L’affettività è un diritto che non può essere negato neppure in carcere e – in quanto tale – deve essere concesso con le migliori garanzie possibili affinché si rispetti l’intimità di coniugi e partner: a dirlo è stata una seconda pronuncia da parte della Cassazione in merito al ricorso di un detenuto della struttura penitenziaria di Asti che si lega a filo doppio a quella dello scorso 26 gennaio del 2024 da parte della Corte Costituzionale nella quale – per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano – venne riconosciuto inderogabilmente il diritto all’affettività, permettendo ai detenuti di intrattenere rapporti intimi con le persone a loro più vicine senza nessun tipo di sorveglianza.
Facendo un passetto indietro, il ricorso sul quale si è pronunciate la Cassazione era inerente ad un detenuto 34enne che si era visto negare – in un primo momento – un incontro coniugale con la compagna a causa dell’assenza nella struttura circondariale astigiana di un luogo adatto a far rispettare il suo diritto all’affettività senza sorveglianza; mentre a fronte di un primo ricorso il Tribunale di sorveglianza aveva confermata la prima pronuncia definendo la volontà del detenuto una “mera aspettative” e non un vero e propria diritto da far rispettare.
La Cassazione: “Quello all’affettività in carcere è un diritto costituzionale e non una mera aspettativa”
Tornando al presente, accogliendo il ricorso del detenuto in questione la Cassazione ha ribadito che l’affettività non è da ascrivere ad una “mera aspettativa” ma ad un vero e proprio “diritto costituzionalmente tutelato” dalla pronuncia degli Ermellini che abbiamo citato nell’apertura di questo articolo, fuorché – aggiungeremmo ovviamente – non sussistano cause giudiziarie di forza maggiore come per esempio “ragioni di sicurezza [o] di mantenimento dell’ordine e della disciplina“; mentre in merito alla sorveglianza, secondo i giudici si configura il rischio di una “compressione sproporzionata e irragionevole della dignità del detenuto” e della persona alla quale è sentimentalmente legata che si troverebbe – quest’ultima – costretta a vivere una relazione insoddisfacente pur non avendo commesso nessun tipo di reato.
Immediata – dopo la pronuncia sul diritto all’effettività – la reazione dell’Osservatorio carcerario della Camera ‘Vittorio Chiusano’ che nella persona della responsabile Emilia Rossi ha esortato “l’amministrazione penitenziaria” ad attrezzarsi affinché si garantiscano tutti i diritti dei detenuti anche con le necessarie “soluzioni intermedie“; mentre dal conto suo la presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini ha chiesto che si istituiscano delle vere e proprie “stanze che assomiglino il più possibile ad una casa” per garantire che gli incontri avvengano in un “ambiente accogliente” che non faccia “vivere il trauma del carcere” anche agli affetti del detenuto.