Nel processo per il duplice infanticidio di Pedrengo (Bergamo) è scontro sulla capacità di intendere e volere di Monia Bortolotti. Il tema non solo è aperto, ma va approfondito, ed è già oggetto di contesa tra accusa e difesa nella prima udienza. Da un lato c’è la richiesta della pm Maria Esposito di una nuova perizia psichiatrica, perché inattendibile quella attualmente a disposizione, invece il legale della mamma 28enne, che si trova ora ricoverata alla Rems di Castiglione dello Stiviere, in provincia di Mantova, è contrario a nuovi accertamenti che avrebbero come obiettivo solo quello di ottenere un risultato diverso da quanto emerso nell’incidente probatorio di luglio.
La questione non è di poco conto, perché se Monia Bortolotti venisse giudicata incapace di intendere e volere, allora scatterebbe l’assoluzione per il duplice omicidio dei figli Alice Zorzi, soffocata con un cuscino a 4 mesi perché non sopportava i suoi pianti, e Mattia, causandogli asfissia con una stretta tra le braccia, quando aveva 2 mesi. Da qui la necessità da parte della pm di “dirimere la questione“, che non ritiene risolta, mentre la difesa parla di “capriccio“.
MONIA BORTOLOTTI CAPACE DI INTENDERE E VOLERE?
Trattandosi di un caso estremamente grave e nel rispetto delle due piccole vittime, per la pm i dubbi vanno sciolti con una quarta, e definitiva, perizia. La Corte d’Assise si è riservata la decisione, che verrà presa nella prossima udienza di aprile.
Nell’incidente probatorio, i periti avevano diagnosticato a Monia Bortolotti un “disturbo depressivo maggiore con caratteristiche psicotiche congruenti all’umore“. Alla luce di questa malattia, non è incapace di intendere e volere. Di parere diverso è il consulente della procura, secondo cui la 28enne era lucida, al massimo offuscata parzialmente da un “disturbo di personalità con caratteristiche borderline“.
Si tratta peraltro della stessa diagnosi fatta da almeno sei professionisti nel tempo, infatti la pm ritiene “veramente arduo” ritenere che questi esperti si siano sempre sbagliati, dall’adolescenza in poi. Inoltre, si chiede come sia possibile che una patologia del genere, che è “gravemente invalidante” non sia emersa prima.
LO SCONTRO TRA ACCUSA E DIFESA SULLA PERIZIA
Dunque, per la pm la perizia attualmente a disposizione è “insanabilmente deficitaria“, inoltre le intercettazioni non forniscono elementi che convergano sul punto, anzi emergono i timori per il processo e “ripetuti ragionamenti” riguardanti “la migliore strategia difensiva“. Proprio le intercettazioni, ha aggiunto la pm, permettono di constatare i dibattiti sull’eventuale perizia e la lucidità dell’imputata, non solo consapevole delle sue scelte, ma anche coinvolta nella strategia difensiva. “Tutte caratteristiche scarsamente compatibili con la depressione maggiore descritta dai periti“.
L’accusa ha evidenziato anche la preparazione di Monia Bortolotti che, avendo studi di psicologia alle spalle, conosceva i test a cui è stata sottoposta, quindi potrebbe averli manipolati, tentativo segnalato, ad esempio, da un medico del reparto psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII durante il ricovero post arresto. Come se non bastasse, la perizia psichiatrica presenterebbe “incongruenze“, “contraddizioni” e “omissioni” per le quali le criticità rilevate risultano non solo rilevanti, ma anche “insuperabili“.
Di avviso diverso è l’avvocato Luca Bosisio, secondo cui la perizia non fa favori alla sua assistita, visto che detenzione nella Rems è “un ergastolo bianco“, visto che lì vi restano anche fino a 25 anni. La difesa di Monia Bortolotti ha fatto notare che all’imputata sono stati somministrati diversi farmaci per i quali è difficile ritenere che possa aver finto o manipolato gli psichiatri, anche perché non riusciva neppure a reggersi in piedi per le cure. Per quanto riguarda l’assenza di diagnosi pregresse della grave malattia, ha giustificato tale circostanza con una possibile superficialità da parte dei medici che l’hanno valutata in passato.