Una tregua fragile, fragilissima. Tanto che Trump, subito dopo il suo insediamento, ha dichiarato che potrebbe non arrivare alla terza fase. E, viste le intenzioni del governo Netanyahu in Cisgiordania, la conclusione potrebbe giungere anche prima. IDF, Shin Bet e polizia, infatti, hanno lanciato una “vasta e significativa” operazione, chiamata “Muro di ferro”, contro il terrorismo a Jenin. L’accordo fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco a Gaza, la restituzione degli ostaggi e la liberazione di prigionieri palestinesi, osserva Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, viste le premesse, potrebbe chiudersi anche fra non molto e difficilmente aprirà a un vero processo di pace.
L’annunciata operazione in Cisgiordania, in cui da mesi coloni ed esercito israeliano prendono di mira i palestinesi, prova che il governo Netanyahu non ha molto digerito la tregua?
È una tregua alquanto precaria, sembra quasi messa in piedi in fretta e furia per permettere a Trump di dichiarare, nel giorno dell’insediamento, che l’accordo era stato raggiunto grazie a lui e che vuole portare la pace nel mondo. Di fatto, però, le scene che abbiamo visto in occasione del rilascio degli ostaggi a Gaza, con i miliziani di Hamas nelle strade, dimostrano che l’organizzazione palestinese ha il pieno controllo del territorio a Gaza. E se c’è anche una minaccia simile che cova in Cisgiordania, di cui Israele è ben consapevole, si avvera quello che dal 7 ottobre tutti gli analisti sono concordi nel dire: che il prossimo fronte poteva essere proprio quello della Cisgiordania. Ne chiudono uno e ne aprono un altro.
Trump, nelle sue prime dichiarazioni da Presidente, ha detto che non sa se la tregua arriverà alla terza fase. Contemporaneamente, in uno dei suoi primi 100 provvedimenti, ha tolto le sanzioni ai coloni della West Bank, comminate da parte di Biden per le loro azioni violente contro i palestinesi. Ha già benedetto l’operazione in Cisgiordania?
Trump è colui che ha spostato l’ambasciata americana a Gerusalemme, riconoscendola come capitale di Israele. Le sue posizioni sul conflitto arabo-israeliano sono abbastanza chiare: dal suo punto di vista, Israele dovrebbe trovare un modo per ricavare altri territori. Una parte della sua base appartiene a quei movimenti religiosi di stampo apocalittico che appoggiano Israele; non poteva che prendere decisioni di questo tenore. Le sue dichiarazioni dimostrano che è il primo a rendersi conto che è una tregua molto precaria.
Qui, come in Ucraina, non sarà così semplice pacificare come lui aveva immaginato e annunciato almeno fino a qualche tempo fa?
Paradossalmente, credo che in Ucraina per lui sarà più facile raggiungere l’obiettivo. Per Putin ha un’ammirazione sfrenata e Kiev non potrebbe andare avanti a lungo senza il sostegno americano: ha molti strumenti per imporre la sua volontà. Dall’altro lato, invece, la potenza della lobby pro-Israele nelle istituzioni e nei media americani e l’interesse elettorale di Trump, oltre alle sue convinzioni personali, lo mettono in una posizione per cui non può e non vuole imporre niente a Netanyahu.
Se Netanyahu dice che vuole un’operazione vasta e significativa per combattere il terrorismo a Jenin, vuol dire che la Cisgiordania rischia di subire un trattamento simile a quello di Gaza?
Le operazioni “vaste” di Israele le abbiamo viste: i termini non promettono nulla di buono. È quello che Abu Mazen ha cercato in tutti i modi di scongiurare, conducendo egli stesso delle operazioni di sicurezza per arrestare i membri delle resistenze armate in Cisgiordania. Non è stato sufficiente. Anzi, è servito a Netanyahu per dire al mondo che l’ANP non è in grado di garantire la sicurezza in Cisgiordania, né di prendere il controllo a Gaza, e che tutto ciò lo deve fare Israele.
Si sono dimessi sia il capo di stato maggiore dell’IDF Herzi Halevi che il capo del Comando meridionale, sempre dell’esercito. Lo hanno fatto ammettendo le loro responsabilità per il 7 ottobre. Smotrich ha subito commentato che bisogna sostituirli con ufficiali pronti a tornare a combattere. L’estrema destra spinge ancora per la guerra e Netanyahu le dà corda?
Qualcuno doveva pagare per il 7 ottobre e stanno pagando anche troppo tardi. Nel momento in cui c’è la tregua ci può anche essere un avvicendamento, per poi eventualmente permettere a qualcun altro di riprendere le operazioni. Credo, però, che non siano tanto le responsabilità del 7 ottobre che hanno spinto a queste dimissioni, quanto il fatto che, per rilasciare gli ostaggi, Israele ha comunque dovuto liberare decine e decine di prigionieri palestinesi, piegandosi a quello che Hamas stava chiedendo da mesi e che il governo israeliano si è sempre rifiutato di fare.
In realtà Netanyahu si aspettava che gli ostaggi li liberasse l’esercito?
Sì, e non ci è riuscito. Sotto tutti i punti di vista è un’umiliazione per l’esercito israeliano. Quindici mesi di guerra e gli ostaggi liberati si contano sulle dita di una mano, forse anche meno, per non parlare di quelli che sono stati uccisi dalle forze israeliane stesse, una specie di fuoco amico. Quindi, a tutti gli effetti, non è stata una campagna di grande successo. È chiaro che, per le forze di estrema destra, la campagna militare andrebbe portata avanti fino a soggiogare completamente Gaza e ad annetterla a Israele, ma, se fosse per loro, non si fermerebbero né alla Striscia, né alla Cisgiordania, ma si allargherebbero anche al sud del Libano e a qualche Paese circostante.
Se l’operazione di Israele in Cisgiordania dovesse essere particolarmente dura, c’è il rischio che la tregua si chiuda in pochi giorni?
Sicuramente, c’è una tregua molto precaria: se non si chiude fra pochi giorni, si chiuderà fra qualche settimana.
Non porterà a una trattativa di pace vera e propria?
Credo che la guerra che perdura dal 1948 sia destinata a durare ancora decenni e tutto quello che è successo in questi mesi non può che contribuire a buttare ulteriore benzina sul fuoco. I morti, i feriti, le distruzioni sono qualcosa che dà ad Hamas e alle organizzazioni della stessa risma la possibilità di reclutare, indottrinare, proseguire il conflitto per generazioni.
E per Netanyahu vedere le bandane verdi di Hamas in piazza ha fatto capire che non è stata sconfitta e quindi, nella logica del premier e del governo, bisogna continuare a combattere?
Per Netanyahu non è stato un bel vedere. Era come dire: “Ci siamo ancora”. Come dimostrare che Hamas ha sempre il controllo del territorio e che quindici mesi di guerra non sono sostanzialmente serviti a nulla.
(Paolo Rossetti)
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