SCUOLA/ Otto anni di carcere per bullismo, perché dei docenti non si parla?

- Adriana Battaglia

8 anni e 6 mesi di carcere per un caso di bullismo segnato da atti di efferata umiliazione: è la pena che il giudice ha comminato a due ragazzi di Torino. ADRIANA BATTAGLIA

papà muore scuola (LaPresse)

Otto anni e sei mesi di carcere per un caso di bullismo: questa la pena che il giudice ha comminato a due ragazzi di Torino, per le spietate sevizie a danno di un compagno di classe, allora sedicenne.

La vittima, ci dicono i giornali, era stata abusata sessualmente dai due bulli, compagni di classe, con un ombrello, e più volte costretta a mangiare escrementi di cane.

In una società fluida e permissiva come la nostra, in cui siamo abituati ormai a sconti di pena di una magistratura a volte molto generosa, c’è chi si è meravigliato di una condanna così esemplare per stalking e abuso sessuale.

Il bullismo è sempre un fatto deumanizzante e il danno che residua alla vittima si configura come danno esistenziale, cioè lascerà tracce indelebili a livello sia psicologico che clinico. I ricordi dolorosissimi spesso sono incancellabili.

Gli adolescenti, è vero, vivono un disagio tra conflitti evolutivi, o svincoli fisiologici da una parte, e dall’altra il piacere-ebbrezza della trasgressione. Ma questi atti di bullismo vanno ben oltre la trasgressione: c’è crudeltà, intenzionalità a far male e ad umiliare, c’è analfabetismo emotivo ed affettivo, c’è mancanza totale di empatia, di rispetto.

Il mio pensiero va alle famiglie dei bulli e alla scuola che frequentavano e che diveniva teatro di continue violenze, sopraffazioni, spregiudicatezze, crimini. Quale educazione relazionale hanno avuto i bulli? E’ mai possibile che durante la loro frequenza in classe abbiano mascherato così bene i loro piani criminali, tanto da eludere ogni sospetto dei tanti docenti che si alternavano nella classe? Chissà se nella sentenza si è presa in considerazione la “culpa in educando” delle famiglie e la “culpa in vigilando” della scuola. (art. 2048 c.c.)

E’ possibile essere ciechi davanti a chi si auto determina nella violenza, nell’etero-distruttività, divenendo simulacro di una sub-cultura della disaffezione, del nichilismo, dell’incapacità di riconoscere l’altro, della totale deresponsabilizzazione, dell’irriconoscenza della dinamica dei nessi causali, incurante della gravità e ferocia di atti persecutori?

E allora, i bulli incriminati troveranno in carcere lo spazio dell’incontro, il tempo del riconoscimento, la capacità interpretativa del loro agire? C’è davvero da sperare in una pedagogia di recupero sociale, forse carente nelle precedenti agenzie educative.







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