Jurij Gagarin e Dio

- Pierluigi Colognesi

Il 12 aprile del 1961, il cosmonauta sovietico Jurij Gagarin, a bordo della navicella Vostok 1, fu il primo uomo a volare nello spazio al di fuori dell’atmosfera terrestre

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Yuri Gagarin (Foto Ansa)

Sono cinquant’anni che l’uomo vola nello spazio al di fuori dell’atmosfera terrestre. Il primo a farlo, per 108 minuti, è stato il cosmonauta sovietico Jurij Gagarin a bordo della navicella Vostok 1. Era il 12 aprile 1961.

Chi finora ha ricordato l’evento, ha evidenziato soprattutto due aspetti. Da un lato lo smacco tecnologico subito dall’America di Kennedy, che si vedeva d’un balzo superata dalla superpotenza avversaria nella delicata e propagandisticamente decisiva sfida per la conquista del cosmo. Dall’altro il salto tecnologico che la gara spaziale ha prodotto e le cui ricadute sarebbero arrivate fin nella nostra vita quotidiana. Poco o niente si è invece detto sulla valenza interna all’Urss dell’impresa di Gagarin.

Al potere c’è l’imprevedibile Nikita Chrušcëv, colui che aveva (almeno parzialmente) denunciato gli orrori di Stalin e, anche per questo, aveva vinto la gara per la successione al dittatore georgiano. Nel congresso del partito comunista sovietico, svoltosi nel 1959, Chrušcëv aveva solennemente annunciato che l’Urss era in procinto di realizzare il comunismo; la grande marcia verso il sol dell’avvenire, iniziata da Lenin nel 1917, stava per raggiungere la meta. E se il comunismo è il migliore dei mondi possibili, ciò significa che il Paese che lo realizza deve per forza essere il più avanzato di tutti.

Il giro attorno alla terra di un cosmonauta figlio di povera gente e formato nelle scuole sovietiche sta a dimostrare che l’homo sovieticus è il primo esemplare di una umanità superiore, cui non è precluso nessun successo scientifico o tecnologico. Ne consegue, nel ragionamento politico-propagandistico di Chrušcëv, che ogni retaggio del passato deve essere abbandonato. Soprattutto quello della religione, che si suppone essere il peggior nemico della scienza.

Infatti, proprio gli anni dei successi spaziali sono quelli in cui in Urss viene lanciata una massiccia campagna antireligiosa. Corsi di ateismo sono resi obbligatori in molte facoltà, migliaia di conferenzieri raggiungono i più sperduti villaggi per convincere e costringere il popolo ad abbandonare ogni fede, un numero sterminato di opuscoli ateistici invade scuole, librerie, edicole, viene pure fondata una aggressiva rivista ad hoc: Nauka i religija (Scienza e religione) con elevatissima tiratura. Il viaggio cosmico di Gagarin è una prelibata occasione di propaganda contro la religione. La frase del cosmonauta più citata dai giornali sovietici è infatti: «Sono stato in cielo e Dio non l’ho visto». Problema risolto: Dio non c’è.

Invece, il problema non era risolto. Proprio in quegli anni la rivista dei giovani comunisti ha svolto un’inchiesta sulla felicità. L’ipotesi di partenza era, ovviamente, dimostrare che la felicità è il comunismo che sta per realizzarsi. Ma un giovane di nome Vladimir Sasov ha avuto il coraggio di scrivere: «A me interessa questo problema: perché vive l’uomo? Mangia, dorme, lavora; ma a che scopo egli fa tutto questo? Come cambiare la vita? Come trovare lo scopo?».

Colui che Gagarin non aveva visto in cielo bussava, sulla terra, alla porta di quel ragazzo. E a quella di molti suoi coetanei, che negli anni successivi avrebbero dato vita a un profondo movimento di dissenso nei confronti dell’ideologia materialistica dominante. L’Urss perse la sua battaglia tecnologica e, alla fine, crollò. La domanda di tutti i Vladimir resta.



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