Era il 2011 quando Luigi De Matteo venne sequestrato e picchiato da antagonisti e anarchici dei centri sociali nel corso di una protesta No Tav a Chiomonte. Il carabiniere, che racconterà la sua storia a Quarta Repubblica a Rete 4 da Nicola Porro, per le ferite e traumi riportate in quella mezz’ora in cui rimase in preda ai suoi aggressori, si è dovuto congedare dall’Arma.
Ora Luigi De Matteo ricorda quanto successe, dai lanci non solo di bombe carta e pietre, ma anche di acido. L’ex vicebrigadiere fu colpito con una pietra, finendo così per terra. Dopo quella caduta fu il caos: De Matteo ricorda i calci e le sprangate, ma anche di essere stato portato nel bosco e tirato dietro una roccia, dove fu raggiunto da altre sprangate. Inoltre, fu denudato, privato di casco e pistola.
Ci sono segni che non sono passati: dal timpano rotto ai denti spaccati, ma continua anche a non vedere bene da un occhio, così come continua ad avere mal di testa, senza dimenticare le bruciature di acido che gli sono rimaste perché gli arrivò addosso di tutto. Ci sono anche segni evidenti sulle gambe.
CHI È LUIGI DE MATTEO, “MI HANNO ROVINATO LA VITA”
“Io con quella storia ho perso tutto“, dichiara Luigi De Matteo a Quarta Repubblica. È come se la vita dell’ex vicebrigadiere si sia fermata proprio quel giorno di luglio durante gli scontri con i No Tav, in quella mezz’ora in cui venne “massacrato e rapinato“.
“Mi hanno rovinato la vita“, raccontò Luigi De Matteo negli anni scorsi a La Stampa, spiegando che era un carabiniere, quindi un servitore dello Stato, mentre ora non ha più niente, se non la paura, anche di restare solo. Da quel giorno tutto è cambiato, e non solo perché fu costretto ad andare in congedo dopo 408 giorni di prognosi.
LA VICENDA PROCESSUALE DI LUIGI DE MATTEO
Nel 2016 due persone che per la procura di Torino avevano partecipato al pestaggio di Luigi De Matteo (infatti avevano chiesto che venissero condannate a 6 anni nel processo con rito abbreviato) furono assolte per non aver commesso il fatto. Una sentenza che venne definita inevitabile dal legale di uno dei due imputati, ritenendo che gli elementi raccolti dalla procura “erano straordinariamente labili“. Ma le difese fecero anche leva sul fatto che il magistrato che inizialmente si occupò del caso non aveva incriminato nessuno. Quindi, la vicenda restò irrisolta.