SCUOLA/ Se il decreto del 9 settembre dimentica il merito e l’autonomia

- Fabrizio Foschi

Curiosità e attesa circondano il decreto sulla scuola in uscita il prossimo 9 settembre. Sarà davvero un segnale di cambiamento? Alcuni dubbi sono leciti. FABRIZIO FOSCHI (Diesse) 

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Curiosità e attesa circondano il decreto sulla scuola in uscita il prossimo 9 settembre. Sarà un segnale di grande cambiamento, preannuncia il ministro Maria Chiara Carrozza, dopo anni in cui si è parlato solo di come tagliare. Consiglia anche di non aspettarsi troppo dal provvedimento: dunque, per parafrasare si potrebbe dire: poco ma buono. Si vedrà. Nel frattempo non è inutile tentare di descrivere la situazione professionale dei docenti italiani che si sta progressivamente modificando nella misura in cui, e questa è una novità, al centro delle loro preoccupazioni c’è il lavoro (come averlo, come conservarlo, come svolgerlo) piuttosto che la funzione sociale più o meno ammantata di ideologia con la quale si esprime. 

Una recente indagine condotta dalla Swg per la Gilda Insegnanti è lo specchio di una frammentazione professionale, risultato di insospettabili tendenze che, non trovando spazio nelle tradizionali piattaforme sindacali, crescono, anche se nell’ombra.

Emerge una certa attenzione per la scuola intesa come ambiente finalizzato ad uno scopo: l’apprendimento degli alunni. Perciò il 51% degli insegnanti intervistati è favorevole alla valutazione delle scuole e addirittura 2 docenti su 3, appartenenti alla fascia degli over 54enni con 20 anni di anzianità di ruolo alle spalle, sarebbero pronti ad un aumento d’orario se accompagnato da un congruo aumento di stipendio. Un altro dato molto sintomatico, che conferma altre analoghe ricerche sempre regolarmente sottaciute da una certa vulgata che considera gli insegnanti come incallibili abitudinari, è il seguente: per il 54% degli insegnanti interpellati, la proposta dell’attuale ministro di legare la progressione di carriera e di retribuzione anche al merito, riducendo la rilevanza dell’anzianità, non è affatto da scartare.

Sono questi, appena accennati, alcuni indici che fanno luce su un terreno certamente difficile ma in fermento. In sintesi potremmo dire che gli insegnanti, quantomeno i più consapevoli, sono stanchi di essere presi in giro e allettati da inutili promesse o palingenetiche trasformazioni della scuola che si effettuano sulla loro pelle. Sono però anche coscienti che non basta la protesta o il lamento (parliamo sempre di minoranze probabilmente, ma significative): serve piuttosto recuperare le ragioni della propria occupazione, costituita di un intreccio di vocazione al rapporto con gli allievi e cura del proprio profilo professionale.

Che dire? Sarebbe un peccato se questi segnali venissero disattesi. Eppure la questione docente non pare essere, ancora una volta, affrontata di petto. Le anticipazioni del decreto riferiscono piuttosto di misure relative ad un piano (triennale: 2014/17) di immissioni in ruolo e alla stabilizzazione degli insegnanti di sostegno, fino al raggiungimento, nell’anno scolastico 2015/2016, di una consistenza organica pari al 100 per cento del numero dei posti di sostegno complessivamente attivati nell’anno scolastico 2006/2007. 

Tutto questo, è bene precisarlo, a condizione del parere positivo del ministero dell’Economia, dal quale istruzione e università dipendono strettamente: un Pantalone che non allarga i cordoni della borsa solo perché Arlecchino piange. Ci mancherebbe. Gli sprechi ci sono stati dappertutto ed è ora di rientrare. Se non con altri tagli del personale (ben vengano le nuove assunzioni, anche se ridotte) con partite di giro che attraversano un po’ tutti i comparti.

Così, per esempio, nel decreto D’Alia, scorporato nella parte sulla scuola e di cui il prossimo provvedimento dovrebbe essere espressione, l’autorizzazione per l’anno 2014 di una spesa di 10 milioni di euro “per la formazione del personale scolastico con particolare riferimento ai temi della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica” risulterebbe da una redistribuzione delle risorse assegnate agli istituti dalla legge 440/97 (quella istitutiva del fondo di istituto per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa). E saremmo daccapo a gestire gli spiccioli. Su questi punti in particolare, legati all’autonomia delle scuole e agli spazi di libertà educativa per i docenti, si appuntano le attenzioni che preludono l’uscita del fatidico documento del 9 settembre. In evidenza si pone l’innalzamento della quota di funzionamento ordinario delle scuole, fino ad un incremento del 15-20%, cui fanno riferimento i lanci dell’ufficio stampa dell’amministrazione.

Vedremo se e come ci si arriverà. E soprattutto se la partita sarà ancora giocata in casa con spostamento di risorse da una parte all’altra, oppure se effettivamente la scuola, e il lavoro che vi si compie a contatto diretto con i giovani, saranno recepiti, in dialogo con la comunità, il mondo del lavoro e le realtà familiari, come un pezzo fondamentale della ripresa culturale e spirituale del Paese.







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