SCUOLA/ Quelle italiane all’estero, un modello da imitare

- Sergio Bianchini

Dal modello organizzativo delle scuole italiane all'estero emergono particolari interessanti. Sia per quanto riguarda il rapporto stato-paritarie, sia per il curricolo. SERGIO BIANCHINI

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Il ministero degli Esteri ci informa che la rete delle scuole italiane all’estero (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado) comprende: otto istituti statali onnicomprensivi con sede ad Addis Abeba, Asmara, Atene, Barcellona, Istanbul, Madrid, Parigi e Zurigo; 43 italiane paritarie, la maggior parte delle quali è costituita da istituti onnicomprensivi, presenti in varie aree geografiche nel mondo, tra Europa, Africa-subsahariana, Mediterraneo e Medio oriente, Americhe; sezioni italiane presso scuole europee: tre a Bruxelles ed una in Lussemburgo, a Francoforte, Monaco di Baviera e Varese; 76 sezioni italiane presso scuole straniere, bilingui o internazionali, di cui 60 in Unione europea, 14 in Paesi non Ue, una nelle Americhe e una in Oceania; i corsi di lingua e cultura italiana rivolti ai connazionali residenti all’estero, la cui gestione rientra nell’ambito delle competenze della direzione generale per gli italiani all’estero (Dgit). 

Con riferimento all’anno scolastico 2014/2015, il contingente prevedeva  214 posti nelle 8 scuole statali, 36 unità in quelle paritarie, 90 unità nelle sezioni italiane presso scuole straniere, bilingui o internazionali, 28 posti di dirigente scolastico presso le ambasciate e i consolati. 

Due cose appaiono interessanti ai fini del nostro dibattito nazionale sulla scuola, e cioè il rapporto concreto dello stato con le scuole paritarie che sono la maggioranza, e il numero di anni necessari per acquisire il diploma. 

Come si può osservare, gli istituti statali sono 8 mentre le scuole paritarie sono 43. Ebbene, in ognuna di esse il ministero manda uno o due propri insegnanti che svolgono regolarmente lezione, retribuiti dal ministero. Quindi la scuola paritaria, oltre ad un supporto finanziario, gode anche di una docenza gratuita pari a circa il 10% del totale dei docenti. Allo stesso tempo il ministero ha così un “occhio” nella scuola paritaria che può osservare direttamente giorno per giorno.

La cosa mi ha colpito anche perché anni fa, proprio discutendo delle modalità di controllo dello stato sulle paritarie, avevo proposto una cosa analoga. Oggi in Italia il controllo statale del possesso dei requisiti di parità, stabiliti molto vagamente dalla legge 62/2000, risulta a sua volta molto vago e  discrezionale. Nell’ipotesi di una crescita effettiva delle scuole paritarie e della crescita diversificata del loro impianto culturale autonomo (ad esempio scuole islamiche) una presenza diretta come quella che si configura all’estero sarebbe semplice e forte allo stesso tempo. Tale presenza riguarda normalmente (a volte anche matematica) l’insegnamento dell’italiano che, come ci insegna Galli della Loggia, è materia decisiva ai fini identitari.

L’altro dato interessante delle scuole italiane all’estero è che prevedono per il diploma un curricolo di 4 anni anziché 5 come in Italia. Scopriamo così che il liceo, sia nelle scuole statali che in quelle paritarie, si esplica su 4 anni di cui il primo equivale al biennio del liceo dislocato in Italia. E questo diploma consente l’accesso a tutte le facoltà universitarie.

La durata di 4 anni del liceo all’estero non scandalizza perché in Europa (Italia esclusa) è normale che il diploma si ottenga in 4 anni. Ma siccome da noi, in Italia, servono 5 anni, l’uniformità con l’Europa e l’uniformità nazionale cozzano violentemente.

Anche per uno come me, abituato all’analisi quantitativa della realtà scolastica, non è stato facile comprendere come sia possibile mantenere in Italia il diploma dopo 5 anni mentre in tutte le scuole italiane all’estero il diploma sia conseguito in 4 anni. 

Ho ipotizzato che il totale delle ore di lezione fosse uguale e solo diversamente distribuito come prevede il DPR 275 del 1999 ed ho cercato conferme in questa direzione. In rete si trovano moltissime informazioni ma, guarda caso, la più occultata è proprio quella sugli orari scolastici. Esempio: a prima vista osservando le 36 ore settimanali del liceo di Barcellona sembrerebbe che il totale di ore per il diploma sia sostanzialmente uguale.

Infatti da noi le ore settimanali previste per il liceo sono 27-27-30-30-30 dal primo al quinto anno. Nel liceo italiano all’estero figurano 36-36-36-36 nei quattro anni curricolari. Totale 144 per il liceo in Italia e 144 per il liceo all’estero. 

Dunque il totale non cambia e allora tutto sembrerebbe in ordine. Ma percorrendo interamente il documento del Pof a pag 16 si trova la “quantica” verità: “Tenuto conto che la legislazione spagnola e la tradizione locale prevedono la settimana corta e che dunque le ore di lezione devono essere distribuite su 5 giorni settimanali; della necessità di organizzare, oltre l’orario scolastico curricolare, corsi di recupero per gli studenti del Liceo; l’importanza di avere a disposizione un tempo adeguato per lo studio personale e l’approfondimento degli argomenti trattati in classe, nella Scuola secondaria di 1º grado e nel Liceo scientifico è adottata l’ora di 50 minuti” (corsivo nostro). Se è così, le ore settimanali effettive non sono 36 ma 30. Cosa ottima per gli alunni che, in tal modo, sono allineati con le 1000 ore annue di lezione abituali in italia ma col vantaggio enorme di un anno di scuola in meno rispetto ai loro compagni nel nostro paese. Ma l’uguaglianza col liceo in Italia salta. E allora la questione rimane irrisolta.

Renzi aveva, all’inizio del dibattito sulla Buona Scuola, ipotizzato la riduzione di un anno del percorso scolastico in Italia. Ma ha dovuto rinunciare. Continua a dominare così una costosissima, dannosissima e indifendibile originalità. 





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