Gli ultimi dati sul mercato del lavoro americano, migliori delle attese, hanno impresso un’altra accelerazione ai rendimenti delle obbligazioni statali e mandato in rosso i listini. Da ormai qualche settimana si accumulano le evidenze che i mercati non siano più convinti né di un percorso generalizzato di tagli dei tassi delle Banche centrali nel 2025, né della normalizzazione dell’inflazione. Le aspettative degli investitori sui tagli dei tassi in questi giorni cambiano radicalmente. Prima della pausa natalizia gli investitori scommettevano su due tagli dei tassi della Fed di cui il primo nella riunione di marzo; oggi invece solo uno e non prima di giugno. Anche le attese sulla Bce sono cambiate e oggi ci si attende quattro tagli contro i cinque di un mese fa. Infine, ci si attende che la Banca centrale giapponese alzi le stime di inflazione e discuta di un rialzo dei tassi tra quindici giorni.
In queste settimane sono saliti i rendimenti delle obbligazioni governative a dieci anni degli Stati Uniti, ai massimi dal 2023, di quelle inglesi, ai massimi dal 2008, e anche di quelle europee. Se i mercati fossero convinti che l’inflazione è definitivamente vinta si potrebbe scontare un intervento delle Banche centrali per calmare i mercati obbligazionari, ma questo non accade. Mercoledì prossimo verrà comunicato il dato sull’inflazione americana di dicembre e il quadro che si sta delineando in questi giorni potrebbe consolidarsi. L’economia americana non sta rallentando spinta anche da un deficit che non si è mai normalizzato dopo la pandemia; gli incrementi salariali sono significativi e l’andamento dei mercati contribuisce a generare inflazione. I dazi, le guerre commerciali e la ristrutturazione delle catene di fornitura lontano dalla Cina sono inflattivi; sono inflattive le tensioni geopolitiche, l’invecchiamento della popolazione, le spese per la difesa e la stretta sull’immigrazione. In Europa si aggiunge un’altra spinta che è quella della “transizione energetica”. Queste spinte possono essere neutralizzate solo da una recessione o da una crisi che però oggi in America non si vede. È questo il quadro in cui viene meno lo scenario su cui gli investitori scommettevano a settembre quando si stimavano cinque tagli della Fed per il 2025.
Il corollario è il rafforzamento del dollaro con l’euro svalutato del 10% contro il biglietto verde in tre mesi e oggi vicino alla parità. Più l’euro si indebolisce, più costa importare e più salgono i prezzi e l’Europa è molto più fragile dell’alleato americano in termini di forniture energetiche. È lecito chiedersi quanto la Banca centrale europea possa distanziarsi da quella americana tanto più in un quadro di possibile guerra commerciale. Ieri insieme ai listini, come da qualche giorno, scendevano particolarmente le banche regionali americane che già due anni fa avevano fatto parlare di sé. Per contenere l’inflazione, che tanto ha fatto male all’Amministrazione uscente, bisogna alzare i tassi o quanto meno non abbassarli e questo significa sottoporre a stress le parti più fragili dei mercati, dove la leva è più alta e gli attivi meno “sicuri”. Se invece si decide di sostenere i mercati allora riparte l’inflazione. Queste sono le due alternative a meno di includere una recessione. Intanto oggi tornano in scena due dei protagonisti della mini-crisi dei mercati del 2023: titoli di stato inglesi e banche regionali americane.
Il problema di fondo, politico, è come distribuire il costo delle politiche espansive e dei deficit fatti dopo il Covid che hanno sia fatto esplodere i debiti, pubblici e privati, e sia mandato sulla luna i mercati. Si può anche decidere di “sostenere l’economia” e i mercati presentando una soluzione facile e “gratis”, magari sotto il ricatto dei mercati che crollano, ma poi il costo si materializza sotto forma di inflazione in uno schema in cui a pagare di più sono le categorie più deboli; si ripete un modello in cui si fanno politiche per ricchi mascherate da politiche per i poveri che è quello che è si è visto negli ultimi due anni con i ceti medio-bassi costretti a tagliare i consumi mentre chi era sui mercati guadagnava in doppia cifra.
Si pone quindi il tema di come sgonfiare la bolla dei mercati e il valore di attivi che non hanno più senso. Diversamente le tensioni scompaiono sui mercati per ricomparire prima nelle urne e poi sulle piazze.
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