in particolare quella di Elsa Morante che per Irazoqui rappresentava un mito. Ma solo il suggerimento che i soldi guadagnati potevano aiutare la causa alla fine lo convinsero ad accettare.

Com’è finita lo sappiamo: Irazoqui ha dato il volto al più bel Gesù della storia del cinema. E una foto famosa di lui con la tunica indossata nel film al fianco di un Pasolini pensoso, appoggiati ad un muretto che si affaccia su Matera, è diventata l’icona intensa struggente di quel rapporto nato per caso. 

Fatta quella parte, Irazoqui ha naturalmente subito chiuso con il cinema. Con qualche imbarazzo assistette comunque alle anteprime, alle quali erano stati naturalmente invitati tanti esponenti della sinistra, intellettuali e politici. Una volta il giovane attore si trovò a fianco di Pietro Ingrao e Giorgio Amendola i quali, pur apprezzando il film, avevano suggerito caldamente di tagliare le scene dei miracoli di Gesù. Irazoqui riferì la cosa a Pasolini, il quale a sua volta gli chiese lui cosa ne pensasse. E lui senza esitare, aveva risposto: “Per me devono restare”.

Quando ancor oggi chiedono a Irazoqui di ricordare quell’esperienza lui la racconta in questi termini: “All’improvviso sono stato catapultato in un mondo di amici e di stimoli così forte che è stata davvero la scoperta della vitalità e della libertà. Una sorta di esplosione di gioventù… una scoperta della vita, per me”. Era quella libertà che permetteva a Pasolini di rispondere così a chi, con petulanza, gli chiedeva perché dicendosi non credente avesse fatto un film su Gesù: “Se sai che sono un non credente, allora mi conosci meglio di quanto io conosca me stesso. Posso anche essere un non credente, ma sono un non credente che ha nostalgia di una fede”.

Tornando da dove abbiamo preso le mosse: Marlene Dumas nel piccolo spazio del quadro esposto alle Stelline è riuscita a condensare tutto il senso di questa storia nei pochi centimetrati quadrati di questa tela. Quel volto non è semplice la rappresentazione realistica del Gesù pasoliniano, è la restituzione sintetica e intensissima di un’esperienza vissuta. Non è il solo quadro importante di una mostra molto bella che non va persa. Certo è il quadro che una volta usciti non si stacca più dai nostri occhi.







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