Lo sport sa raccontare storie che escono dai loro stessi confini e diventano esempi, metafore dell’esistenza, lezioni di vita. Le splendide vicende olimpiche di questa estate mi hanno suscitato riflessioni relative al mondo che io vivo, quello della scuola. Si ravvisano, dietro certi successi sportivi, “cause”, motivi, insegnamenti, che possono essere trasposti in chiave scolastica e confermarci in certe nostre convinzioni.
Gianmarco Tamberi
Vince una medaglia d’oro nel salto in alto con una rincorsa durata 9 anni: nel 2016 un infortunio gli impedisce di partecipare, da favorito, alle Olimpiadi di Rio, per le quali si stava preparando appunto da quattro anni. Dopo l’infortunio, la pandemia gli nega le Olimpiadi nel 2020, concedendogliele soltanto nel 2021.
Oltre alle più o meno ovvie considerazioni sulla capacità di incassare un colpo e rimanere in piedi, l’insegnamento “scolastico” che si può trarre dalla sua storia è questo: un successo, nello sport come a scuola (come nella vita, ovviamente!), si costruisce con un percorso.
Nella società del “tutto subito” la scuola che chiede costanza e impegno continuato, la scuola che spiega ai suoi ragazzi che “si studia oggi per domani”, risulta clamorosamente inattuale; e invece ha ragione lei. Ma ha tanto più ragione quando, nonostante la cultura dell’istante e dell’istantaneo, nonostante la dimensione del frammento prevalga in ogni aspetto (o quasi) della nostra esistenza, nonostante il futuro risulti negato invece che promesso, essa riesce a rendere organico e coerente un intero percorso di apprendimento, cioè di iniziazione alla vita, di introduzione alla realtà totale.
Io sono coordinatore didattico di due licei: il Liceo scientifico e il Liceo linguistico alla Scuola “Regina Mundi” di Milano, a sud della città; si tratta di una scuola paritaria che consente l’intero percorso scolastico, dall’infanzia appunto alle superiori. E alla Regina Mundi consideriamo che il valore aggiunto di un cammino scolastico con una progettualità così estesa non si possa quantificare, talmente tante sono le aree su cui impatta: continuità didattica, sguardo educativo, dimensione umana.
A scuola gli insegnanti possono cambiare da un anno con l’altro, ma in una scuola come la nostra i nuovi docenti non sconfesseranno il lavoro del loro predecessore, anzi ci si inseriranno come in un solco ben tracciato, e lo proseguiranno; i principi educativi che ispirano l’azione didattica ne determinano l’impronta, “qualunque cosa accada”; i cicli scolastici che si conoscono vicendevolmente e si comprendono, in cui l’insegnante delle medie non ripete ciò che è già stato fatto alle elementari, e che verrà ripetuto ancora alle superiori, garantiscono la pregnanza di senso del cursus studiorum.
La scuola come percorso e come cammino in cui la destinazione, le mappe, i mezzi di trasporto, non vengono cambiati a ogni momento, la scuola come ambiente che aiuta lo studente a “scoprire quel senso unitario delle cose”, come scriveva don Giussani nel Rischio Educativo; una scuola in cui è chiaro che ci può anche essere un infortunio, come per Tamberi, come è accaduto in due anni di pandemia, ma questo semplicemente ci renderà più affamati dell’obiettivo che è tracciato e non cambia e ciò lo rende raggiungibile.
Antonella Palmisano
Vince la 20 km di marcia femminile, in meno di un’ora e mezza, al comando dall’inizio alla fine. E qui si alternano considerazioni assolutamente personali (vivo a circa 20 chilometri dalla mia scuola, uso i mezzi pubblici, e a volte non riesco a metterci meno di un’ora e mezza…), con considerazioni di maggior pertinenza: dopo la gara probabilmente più individuale che esista, una gara che prova in maniera maiuscola il fisico ma altrettanto la mente, che deve imporre al corpo un movimento tutt’altro che naturale e resistere alla tentazione impellente di fare ciò per cui siamo nati, cioè correre, ebbene, dopo uno sforzo così fisico, così mentale, ma soprattutto così individuale, Antonella Palmisano ringrazia la sua squadra. Coloro che si allenano con lei, la famiglia che condivide i sacrifici, l’allenatore che la guida. La gara più individuale che esista sortisce un ringraziamento per la squadra. Non si vince mai da soli.
E non si impara mai da soli. La scuola, quella vera, quella che istruisce e che educa, quella che “fa diventare grandi”, è un fatto di relazione. Di comunità. Di comunità educante. Serve un villaggio per crescere un bambino, esattamente come serve una squadra per prendere una medaglia.
In una riflessione condivisa con i miei insegnanti, alla Regina Mundi, è emerso come le scuole che hanno retto meglio l’impatto devastante con la prova a cui ci ha chiamato il Covid, le scuole che hanno saputo meglio mantenere vivo un percorso scolastico significativo, fossero quelle che hanno saputo continuare a essere comunità seppure a distanza. Quelle in cui la relazione, per quanto mediata dalla Dad, non è mancata; quelle che hanno saputo far tenere le videocamere accese ai ragazzi, quelle che li hanno cercati anche al pomeriggio.
O, se mi è concessa un po’ di autoreferenzialità, quelle che hanno voluto celebrare anche a distanza l’inizio delle vacanze di Natale, organizzando un quiz con Kahoot e una tombolata digitale. A cui i ragazzi hanno partecipato quasi più che se fosse stata in presenza…
Gregorio Paltrinieri
A un mese dalle Olimpiadi, o poco più, si ammala di mononucleosi. Giunge a Tokyo in condizioni fisiche tutt’altro che ottimali e privo di allenamenti adeguati in sede di preparazione. E vince un argento e un bronzo, negli 800 stile e nei 10 km in acque libere. Un giornalista sportivo ha commentato queste vittorie rilevando il fatto che probabilmente non allenarsi conviene, paradossalmente.
Noi che facciamo scuola sappiamo che non è così. L’allenamento scolastico, cioè lo studio, la ricerca, la lettura, la riflessione metacognitiva, devono essere un impegno quotidiano; ben dosato, ma quotidiano. Ciò non toglie che privati degli allenamenti molti atleti hanno poi fatto la prestazione. Avanziamo una spiegazione: la privazione aumenta il desiderio. E impossibilitati ad allenarsi, certi atleti hanno poi effettivamente riversato tutta questa privazione nella prestazione di gara.
Sto vedendo, in buona misura, accadere la stessa cosa a certi miei studenti. Il Covid ha tolto tanto; il rientro a scuola ha dato una misura di senso a molti ragazzi a cui forse era sfuggita prima. Sono sicuramente tornati a scuola col sorriso e volentieri, con un grande desiderio di incontrarsi e condividere il cammino della quotidianità; ma sono tornati anche con rinnovato slancio e impegno scolastico, con un grande desiderio di recuperare ciò che la distanza inevitabilmente ha tolto in materia di “allenamento”, esercizio, percorso, conoscenza.
Tanta parte del lavoro dell’insegnante, oggi, deve fare i conti con il discorso motivazionale. La fine della Dad ha ridato a molti ragazzi slancio motivazionale e inedito impegno e risultati. Certamente alcuni hanno patito di più e il ritorno a questa sorta di normalità è tutt’altro che compiuto e a loro va necessariamente tutto il nostro impegno quotidiano. Ma altri, senza allenamenti, stanno scendendo in acqua a riprendersi le medaglie che si meritano.
Cari ragazzi, ancora una volta: stay hungry, stay foolish. Nella vita si entra passando per la scuola. E che sia un bell’allenamento.
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