Dopo la sentenza n. 192 del 2024 la Corte costituzionale è tornata nuovamente sulla legge n. 86 del 2024, dal titolo “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, per dichiarare inammissibile la richiesta di referendum per l’abrogazione totale della legge.
Non è ancora nota la motivazione della decisione, ma apprendiamo da uno scarno comunicato dell’ufficio stampa della Corte che ad avviso dei giudici della Consulta “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari”, che “ciò (pregiudicherebbe) la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore” e che il referendum si risolverebbe “in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale”.
Non è dato sapere se la Corte abbia fatto ricorso, o meno, al limite delle “leggi costituzionalmente necessarie”, creato nella sua giurisprudenza in tema di referendum abrogativo, per quelle leggi richiamate dal testo costituzionale o deliberate in attuazione di precise disposizioni di questo, come nel caso in questione.
Tuttavia, in assenza di una dettagliata argomentazione sul punto, la vicenda si presta a due considerazioni.
La prima riguarda l’idea che voler abrogare per intero una legge che viene considerata di attuazione di una disposizione costituzionale equivalga a un referendum sulla stessa norma della Costituzione. Questa affermazione impedirebbe quasi sempre all’art. 75 Cost. di trovare applicazione. Questo articolo della Carta prevede che “è indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge” e le leggi in un sistema a Costituzione rigida e lunga – come è la nostra – sono per buona parte attuazione di questa. Se la Corte adopera sino in fondo questi argomenti svuota di significato il referendum abrogativo. Essere contro, per ragioni politiche, una legge che attua una disposizione costituzionale non significa essere contro l’articolo della Costituzione, ma semmai essere contro il tipo di attuazione che il legislatore avrebbe inteso compiere, e su questa valutazione politica il corpo elettorale, in base all’art. 75 Cost., ha il diritto, politicamente, di dissentire e, giuridicamente, di abrogare la legge.
La discussione si presterebbe a più lunghe osservazioni, sia sulla categoria delle leggi costituzionalmente vincolate sia sulle richieste di referendum particolari che la Corte ritiene ammissibili, con i quali, attraverso dei ritagli, si riscrive la legge, ma in questa sede non è il caso di insistere. E comunque, non si può negare che le disposizioni costituzionali si possono prestare a più e diverse attuazioni legislative.
La seconda osservazione riguarda l’oggetto della richiesta referendaria, cioè la legge n. 86 del 2024 (Calderoli), che la Corte con la pronuncia di inammissibilità avrebbe salvato. Infatti, è noto che la legge sull’autonomia differenziata, dopo la sentenza n. 192 del 2024, è stata salvata da una pronuncia di incostituzionalità totale, ma nei suoi contenuti è stata fortemente ridimensionata, sia per le modifiche apportate direttamente dalla Corte, sia per le caducazioni determinate dalla pronuncia costituzionale. In ogni caso, non sfugge all’osservatore che, al momento, la legge sull’autonomia differenziata non è di fatto applicabile, se non previo nuovo intervento del Parlamento per riscrivere parte della legge nel senso indicato dal giudice costituzionale.
Salvaguardare una legge che non può funzionare, e per la quale non è affatto detto che il legislatore interverrà per scrivere i pezzi mancanti, ha poco senso, visto che il Parlamento e il corpo elettorale sono organi politici in grado di disputare tra loro l’orientamento politico della legislazione e che il secondo ha il diritto di mettere in discussione le scelte parlamentari.
L’inammissibilità della richiesta di referendum abrogativo totale della legge sull’autonomia differenziata, pertanto, significa che ciò che la Corte ha salvaguardato non è la legge del Parlamento e neppure l’art. 116, terzo comma, della Costituzione, ma semplicemente la sua interpretazione di questa disposizione, sulla cui opinabilità non è possibile soffermarsi qui.
In conclusione, ciò vuol dire che il giudice costituzionale, nel giudizio di ammissibilità, di fronte alla richiesta di referendum abrogativo totale della legge sull’autonomia differenziata si è comportato come parte interessata più che come giudice terzo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.