L’IMPREVISTO/ “I nostri giovani, un immenso bisogno di vita in ostaggio di dolore e solitudine”

- Silvio Cattarina

L'intervento di Silvio Cattarina in occasione delle dimissioni di alcuni giovani de L'Imprevisto. "La Croce va abbracciata, occorre starci su a lungo"

imprevisto pesaro giovani 1 imprevisto1280 640x300 (foto Imprevisto.net)

Pubblichiamo l’intervento che Silvio Cattarina, presidente della Cooperativa sociale L’Imprevisto di Pesaro, ha svolto il 3 febbraio scorso al Teatro Rossini nell’ambito di “Pesaro 2024 capitale italiana della Cultura” in occasione delle dimissioni dei giovani che hanno terminato il cammino nella comunità di recupero.

La cosa più bella del mondo – è evidente – sono i giovani, il lavoro più bello del mondo – è certo – è il nostro. I giovani, vivere con loro, aiutarli; il lavoro educativo, insomma. Chiaramente all’interno del vasto mondo dei ragazzi, in assoluto, i più belli di tutti, di gran lunga, sono i ragazzi e le ragazze de L’Imprevisto! Ma ancor più bella e interessante della persona e dei ragazzi stessi è il cuore, il cuore di ogni uomo. La scoperta più bella è quella che porta a comprendere, a conoscere profondamente il cuore dell’uomo e, soprattutto, il cuore dei giovani.

Cos’è il cuore, come è fatto, chi l’ha fatto, perché e per cosa è stato fatto? Questa è, in assoluto, l’avventura più interessante del mondo. Se riusciamo ad aiutare i ragazzi a essere, a vivere, a esprimere grandemente tutto il loro bisogno di vita, sicuramente facciamo l’opera più importante e imponente che si possa compiere. Non è vero, non può essere vero che siamo un mondo votato all’odio, alla violenza, alla guerra. Non sta scritto da nessuna parte che la logica del rapporto tra gli uomini è la sopraffazione. C’è bisogno di forza, di coraggio, di bellezza, di amore. Come si fa, altrimenti, a vivere, ad andare avanti, a crescere? “Ma non capisci, Silvio, che noi facciamo tutto il male che facciamo perché abbiamo paura, lo facciamo per nascondere la paura che abbiamo dentro?” mi disse un giorno Albano.

Aiutiamo, facciamo vedere ai ragazzi come si può essere, avere un desiderio grande, come si può e si riesce a volersi bene, come si può e si riesce ad aiutarsi fra le persone, a stare a testa alta nel mondo. Impegniamoci tutti per immaginare e costruire una nuova e bella stagione di umanità con e per i ragazzi. Per una nuova epoca in cui sono i ragazzi ad essere al centro dell’interesse, della preoccupazione dell’intera società, della Chiesa, della scuola, delle città, della politica, di tutto e di tutti. Aiutiamoci, attrezziamoci per rompere il muro dell’apatia, del disinteresse, del cinismo, del nulla in cui versano tanti strati del mondo giovanile.

Chiediamoci sì, anche, dove abbiamo sbagliato. Perché non ci siamo accorti in tempo dell’abisso di solitudine e di angoscia in cui tanti giovani sono precipitati? Ma, soprattutto, interroghiamoci e aiutiamoci come riprendere, come risalire dalla voragine del male, di dolore in cui si è imprigionato il cuore di tanti ragazzi. Consapevoli che, se è permesso un dolore, un male così grande, vasto e diffuso, vuol dire che arriverà un bene ancor più grande. Tanto grande il dolore, ancor più grande sarà l’amore che incontreremo, che scopriremo. Perché?

Perché la vita non verrà mai meno, Dio non tradirà mai sé stesso. Non farà mancare il Suo aiuto. Partiamo sempre, sappiamo sempre iniziare ogni giornata ed ogni azione iniziando da questa un’invincibile speranza. Il dolore non è mai senza speranza. Di certo giungeranno tempi nuovi. Verrà un’epoca di umanesimo.

Sembra che non siamo in grado di vedere, di percepire l’immensità, la profondità dell’attesa che c’è nel cuore dei giovani, e nel nostro. Vediamo solo tristezza, dolore e morte, disfacimento e disperazione anziché vedere, di più, di più, quello che veramente c’è nei ragazzi: tanta vita, tanto amore, tantissimo desiderio, tantissimo bisogno di riscatto e rinascita. Il bene – sì, diciamolo ancora – è sempre più grande di qualsiasi grande male. La questione è incontrare, conoscere l’immensità del bene. Guardare tutto così, con questi occhi spalancati, sgranati, che tutto è per il bene, per il buono. Le sostanze, la depressione, l’autolesionismo, il gioco d’azzardo, il bullismo, la devianza, l’anoressia, le dipendenze affettive, le baby gang, sono l’espressione di un disagio più esteso, la conseguenza di una esistenza non più ritenuta degna, bella, importante, la conseguenza di una concezione dell’altro unicamente come oggetto di cui posso e possa disporre. Non basteranno nuove leggi, regolamenti, divieti, servono adulti, testimoni credibili, persone così grandemente impegnate con il loro cuore da essere affascinanti per i ragazzi, capaci di vedere e far emergere tutto il bene che c’è in ogni giovane. Servo io, deve dire ciascuno di noi; servi tu, non sempre gli altri, la politica, la scuola. Chiediti: cosa posso fare io? Io dove sono?, devo sempre chiedermi.

Il dolore. Diciamo una parola su questa incredibile e misteriosa esperienza del dolore che attanaglia tutti. Certo la sofferenza dei bambini e dei ragazzi ci colpisce in modo del tutto speciale. Insomma, non si può continuare a girare intorno al problema come fanno in troppi (al massimo cercando solo le cause) senza chiedersi anche il perché del dolore, perché ci è toccato in sorte, perché proprio a me, a noi, cosa vuol  dirmi, a cosa mi chiama, se serve, se può essere di aiuto ad altri, a tanti, se può irrorare, fecondare un vasto arido campo pieno di pietre e sassi come è il mondo in cui siamo, cosa mi chiede di capire, di comprendere  profondamente, radicalmente, se il dolore e la sofferenza possono essere veramente guardati, attraversati, compresi, abbracciati, perdonati, se dolore e sofferenza possono essere dati, affidati, consegnati ad altri, se il dolore può essere offerto, innalzato, gridato; se si può piangere, piangere davanti a qualcuno, insieme a qualcuno, liberamente, finché tutte le lacrime non siano uscite. Se c’è Qualcuno e qualcosa che il dolore lo può e lo sa prendere, fare suo, lanciarlo in alto, in alto, lontano lontano.

E poi, dopo il dolore, insieme al dolore, ripartire, ricostruire, rimettersi in piedi, vedere il nuovo, il diverso, un’altra strada, un altro modo, una storia nuova e diversa. “Se devo cambiare – mi gridò Cristian – fammi vedere un altro modo e un altro mondo, sennò io come faccio a capire? Se non mi fai provare, come posso sapere? Vai avanti prima tu, anziché continuare a dirmi cosa devo fare io”. Oppure Gabriele: “Adesso che me le hai dette tutte, adesso che mi hai spogliato di tutto, con cosa mi vesto? Che abiti mi metto addosso?”. Per capire tutto questo – no, non per capire, per almeno un po’ avvicinarsi a tutto questo – occorre che sulla Croce abbiamo a salirci, occorre lavorare, impegnarsi, “sboccar sangue” si dice a Pesaro, occorre crederci, sporcarsi le mani, stare con i ragazzi, viverci insieme, occorre lasciarsi stupire, interrogare, ferire. Occorre salirci sulla Croce!

Guardare tutto questo, starci davanti non è facile, non è scontato, non è dato una volta per tutte. Ci vuole forza e coraggio, occorre che Qualcuno e qualcosa questa forza e coraggio ce li diano per salire sulla Croce. La Croce va abbracciata, forte, va stretta, stretta, e occorre starci su a lungo, con le braccia aperte, spalancate.

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