Dopo quasi un anno dalla sua liberazione dall’ingiusta detenzione che l’ha costretto a trascorrere 33 anni della sua vita in carcere, Beniamino Zuncheddu è tornato a raccontarsi sulle pagine del Corriere della Sera, raccontando questi (quasi) 12 mesi di libertà riacquisita dopo quello che è stato definito a più riprese uno dei più grandi errori giudiziari della storia italiana partendo – quasi naturalmente – dal momento in cui ha scoperto che poteva tornare alla sua vita di tutti i giorni: “Ero appena rientrato dal bar Le Bon Bec – racconta Beniamino Zuncheddu -, dove lavoravo a Cagliari” quando “una guardia” gli disse “‘si prenda la roba che è arrivato il foglio di scarcerazione‘. Corsi in cella per buttare le mie cose dentro due buste della spesa e uscii senza salutare nessuno“.
Oggi Beniamino Zuncheddu ci tiene a definirsi “un pensionato senza pensione” che aiuta il fratello Damiano “con le pecore”, uscendo con quegli stessi amici che aveva “prima del carcere” e che nel frattempo sono andati avanti con la loro vita e “hanno una famiglia”; rivendicando – comunque – con grande gioia di poter finalmente “entrare e uscire di casa, aprire e chiudere la porta quando lo decido io” senza nessuna guardia ad accompagnarlo durante la giornata.
Beniamino Zuncheddu: “Il risarcimento non mi restituirà la famiglia che ho sempre sognato”
Dalla scarcerazione, Beniamino Zuncheddu si dice dispiaciuto soprattutto del fatto che “Giorgia Meloni è andata ad accogliere Chico Forti che tornava dall’America [e] a me non ha scritto neanche un biglietto“, così come sostiene che “mi sarebbe piaciuto riceverne uno da Mattarella”; ma nonostante questo il supporto – in particolare dalle “persone del mio paese, dal sindaco, dal parroco” e anche “dagli sconosciuti” – non è mai mancato e gli ha rallegrato questi mesi di libertà riacquisita.
Andando avanti nel suo racconto, Beniamino Zuncheddu sostiene di non aver “più sentito nessuna” delle persone protagoniste dell’ingiustizia – tra il falso testimone Luigi Pinna e il poliziotto che guidò la falsa confessione Mario Uda -, e ragionando su quell’enorme rimborso che lo attende all’orizzonte mette in chiaro che “nessun risarcimento sarà mai abbastanza” perché “sognavo una famiglia con figli e nipoti e per quello è troppo tardi” senza dimenticare che “devo togliere subito i debiti e l’avvocato è in cima ai miei pensieri” assieme anche ai “periti che hanno lavorato gratis e a mia sorella e suo marito che stanno continuando a prendersi cura di me”.