Negli USA sta facendo molto discutere la decisione della dottoressa Johanna Olson-Kennedy – direttrice di un importante centro di Los Angeles per i minori con disforia di genere – di non pubblicare i risultati di un suo studio sugli effetti dei bloccanti della pubertà sui giovani che avrebbe dimostrato la loro sostanziale inutilità: una vicenda resa nota dalla stessa dottoressa nel corso di un’intervista rilasciata al New York Times in cui ammette di essersi auto-censurata per paura della reazione pubblica ai risultati dello studio sui bloccanti della pubertà; ammettendo peraltro di aver ricevuto quasi 10 milioni di dollari dal National Institutes of Health.
Per comprendere meglio la vicenda occorre fare – necessariamente – un passetto indietro per precisare che lo studio sui bloccanti della pubertà si è svolto a cavallo tra il 2015 e il 2017 nel corso dei quali sono stati somministrati i farmaci a 95 minori con età media di 11 anni: lo scopo era quello di replicare l’analogo studio olandese del 2006 che avrebbe fatto da apripista all’uso dei bloccanti puberali e all’apertura delle cliniche gender per minori in tutto il mondo, dimostrando che la somministrazione si associata ad effetti positivi sulla salute mentale dei giovani con disforia.
La dottoressa Olson-Kennedy e lo studio sui bloccanti della pubertà censurato: “Ho paura che i dati vengono strumentalizzati”
Tornado al presente, secondo quanto ha confermato la stessa dottoressa Olson-Kennedy il suo studio durato due anni non sarebbe riuscito a confermare i dati olandesi sui bloccanti della pubertà, rilevando – al contrario – che per nessuno dei 95 minori si era notato alcun effetto positivo sulla salute mentale: dati certamente importanti e che avrebbero contribuito non poco al dibattito su questi particolari farmaci; ma – appunto – mai pubblicati per paura della reazione della società.
La dottoressa (infatti) spiega al New York Times che alcune frange sociali avrebbero potuto usare il suo studio sul bloccanti della pubertà come “arma” per condurre una serie di battaglie legali per farli bandire, promettendo tuttavia che i risultati verranno pubblicati quando riuscirà a tradurli in un linguaggio “puntuale, chiaro e conciso” che metta ben in chiaro – innanzitutto – che tutti e 95 i ragazzi in questione “erano in ottima forma quando sono arrivati e lo erano ancor di più due anni dopo“; ricordando anche al NYT la sua esperienza lunga “17 anni” con i bloccanti della pubertà nel corso della quale ha sperimentato in prima persona i loro “effetti profondamente benefici“.