ISRAELE ACCUSA HAMAS DI RINNEGARE PARTI DELL’ACCORDO: CRISI NEL GOVERNO TRA NETANYAHU E IL MINISTRO SMOTRICH”
È slittato ancora il voto del Governo Netanyahu in merito all’accettazione dell’accordo di tregua fra Israele e Hamas: dopo l’annuncio pubblico del 15 gennaio sera, il successo della diplomazia di Usa, Qatar ed Egitto trova ora gli ultimi ostacoli sul cammino di un cessate il fuoco previsto e lanciato da domenica 19 gennaio 2025. Secondo Tel Aviv, la sigla palestinese avrebbe accettato in un primo momento le tre fasi pattuite di liberazione ostaggi, rilascio detenuti palestinesi e ritiro parziale delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza, salvo poi rivendicare altre concessioni. Il risultato al momento è che il Gabinetto di guerra dello Stato ebraico non si riunirà per votare l’accordo con Hamas fino a che non vi saranno garanzie certe da Gaza sull’accettazione piena dell’accordo.
Risulta ampiamente significativo, per capire il grado attuale del caos in Medio Oriente, quanto denunciato da Hamas nel primo pomeriggio: «raid israeliani hanno colpito uno dei luoghi di detenzione degli ostaggi». Il tutto – e potrebbe non essere affatto “casuale” – dopo che il Premier Netanyahu aveva sottolineato che l’accordo sarà votato e dunque siglato da Israele non appena Hamas avrà accettato e concordato tutti i dettagli, tra cui la liberazione dei primi 33 ostaggi promessi. Dopo un anno e 4 mesi di libertà violata, svariati osservatori internazionali ritengono che non per forza gli ostaggi rimasti in mano ad Hamas siano tutti vivi: ancora ieri la sigla palestinese garantiva che i primi 33 che andranno liberati, secondo accordo, sono al momento tutti vivi (in che condizioni invece non è dato saperlo…).
I dissidi e gli scontri in extremis vedono slittare tutte le tempistiche, ma è difficile immaginare che dopo la spinta internazionale ora conclamata a livello pubblico, domenica non venga rispettata l’inizio della tregua. Più che altro ognuno cerca di tirare “acqua” al proprio “mulino”, con gli Stati Uniti di Biden che ancora oggi pomeriggio ribadiscono, «Il nostro team sul campo sta effettivamente lavorando con Netanyahu e la sua squadra per appianare tutto questo e farlo andare avanti», riducendo la distanza con le istanze di Hamas che a parole continua a ritenere chiuso l’accordo, ma che sottobanco avrebbe fatto alcune ulteriori richieste. Nella notte vi sarebbe stato un ulteriore scontro invece interno al Governo Netanyahu, tra il Premier e la componente della destra radicale israeliana che non accetta di buon grado l’accordo con Hamas: in particolare, dopo le “stilettate” di Ben Gvir anche il Ministro sionista Bezalel Smotrich ha attaccato il Gabinetto minacciando l’uscita dal Governo se verrà approvato questo tipo di tregua a lungo termine. In mattinata lo stesso Ministro religioso ha ammesso che il sì all’accordo arriverebbe solo se dopo la prima fase verrà ripreso l’attacco contro Hamas e l’eliminazione di ogni palestinese terrorista dalla Striscia, richiesta ovviamente impossibile da accettare visto che a quel punto la sigla palestinese non avrebbe nessun motivo per “liberare” gli ostaggi.
TREGUA SÌ, PACE FORSE: COSA È SUCCESSO DOPO L’ACCORDO TRA ISRAELE E HAMAS SULLA GUERRA A GAZA
Nel frattempo da Tel Aviv parti del Governo, così come l’opinione pubblica e (soprattuto) le famiglie degli ostaggi israeliani attendono con ansia l’effettivo rilascio dei cittadini civili imprigionati da Hamas fin dal 7 ottobre 2023: il Forum Haim, che riunisce tutti i familiari degli ostaggi, hanno fatto sapere che qualora l’accordo dovesse disgraziatamente saltare, gli unici veri responsabili non sarebbero né Hamas, né i Ministri della destra israeliana, ma solo il Premier Netanyahu, «è lui responsabile di qualsiasi ulteriore ostacolo al ritorno degli ostaggi».
Le tre fasi sono molto complesse e il sospetto è che dietro alle frizioni del “day after” vi sia anche l’intento del mondo filo-Iran di approfittare della situazione delicata per forzare la mano, anche mediatica, contro il nemico Netanyahu, che di suo già ha dovuto “ingoiare” il boccone amaro di un accordo guidato da Usa e Qatar. Le rassicurazioni fatte dal Presidente eletto Donald Trump all’alleato Bibi hanno però consentito il via libera sostanziale alla tregua e all’accordo così strutturato in tre momenti: ora resta da capire come verrà gestita la delicatissima fase di transizione, specie per quanto riguarda la liberazione degli ostaggi e, soprattutto, il rilascio di migliaia di detenuti palestinesi sui quali è molto probabile che arriveranno i primi scontri diplomatici con la sigla terroristica palestinese. Una tregua alla fine arriverà, si spera già da questa domenica, mentre per la pace in Medio Oriente è purtroppo ancora troppo presto per poterla realizzare in tempi brevi.