Hamas libera quattro soldatesse prima delle donne (civili) che aveva promesso. La procedura fa venire qualche dubbio sull’effettiva disponibilità di tutti gli ostaggi. Una circostanza che fa temere per Arbel Yehud, una ragazza di 29 anni con la doppia nazionalità tedesca e israeliana, e per Shiri Silberman Bibas, 33 anni, rapita insieme al marito e ai figli, e che aggiunge un dubbio in più sulla tenuta della tregua. Secondo l’intelligence americana, Hamas intanto avrebbe reclutato 15mila nuovi miliziani, sostituendo in pratica quelli che sono stati uccisi da ottobre 2023 a oggi, segno che l’organizzazione palestinese non sta affatto smobilitando. Se teniamo conto che dall’altra parte la destra israeliana preme per tornare a combattere, spiega Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri, con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, c’è da temere un ritorno alle armi imminente, anche se Trump vorrebbe mantenere il cessate il fuoco. La tregua comunque potrebbe infrangersi sullo scoglio delle vere trattative di pace: per ora non si intravedono possibilità di accordo sul futuro di Gaza.
Generale, questo cambio di priorità nella liberazione degli ostaggi fa presagire una difficoltà di Hamas nel gestire la situazione?
Può darsi che Hamas abbia interesse a mantenere una posizione di forza, cercando di mettere l’opinione pubblica israeliana contro il governo. Ma c’è anche la possibilità che i miliziani non sappiano dove sono gli ostaggi, che durante l’attacco del 7 Ottobre sono stati presi da diversi gruppi terroristici e portati chissà dove. Alcuni saranno anche morti e gli altri non riescono a radunarli. È un problema molto serio, perché se Hamas non dovesse restituire tutti gli ostaggi che ha promesso si rischia che la tregua duri ancora meno di quanto si paventa in questo momento. Credo che il cessate il fuoco durerà poco: il tempo per Israele di occupare la Cisgiordania, di fortificarsi, di allargarsi, di occupare altre terre da concedere ai coloni, sfruttando l’arrivo di Trump, che tutti sanno essere molto filo-israeliano.
Arbel Yehud, che doveva essere liberata in questi giorni, ora secondo Hamas potrebbe essere restituita sabato prossimo. C’è da crederci?
Se sabato prossimo non arriverà sarà un bel problema: ho paura che Hamas stia scherzando con il fuoco. Gli israeliani non accetterebbero di aver messo sul piatto della bilancia 1.900 prigionieri palestinesi senza vedere ritornare le persone che sono state inserite nell’accordo. Tutto questo rafforza la mia idea che Hamas si sia impegnata per qualcosa che non può mantenere.
Gli israeliani hanno già reagito negando la possibilità ai palestinesi di tornare verso il nord di Gaza, dove negli ultimi tempi i bombardamenti si erano fatti più intensi. Una prima incrinatura dell’intesa?
È una prima conseguenza, ma ritengo che gli israeliani concedano ancora una parziale fiducia. Aspetteranno fino a sabato, così da poter dire un domani all’opinione pubblica di aver fatto per intero la loro parte.
Anche se non si dovesse rompere adesso, la tregua è destinata a finire una volta che si arriverà a discutere del futuro di Gaza?
Sicuramente. Qualunque accordo troveranno sarà al massimo temporaneo, e parlo anche di un’intesa tra i palestinesi. Alla fine, però, penso che riprenderanno a combattere. Non vorrei essere cattivo profeta, ma la mia idea è che i combattimenti comincino prima di quanto si pensi, perché Hamas non sarà in grado di onorare gli impegni presi sugli ostaggi. Tra l’altro, ho paura anche per le condizioni delle quattro soldatesse liberate: il ministero della Salute israeliano parla di una condizione emotivamente e clinicamente complessa.
Secondo l’intelligence americana, intanto, Hamas avrebbe reclutato da 10 a 15mila nuovi miliziani. L’obiettivo di Israele di eliminare la controparte è irraggiungibile?
Il numero mi sembra un po’ gonfiato: gli inglesi parlano di 5mila persone. È indubbio che una fetta di miliziani di Hezbollah sia andata a rinforzare Hamas. Poi c’è il reclutamento internazionale, infine quello interno: la popolazione maschile palestinese nella Striscia sta con Hamas. E anche le donne. Molti, dopo che si sono ritrovati nella condizione di non avere più nulla, hanno imbracciato le armi. Non so se sono arrivati 15mila uomini, ma le fila di Hamas si sono fortemente ingrandite. Questo periodo di non belligeranza serve anche a questo, a rinfoltire le fila. Serve a entrambe le parti: a Israele per tirare il fiato, ai palestinesi per rinserrare le fila.
Questo vuol dire che la prospettiva vera, da tutte e due le parti, è di ricominciare la guerra?
Secondo me sì. La destra estremista israeliana l’ha detto chiaramente. E credo che lo pensi tutto il centrodestra israeliano: vogliono Gaza e devono eliminare Hamas. Sicuramente l’eliminazione totale, continuo a dirlo, non ci sarà, forse potranno andarci vicino.
La notizia di questi nuovi reclutamenti di Hamas, però, smentisce Israele: dopo oltre un anno di feroci combattimenti l’organizzazione palestinese non è scomparsa. L’obiettivo resta credibile?
Ho vissuto una situazione del genere in prima persona, in Afghanistan, in Iraq: un conto è fare la guerra convenzionale, un altro affrontare gruppi terroristici, che arrivano anche a nascondersi tra la popolazione inerme. In questo caso le guerre non finiscono più. Biden è andato via dall’Afghanistan perché gli hanno spiegato che il mantenimento della pace era insostenibile.
Hamas e Israele continueranno la guerra vita natural durante?
Più che la guerra, a un certo punto si arriverà a un tale indebolimento di Hamas che si dedicherà solo a periodici attentati. Questo è indubbio: gli attentati saranno compagni di vita degli israeliani. L’eliminazione vera e propria, insomma, come la intendono gli israeliani, non sarà possibile, a meno che non eliminino tutti i palestinesi maschi. I bambini crescono con negli occhi le violenze di questi anni e Hamas fa proselitismo: non c’è più nulla da fare, Israele così deve rassegnarsi a combattere o a subire attentati terroristici.
Trump ha ottenuto il cessate il fuoco: davanti a questa situazione potrà, se non arrivare alla pace, mantenere una tregua?
Trump non è di suo un guerrafondaio, ma un uomo di affari, e per fare business ci vogliono condizioni di pace. Tenterà di mediare. Ma che tipo di mediazione puoi fare se tutt’e due le parti non si accordano? Il mio non è pessimismo, è realismo. Vorrei essere smentito domani, sarei l’uomo più felice del mondo, ma a naso non vedo un futuro così roseo.
(Paolo Rossetti)
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