150 ANNI/ Giulia di Barolo, una donna alle “periferie dell’esistenza”

- Primo Soldi

Non molti conoscono le figure di Carlo Tancredi Falletti di Barolo e Giulia Colbert. Entrambi avviati alla beatificazione. Se ne parla sabato in un convegno a Torino. PRIMO SOLDI

Non molti conoscono le figure di Carlo Tancredi Falletti di Barolo e Giulia Colbert. Entrambi avviati alla beatificazione. Se ne parla sabato in un convegno a Torino. PRIMO SOLDI

Torino è conosciuta – tra gli altri primati – come la città che ha più santi; altri la definiscono città della magia e delle “messe nere”. In ogni caso il 18 e il 19 gennaio i giornali non potranno ignorare l’evento che si celebra in uno dei palazzi più prestigiosi della città: Palazzo Barolo, dove vissero Carlo Tancredi Falletti di Barolo e Giulia Colbert, i marchesi di Barolo, entrambi avviati alla beatificazione, laici fondatori (caso forse unico nella storia della Chiesa) di due Congregazioni religiose, le Suore di Sant’Anna e le Figlie di Gesù Buon Pastore. 

Le loro spoglie mortali sono accolte nella parrocchia edificata da Giulia di Barolo nel 1863, un anno prima della sua morte.

Che cosa accade il 18 gennaio? L’anniversario della sua morte (150 anni). Tutte le realtà che fanno  riferimento a lei hanno voluto unirsi per ricordare una donna che è andata alle periferie dell’esistenza. Aprirà il Convegno il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Cardinale Angelo Amato, salesiano. E qui viene subito alla mente il rapporto che la Marchesa ebbe con san Giovanni Bosco, per un anno direttore spirituale del “Rifugio”, dove ex-detenute e giovani a rischio trovavano un ambiente familiare, un lavoro dignitoso e la prima scuola per bambine povere di Torino.

Suor Ave Tago, già madre generale delle Figlie di Gesù Buon Pastore, parlerà di una donna “inquieta d’amore e del suo carisma”, ripercorrendo le principali tappe della sua vita.

Cresciuta nel Palazzo di Maulevrier in Vandea, la famiglia deve andare in esilio per evitare i massacri della rivoluzione francese. L’educazione paterna e materna immergono “Juliette” in un cristianesimo convinto, ardente, come pure colui che diventerà nel 1806 alla corte di Napoleone il suo sposo. Giungono a Torino, ben corredati da rapporti importanti vissuti a Parigi nell’ambiente delle “amicizie cristiane”.

L’intesa tra i due sposi è totale, profonda, come chi sa di aver ricevuto da Dio non solo una dote di ricchezza da far invidia a quella dei Savoia, ma soprattutto di aver ricevuto un compito: portare alle ultime conseguenze l’amore coniugale adottando – loro che non hanno potuto avere figli – tutte le persone e le situazioni bisognose d’aiuto che andavano incontrando giorno per giorno nel loro camminare per le vie di Torino e nei loro viaggi in Italia e all’estero. 

Ma un fatto, tra gli altri, segnò colei che le cronache definiscono la “Madre dei poveri”. Aristocratica, bellissima, intelligentissima, ricchissima, un mattino s’inginocchia mentre vede passare il sacerdote che porta la Comunione ai malati. Lì l’aspettava Cristo. Forse il campanello dei chierichetti si sente fino alle carceri femminili adiacenti alla via in cui passava la processione. Un’orribile bestemmia di una carcerata turba il raccoglimento della giovane marchesa. 

Si informa. Cosa c’è là? Chi ci vive? Le carcerate, le peggiori donne. Ma forse non peggiori di me, pensa. Reclamano il rancio, più che la Comunione. Detto fatto, nel cuore della Marchesa nasce la decisione di recarsi in quel carcere. Permesso negato dal marito, che teme per la salute cagionevole della moglie. Sa che ha a che fare con una “vandeana”. Alla terza o quarta insistenza cede, e da quel giorno la marchesa si fa compagna di carcere di quelle povere donne, che prima le sputano in faccia, poi a poco a poco sono conquistate dal calore del suo amore, che provvede a tutte le loro necessità e, soprattutto, risponde al grido soffocato nel loro cuore: il bisogno di Gesù.

In pochi anni diventa la sovrintendente delle carceri di Torino, facendosi così amare da quelle donne che, dall’abisso della loro miseria, arrivano a chiederle: “non ci vogliamo staccare da te, vogliamo seguire te, la tua fede, il tuo amore”. Le Suore di Santa Maria Maddalena (1833), chiamate oggi Figlie di Gesù Buon Pastore.

È a lei che Gesù si manifesta e trasforma l’antica peccatrice nella prima missionaria del mondo. ” Va a dirlo ai tuoi fratelli”. Da allora queste suore lo dicono a Torino, a Piacenza, in Eritrea, in Somalia, in Messico ai più poveri tra i poveri e quando passano da Torino le vedi inginocchiarsi a pregare in S. Giulia sulla tomba della loro Madre.

Ma chissà quante altre inquietudini porterà alla luce l’appassionata meditazione di Suor Ave Tago, che lascerà poi la parola a Tiziana Ciampolini dell’Opera Barolo, che si calerà subito nell’attualità: “Responsabili di una eredità. Generare valore sociale ed economico per i territori”.

Sorgevano un anno dopo l’altro ospedali, scuole, famiglie ospitate nel loro Palazzo. Il marito diventa sindaco di Torino per due anni e con il suo denaro dà vita al Cimitero monumentale; appassionato di cultura, di arte, di politica, di economia e di pedagogia. Gestirono il loro patrimonio svuotandosi di tutto, non tennero nulla per sé. Il marchese muore dopo lo scoppio del colera nel 1838, lasciando erede universale la sua sposa adorata.

È guardando a questo esempio che gli attuali amministratori possono prendersi cura della città con la cooperazione pubblico-privato, connettendo valore sociale, economico, culturale, politico per far crescere i giovani. Una progettualità politica e una capacità di management per far crescere e fiorire intere generazioni. Oggi tutta la loro eredità è ancora da ampliare come le scuole da Torino a Roma, dall’India al Messico.

Toccherà ai professori Giorgio Chiosso dell’Università di Torino e Stefano Zamagni, di Bologna, farci penetrare nel carisma di questi sposi, che si può raccogliere nelle parole: “educare” per costruire capacità e una “carità” delle opere che produca sviluppo.

Qualcuno potrebbe pensare: “ma sì, hanno fatto bene, in fondo avevano le possibilità”. E invece no, le loro opere sono nate prima nel loro cuore. È vedendo tremare dal freddo i bambini che il marchese crea i primi asili d’infanzia per i figli di operai poveri, che altrimenti sarebbero rimasti abbandonati per le strade. È dalla preghiera quotidiana, dall’amore alla Chiesa (che riempiva di stupore Pio IX quando conobbe la marchesa), dai sacramenti vissuti quotidianamente, dalla malattia che la marchesa sopravvissuta al marito dal 1838 al 1864, che nascevano le lettere quotidiane che scriveva alle sue Figlie, indirizzandole alla santità.

I carismi veri non si spengono. Quando nel 1899 la salma della marchesa venne portata a S. Giulia, si fermò tutta la città e a fatica si riuscì ad entrare in chiesa, tanto fu massiccio l’afflusso del popolo che sentiva sua la santità e la maternità di questa donna.

Venite a Torino, suonate al campanello di via Cigna 16. Si aprirà un piccolo portone e vi troverete in un angolo di Paradiso, dove oggi l’opera Barolo ristruttura gli edifici andati in disuso, per vedervi crescere la continuità del carisma nella Casa Cilla, nell’opera che coinvolgendo Regione e Comune dà vita all'”Housing Sociale”, con 81 posti letto in 40 unità abitative per le famiglie in difficoltà, come era già nel 1823.

Non solo non si spengono, ma si moltiplicano e crescono in personalità e in opere sempre nuove, come testimonierà Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay ad Asuncion, che io amo definire il “Cottolengo dei nostri giorni”. Il video delle opere gestite dalle Figlie di Gesù Buon Pastore e dalle suore di S. Anna, presentato da suor Felicia Frascogna, farà vedere a tutti dove è giunta la santità e l’armonia coniugale di Carlo Tancredi e Giulia di Barolo.





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