Un recente rapporto pubblicato da Greenpeace ha preso di mira gli allevamenti intensivi, stilando l’elenco dei 900 più grandi ed importanti in Italia ed accusandoli di essere “fra i principali emettitori di polveri sottili“, o in altre parole di inquinamento. Non solo, perché si sottolinea anche che si tratta di “attività insalubri di prima classe”, sulle quali dovrebbe concentrarsi la lotta contro il cambiamento climatico.
Ma la tesi di Greenpeace sugli allevamenti come principali tra le fonti di inquinamento non è piaciuta al professore Giuseppe Pulina, ordinario di Zootecnica speciale al dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, nonché presidente dell’associazione Carni Sostenibili, che ne ha parlato con Libero. “L’Ispra”, precisa parlando dei dati di Greenpeace, “certifica che l’agricoltura è responsabile dell’11,6% del Pm 10 e del 3,6% del Pm 2,5“, e guardando all’ammontare complessivo dell’inquinamento emesso (ottenuto dalla somma tra Pm 10 e Pm 2,5) dagli allevamenti, si parla di uno scarso 8% sul totale delle emissioni italiane, peraltro considerando l’interno comparto agricolo “diffuso sul territorio nazionale”.
Pulina: “L’inquinamento emesso dagli allevamenti è diminuti negli anni”
Insomma, gli allevamenti secondo Pulina non sono tra le principali fonti di inquinamento, che sottolinea essere imputabile al “92% a trasporto, riscaldamento e attività industriali“. La tesi di Greenpeace sarebbe, infatti, solo “l’ennesimo attacco delle associazioni ambientaliste e animaliste che non persone occasione per puntare il dito” contro gli allevatori, scegliendo però un’attività come l’agricoltura che “assume un ruolo marginale sulle emissioni pericolose”.
Ad ulteriore riprova della spinta positiva fatta dagli allevamenti rispetto all’inquinamento, Pulina precisa che “l’ammontare complessivo del particolato emesso da fonti agricole è sceso dalle 40.600 tonnellate nel 1990, alle 28.700 tonnellate del 2021, con una riduzione del 28,5%”. Nello stesso periodo, “le emissioni riconducibili al riscaldamento domestico, la principale fonte di particolato, sono cresciute da 135mila tonnellate alle 195mila” del 2021, “con un aumento del 44%”. Contestare l’agricoltura come fonte di inquinamento, insomma, secondo Pulina sarebbe ingiusto, oltre che illogico dal punto di vista dei dati. Il settore, peraltro, “si sta dando una mossa con le precision farm e i biodigestori, apprestamenti importanti per ridurre le emissioni di azoto” che, invece di essere sprecato, viene mineralizzato e utilizzato “come fertilizzante”.