Ucraina, il realismo di papa Francesco

- Federico Pichetto

In modo totalmente inatteso, ieri sono arrivate le parole spiazzanti di papa Francesco, che ha invitato l’Ucraina al coraggio del negoziato

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Papa Francesco (Ansa)

E alla fine, dopo più di due anni, la svolta che era nell’aria è diventata concreta possibilità attraverso le parole del Papa: la guerra in Ucraina può finire solo con un negoziato che prenda atto sia che la conquista dell’ex repubblica sovietica è fallita, sia che gli ucraini – a questo punto – non reggono più e non hanno alcuna speranza di guadagnare ulteriore terreno rispetto all’invasore russo. Ma c’è di più: il papa fa capire che certamente il conflitto potrebbe continuare, ma che il prezzo umano per tale ostinazione sarebbe talmente alto da non giustificare più alcun risultato territoriale o politico.

Si può tranquillamente dire che questo “atto di realismo” auspicato dal pontefice si colloca all’esatto opposto di quanto ipotizzato dal premier francese Macron due settimane fa e in parte ripreso dalla presidente della Commissione europea von der Leyen, ossia che la Nato possa intervenire direttamente su suolo ucraino con truppe di terra a supporto dell’esercito ufficiale.

Il messaggio di Francesco non deve essere inteso come una mano tesa a Putin, ma come un pronunciamento che segue con precisione i canoni della dottrina sociale della Chiesa, in cui – parlando della legittimità di intraprendere o proseguire un conflitto – richiama il Catechismo della Chiesa cattolica che prescrive tale possibilità solo a patto che siano presenti ragionevoli possibilità di successo. È come se Bergoglio invitasse tutti a prendere atto che le cose sono cambiate. E lo fa nel suo stile, nell’ambito di un’intervista alla televisione svizzera – in quella Svizzera che ha fatto della neutralità il tratto distintivo della propria politica – in una lunga chiacchierata che ha come tema il colore bianco, simbolo di purezza ed evidenza di contraddizione per tutti gli uomini peccatori del nostro tempo: è sul bianco, infatti, che si vedono di più le macchie e i peccati.

In questo contesto l’intervistatore chiede al Papa che cosa ne pensi del fatto che molti chiedano all’Ucraina di alzare bandiera bianca e che, di contro, molti vedano in tale prospettiva un atto di resa e di conclamato riconoscimento di vittoria per l’invasore. Francesco è netto: “Credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore”. E subito dopo chiosa: “Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il Paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto”.

È come se il Pontefice provasse ad inserire nella geopolitica una prospettiva diversa dal nazionalismo, è come se il suo sforzo fosse tutto teso a mostrare la realtà dalla prospettiva del popolo, accantonando le legittime ragioni di principio. Lo fa citando la Turchia, il Paese che mai come in questi giorni è vicinissimo ad aprire un tavolo di pace fra le parti, e lo fa – di fatto – prendendo atto di una fase nuova, di una riconquista che non è mai arrivata e di un crescente malumore interno al popolo ucraino affamato dalla guerra portata dall’orso russo e da un inverno che non ha più il sapore della resistenza, come negli anni scorsi, ma quello dell’ostinazione.

In più, è bene dirlo, il Papa è certamente attento agli sviluppi geopolitici che potrebbero segnare questo 2024. In Europa si stanno per svolgere elezioni dove non è affatto scontato che la maggioranza attuale si riconfermi all’europarlamento, negli Stati Uniti Trump sembra ad un passo dal grande ritorno, il conflitto mediorientale pare aver preso quella centralità che fino allo scorso 7 ottobre aveva indiscutibilmente acquisito lo scontro ucraino. È come se tutti i pezzi della scacchiera convergessero per un depotenziamento anche del valore simbolico del conflitto e rimanessero in campo forze che intendono progressivamente disimpegnarsi dal teatro bellico. Il Papa lo comprende e invita ad agire adesso che il contesto è ancora favorevole, che il negoziato non potrebbe essere interpretato come una resa, ma come la vittoria di una gloriosa resistenza che, tuttavia, pare non potersi spingere a lungo e oltre.

La pace è qualcosa che bisogna saper fare al momento giusto. La pace è, in fondo, la conclusione di ogni guerra. Il Vescovo di Roma si guarda attorno ed avverte che c’è un popolo allo stremo delle forze e che, per quel popolo, forse questo potrebbe essere l’ultimo momento giusto, l’ultimo treno prima di una disfatta inattesa. E, a quel punto, davvero ingloriosa.

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